La Regina è la n. 1. La Kerber si regala New York (Luca Marianantoni, La Gazzetta dello Sport)
Angelique Kerber succede a Flavia Pennetta nell’albo d’oro dell’Open degli Stati Uniti; la tedesca si è aggiudicata l’ultimo Slam della stagione battendo per 6-3 4-6 6-4 in 2 ore e 7 minuti la 24enne ceca Karolina Pliskova, all’esordio in una finale Major. A decidere il primo set è stato il break concesso a freddo dalla Pliskova nel primo game dell’incontro. La tedesca riesce a difenderlo annullando una palla break nel secondo gioco e poi altre due nel quarto. Il tennis offensivo della Pliskova trova una grande resistenza nella Kerber, che con un meraviglioso gioco di gambe arriva dappertutto, sempre coordinata anche nel recupero di imprendibili palle corte: come avviene nell’ottavo game quando riprende un drop shot della Pliskova, piazzando un lungolinea di dritto che arriva all’incrocio delle righe. Nel game successo arriva al set point grazie a un doppio fallo della ceca; set point trasformato con un preciso passante di dritto: 6-3 in 43 minuti. Nel terzo game del secondo set la Kerber annulla anche una quarta palla break, poi il suo gioco subisce una piccola involuzione. La Pliskova è micidiale nelle combinazioni servizio-dritto e servizio-rovescio, la tedesca invece perde lentamente campo e va sempre in affanno sulla seconda di servizio. Nel settimo game arriva il primo break dell’incontro per la Pliskova, sufficiente a portare la partita al set decisivo. Nel terzo game del terzo set la Pliskova si procura 2 palle break; la Kerber annulla la prima con un servizio vincente, ma non la seconda. La ceca sale fino al 3-1, poi la tedesca piazza il contro break. A questo punto la Kerber è di nuovo in fiducia, mentre la Pliskova pare accusare la stanchezza. Quando la ceca va a servire per rimanere nel match, sul 4-5, la Kerber si guadagna un triplo match point. Basta il primo per conquistare l’Open degli Stati Uniti. Angelique Kerber è la prima mancina a vincere a Flushing Meadows dopo Monica Seles (e la quarta di sempre dopo Evelyn Sears, Martina Navratilova e appunto Monica Seles). E’ anche la seconda tedesca a vincere l’Open degli Stati Uniti dopo Steffi Graf, che qui ha vinto 5 volte (1988, 1989, 1993, 1995, 1996). Per la neo numero 1 del mondo si tratta del secondo Slam della carriera e dell’anno dopo il successo del gennaio scorso all’Open d’Australia. Nel ranking che la Wta pubblicherà lunedì, Angelique Kerber avrà un vantaggio di 1680 punti su Serena Williams che scivola al secondo posto. Nella race invece il margine della tedesca è minore: 7800 punti contro i 7050 dell’americana che ha ancora buone chance per cercare di chiudere la sesta stagione della carriera al primo posto del ranking.
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Kerber vince gli US Open: “Era il mio sogno da bambina” (La Repubblica)
Non ci poteva essere modo migliore per festeggiare il raggiungimento della vetta del ranking. Angelique Kerber ce l’ha fatta: è lei la nuova regina di Flushing Meadows. Le sono serviti tre set per superare la tostissima ceca Karolina Plíšková: finisce 6-3, 4-6, 6-4. Con tanti brividi, perché nel terzo set, sotto 3-1, Angelique ha rischiato di crollare. Ma la campionessa è venuta fuori nel momento di difficoltà: ha dapprima rimontato 4-3 e poi è andata a prendersi il match: è il suo secondo trionfo nello Slam, dopo il successo in Australia a inizio stagione (e la sconfitta in finale a Wimbledon). Plíšková paga invece la maledizione di Serena Williams: come successe lo scorso anno a Roberta Vinci, dopo aver eliminato la statunitense in semifinale non è riuscita a confermarsi in finale. Il primo set è di dominio della nuova numero uno del mondo (da lunedì), che parte subito strappando il servizio alla ceca, per poi chiudere il primo set con il secondo break dell’incontro. Il 6-3 non demoralizza però Karolina, che toglierà il servizio alla Kerber al sesto game, portandosi sul 4-3 e poi difendendo il break di vantaggio fino alla fine. Sono giochi in cui la tennista tedesca inizia a evidenziare lievi segnali di cedimento. Che puntualmente si confermano con l’inizio del terzo set: Agelique parte assicurandosi il primo gioco a 15, ma è un fuoco di paglia. Plíšková fa pari per poi conquistare il suo secondo break della finale. Un segnale che pare tagliare le gambe alla tedesca. Sul 3-1 però esce fuori l’orgoglio Kerber: con un sussulto si prende il game lasciando la collega a zero, per poi andare a chiudere il break e riportarsi in parità. La stanchezza si fa sentire, e pare colpire soprattutto la ceca, che difende faticosamente il servizio per poi cedere bruscamente a quello della rivale. Per Plíšková è buio pesto. Il suo ultimo servizio è un disastro, Kerber non le lascia nulla, e trionfa al primo matchpoint. Alla fine è emozionata Angelique Kerber: “E’ straordinario, due Slam in un anno, è l’anno più bello della mia carriera. Tutto è iniziato qui nel 2011 arrivando in semifinale, ora mi ritrovo qui con il trofeo. Voglio soltanto ringraziare tutti. Devo fare i complimenti a Karolina, perché ha giocato benissimo e il futuro è dalla sua parte. Anche nel momento di difficoltà ho solo pensato a godermi la finale e a giocare”. Poi, sul numero uno nella classifica mondiale, Kerber fatica quasi a trattenere le lacrime: “Essere la numero uno al mondo significa tanto, lo sognavo da bambina. Da lunedì sarò la più forte in classifica e voglio godermi ogni singolo momento in campo e fuori, perché tutto questo è incredibile”.
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Wawrinka, la bestia nera per Djokovic (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)
Dieci finali consecutive vinte, e in mezzo c’è caduto anche Djokovic: era l’anno scorso a Parigi. Stan “The Man” Wawrinka si punta il dito alla tempia, un modo per far capire a tutti quanto sia concentrato. E oggi lo sarà come non mai, non importa se è stato il giocatore che in questi US Open è rimasto di più sul campo (17 ore e 54′), mentre di fronte si troverà un avversario che per giungere alla partita per il titolo ha giocato appena 13 set e la metà del tempo: 8 ore e 58′. «Quando arrivo in finale – ha sottolineato lo svizzero, numero 3 al mondo – ho una grande fiducia per quello che sono riuscito a fare in una o due settimane, so di poter esprimere il mio tennis migliore. Potrò anche perdere con Djokovic, e in ogni caso dieci su undici rimarrebbe sempre una buona percentuale, ma di solito so che se arrivo a una finale è perché sono pronto per giocare al meglio». Il bilancio negli scontri diretti è tutto dalla parte di Djokovic: 19-4, ma conviene dividerli in tre parti: all’inizio un 2-1 per lo svizzero, poi 14 successi di fila per il serbo, ma negli ultimi due anni Nole si è dovuto accontentare di un 4-2. E le due vittorie di Stan sono arrivate negli Slam: quarti di finale agli Australian Open de1 2014 e la finale di Parigi, l’anno scorso. Due trionfi che hanno portato agli unici due Slam conquistati da Wawrinka. Oggi sarà tempo di tris? «E’ straordinario per me essere in finale a New York. Giocare contro Novak è sempre una sfida. Sarà una partita entusiasmante visti i precedenti, soprattutto poi negli incontri di uno Slam». Infatti se si guarda soltanto alle “grandi” sfide tra il serbo e lo svizzero, cominciate nel 2012, tolti gli US Open di quell’anno (ritiro di Wawrinka al terzo), e Parigi 2015 (successo di Stan in quattro set), le altre quattro partite (tre in Australia e una a Flushing Meadows) sono tutte finite al quinto. Il record è un 12-10 all’ultima frazione, Australia Open 2013, con successo di Djokovic. Precedenti che fanno pensare a una finale lunga e combattuta, anche perché tra i giocatori in attività Wawrinka è uno dei tre (insieme a Del Potro e Cilic) a essere riuscito a infrangere il dominio negli Slam dei “Fab Four”. «E’ stato quando persi 12-10 al quinto in Australia – ha aggiunto Wawrinka – che iniziai a capire che potevo battere i migliori anche in uno Slam. E se sono sorpreso di averne vinti due e di essere ora in finale di un terzo, non lo sono del fatto che i Fab Four abbiamo conquistato tutto: sono stati a un livello superiore rispetto a tutti gli altri». Se Wawrinka punta il terzo Slam, Djokovic va a caccia del tredicesimo e se dovesse conquistarlo, sarebbe anche la terza volta a New York. «E un giocatore da grandi match – così il serbo definisce l’avversario – Ama esibirsi sui grandi palcoscenici contro i grandi giocatori perché è in quel momento che riesce a portare più in alto le sue prestazioni».
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Djokovic il razionale, così fa impazzire i suoi avversari (Gianni Clerici, La Repubblica)
Pur ridotti a due, i Fab Four continuano a imporsi, chissà fino a quando. Non è bastato lo squilibrio del francese Monfils per turbare la razionalità di Djokovic, né gli attacchi da fondo del giapponesino Nishikori per mettere a disagio il Wawrinka creativo dei giorni buoni. Delle due semifinali la più insolita è stata certo la prima, l’equilibrato serbo contro lo stravagante francese che si è esibito in quello che, ci ha poi fatto sapere, aveva denominato Piano B, forse sconosciuto addirittura al suo coach Tillstrom, a giudicare dall’espressione incredula dello svedese. Gael ha iniziato tenendo tra le mani la racchetta quasi fosse un asciugamano intriso dall’umidità che aveva raggiunto i suoi massimi, giungendo a non servirsi della mano sinistra per reggere il collo della racchetta. Non contento dell’incredulità del suo paziente avversario, e di spettatori a metà divertiti, a metà indignati, ha continuato a strascicare i suoi passi, sino ad occuparsi totalmente del ginocchio sinistro dolente, più che della partita. Quando, sconfitto in quattro insolitissimi set, è uscito dal campo, ha spiegato di aver tentato di «entrare nel cervello di Nole, di spingerlo alla sorpresa per qualcosa che non aveva mai visto», per aggiungere dopo il match «Se avessi avuto un microfono avrei suggerito al pubblico di non ritenermi poco professionale. Il mio avversario stava cercando di uccidermi, cosa potevo fare?». Molto probabilmente, Monfils è stato spinto a un simile, più che insolito comportamento, dai precedenti 12 match perduti contro Djokovic, dei quali il primo risaliva a undici anni addietro, su un campetto destinato agli juniores, terminato per 5-7 nel set finale. Rimane comunque il fatto che simile comportamento abbia distratto Nole sino a fargli perdere la concentrazione e insieme un set, e addirittura, in un momento di fastidio, lo abbia spinto a stracciarsi la camicia. Quel che in vista della finale potrebbe preoccupare di più Djokovic, sono i dolori alla spalla e alle vertebre cervicali, che l’hanno spinto a chiamare in campo il fisioterapista e, forse, son state la causa di un servizio meno efficiente del solito. L’altra semifinale ha ribadito che Murray aveva perduto da Nishikori per un momentaneo squilibrio psichico, seguito alla supervalutazione di un errore dell’arbitra di sedia. Opposto ad un buon Wawrinka, salvatosi in precedenza da un match point contro l’inglese Evans, il giapponese ha di nuovo mostrato di essere vicino ai primi senza saper uscire dalla loro scia, nonostante la finale dell’Open newyorchese del 2014, e la quarta posizione raggiunta nella Race di quest’anno. Stan è infatti riuscito, dopo un avvio mediocre, a imporre la sua velocità, e la lunghezza che finivano per tenere Nishikori lontano dalla rete, o indifeso nei suoi tentativi. Ora, in attesa della finale, trovo che le quote dei bookmaker americani, 1,22 per Djokovic, e 4,40 per Wawrinka pecchino di parzialità. Nole ha giocato troppo poco causa i 3 ritiri degli avversari, e ha male alle spalle. Gli auguro di star meglio, ma non ne sarei così sicuro.
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Attento Djokovic, ti tocca Wawrinka, l’uomo delle finali (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)
Stan Wawrinka esce con la testa infilata nel cappuccio della felpa per ripararsi dall’aria condizionata. Ha appena tolto di mezzo Kei Nishikori in semifinale, centrando la terza finale di uno Slam, e con una tranquillità zen sorride al prossimo futuro. Quello di oggi, contro il numero uno del mondo, Novak Djokovic. «Sulla strada che mi ha portato ai due titoli Slam mi sono sempre trovato davanti Nole. E’ di buon auspicio. Nei quarti agli Australian Open del 2014 e nella finale del Roland Garros l’anno scorso. Ecco, rifletterò su quella partita. Anzi su quella vittoria. Ce l’ho bene impressa in mente e mi porterò in campo quel pensiero. Insomma, l’ho battuto e lo posso fare ancora». Lette su un foglio di giornale possono sembrare le solite frasi di circostanza. Ascoltate dal vivo, con voce calma e ferma, fanno un effetto ben diverso: Wawrinka crede fermamente nelle sue chance. Ma anche Nole ci crede. I numeri sono dalla sua parte, come i 12 Slam conquistati o le 21 finali (di cui 7 qui a New York). Numeri a cui pure quest’anno ha dato una mano di vernice fresca. Ci sono i titoli di Melbourne e Parigi. E per i flop a Wimbledon e all’Olimpiade ha alibi rassicuranti: un problema personale e un polso ammaccato. E poi crede nel destino: qui a Flushing, molto benevolo. E’ rimasto in campo 8 ore e 58′ per un totale di 13 set e 118 game (record dell’Era Open di tutti gli Slam), grazie al ritiro di tre avversari: lo svizzero ha giocato praticamente il il doppio rispetto a lui (23 set e 236 game, 17 ore e 54′). E alla voce “Wawrinka” ha solo l’imbarazzo della scelta sul materiale a lui favorevole. Uno per tutti, il conto degli scontri diretti: 19-4 per lui. Molte di queste partite sono state autentiche battaglie. Nole è scavato in volto, la semifinale contro Monfils lo ha stremato fisicamente e mentalmente. Prima rassicura tutti: «Quando sono arrivato ero un po’ scettico sulle mie condizioni di salute e sulle possibilità di far bene. Ma sono stato fortunato, ho avuto inaspettatamente dei giorni di riposo che mi hanno consentito di recuperare e ora sono pronto». Poi, però, quando parla dello svizzero, lo fa forse con eccessiva devozione. Spiega: «Grazie ai due Slam, la Coppa Davis del 2014, e una medaglia olimpica, Stan ora ha tanta fiducia in se stesso. Non si stressa più quando arriva alle partite importanti. Anzi. Gioca meglio proprio nei grandi appuntamenti». Timore? C’è sicuramente un dato significativo che potrebbe fargli tremare i polsi: nelle ultime dieci finali disputate Stan non ha mai perso. E Stan, che da giovane definivano troppo emotivo per vincere, spiega: «Perché se arrivo in finale significa che sto giocando il mio miglior tennis. E sarà così pure adesso, anche se con il numero uno potrebbe non bastare». Dice che sono stati i successi contro Nole a permettergli il salto di qualità: «Mi ha fatto diventare un giocatore migliore. Non solo lui, tutti i Fab 4. Negli ultimi dieci anni li ho sempre ammirati, ho provato a imitarli. Ho cercato di allenarmi con loro il più possibile. E quando li affrontavo, pur sapendo di non essere alla loro altezza, mi dicevo: “Dai, magari oggi riesci a batterli!”». E’ così che per due volte (assieme a Del Potro e Cilic) è l’unico ad aver interrotto la dittatura dei Quattro Grandi negli Slam dal 2004. Per questo l’ex ragazzo fragile di testa, quando ha dovuto salvare un match point contro l’inglese Daniel Evans al terzo turno si è portato l’indice alla tempia: un suo copyright. «E’ il modo in cui mi impongo la calma e la riflessione per le giuste soluzioni». Contro Nole, lo sa, non sarà semplice, perché lui è uno che non molla mai. In fondo ha centrato a maggio l’impresa più storica della carriera: il Grande Slam personale e anche i quattro Major consecutivi ma non nello stesso anno. Se il fattore mentale avrà davvero un peso, Djoker parte con un bel vantaggio.