Tennis in Translation: apportare dei cambiamenti al servizio dello sport

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Tennis in Translation: apportare dei cambiamenti al servizio dello sport

Con le Finals di Singapore che entrano nel vivo e hanno già offerto match lunghi e combattuti, il timoniere del tennis in gonnella, Steve Simon, fa un po’ di chiarezza sul futuro del circuito

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L’intervista fatta dal giornalista indiano Rohit Brijnath all’amministratore delegato della WTA Steve Simon, per il sito The Straits Times. Qui il link all’articolo originale.

Steve Simon sembra avere le pulsazioni ancora più basse di quelle di Bjorn Borg e forse ritiene che alzare la voce di un’ottava sia da maleducati, queste sono qualità utili quando si è a capo di un’organizzazione sportiva. Poche settimane fa il CEO della Women’s Tennis Association ha suggerito che accorciare la durata dei match femminili – togliendo i vantaggi e sostituendo il terzo set con un tiebreak da 10 punti – è una possibilità concreta. A Pechino, Simon a malapena batte ciglio per il clamore suscitato. “Per prima cosa,” dice, “quello che dobbiamo chiarire è che non abbiamo proposto delle modifiche imminenti. La domanda che mi è stata posta era, sono aperto a valutare nuovi cambiamenti, e la risposta è sì, io credo sia nostra responsabilità prenderli in considerazione.”
 
Lui sa che le televisioni prediligono sport, come il football, che hanno una durata ben precisa, al contrario degli incontri di tennis la cui lunghezza è tanto imprevedibile quanto un dibattito filosofico. Inoltre, Simon crede che la soglia di attenzione del pubblico attuale non arriva fino a “restare seduti per tre ore a guardare un match, anche se è la cosa più eccitante che abbiano mai visto.”  Il cricket ha optato per il Twenty20 (una variante del cricket classico introdotta nel 2003, dove le partite durano al massimo 3 ore, ndt) e il rugby a sette sta ottenendo brillanti risultati (è tornato ad essere sport olimpico a Rio ed era assente dal 1924, ndt). Il tennis non può ignorare queste prove evidenti.
Simon non sembra spaventato dalla posizione presa dal pubblico. Già nel 1981, quando faceva l’allenatore, scrisse al segretario di Wimbledon Chris Gorringe chiedendo all’organizzazione di prendere in considerazione l’idea di far entrare lui e la sua amica Lea Antonopolis nelle qualificazioni del torneo di doppio misto. “Non mi sarei mai aspettato di ricevere una lettera di risposta da lui”; tuttavia la ricevette. Dunque andò, si qualificò per Wimbledon, perse al primo turno nel vecchio campo numero 1 e concluse l’esperienza guardando John McEnroe dire all’arbitro: “Tu sei in assoluto il peggiore del mondo”.
Essendo stato un giocatore di doppio, Simon dà importanza a questo gioco caratterizzato dalla rapidità, che viene giocato in primis dagli spettatori durante i fine settimana. Il doppio ha un’importanza fondamentale per il nostro sport,” afferma lui. “È un aspetto chiave per questo prodotto ed è necessario… io credo che il pubblico si diverta a guardare il doppio dal vivo. Le televisioni effettivamente non hanno puntato su questa cosa, per il momento.” Simon sa che le stelle del doppio attirano l’attenzione, come la numero uno indiana Sania Mirza, che ha 4.48 milioni di follower su Twitter – più di Maria Sharapova – e lui è assolutamente interessato a sfruttare questo mercato. “Dobbiamo promuovere il doppio perché se lo merita, e anche gli atleti se lo meritano.” Negli sport, ci tiene a sottolineare, bisogna raccontare storie e quella di Mirza, che è apparsa su The New Yorker a settembre, è stata raccontata.
Ogni storia riguardante un’atleta donna è rilevante, soprattutto perché la copertura mediatica tende drasticamente verso gli uomini; ogni storia di per sé è importante perché nel circuito – con 2,500 giocatrici che partecipano a eventi in 34 nazioni, per un montepremi totale di $ 137 milioni – rappresenta l’unico sport femminile che riceve un’attenzione costante e globale.
Ho chiesto a Simon se considera il circuito WTA come un importante modello per gli sport femminili in generale, ma anche se lui lo considera non puramente come qualcosa legato alle donne ma semplicemente come una lega sportiva di successo. “La risposta è entrambe le cose. Noi non dobbiamo essere semplicemente soddisfatti di essere la federazione sportiva femminile numero 1 al mondo, anche se ne siamo molto orgogliosi. Bensì noi vogliamo competere al fianco degli sport professionistici, a prescindere dal sesso. Da un punto di vista del business, noi possiamo farcela contro questi grandi sport, sul piano degli sponsor, sulla messa in onda, sullo spazio dato in TV e dai media. Quindi dobbiamo metterci in una posizione in cui possiamo lottare con la concorrenza, lì in cima. L’altra cosa da tenere in considerazione è che quando competiamo a quel livello, abbiamo davvero raggiunto lo stato di parità tra i sessi. E questo è proprio dove voglio arrivare, e penso che il mondo intero dovrebbe puntare a questo.”
 
Poi aggiunge ovviamente, noi vogliamo che le nostre atlete siano degli esempi per le giovani donne e le ragazze che stanno crescendo. Io spero che guardando il tennis capiscano che possono diventare le star del futuro, indipendentemente da che tipo di carriera decidano di prendere.” 
 
A questo punto l’intervista finisce e questo gentleman pacato e ottimista, con le sue scarpe ben lucidate, ora torna a dedicarsi all’aumento di infortuni, a un calendario che ha bisogno di qualche rattoppo e ad un tour senza Serena. Se avrà successo non possiamo dirlo. Ma in qualche modo possiamo garantirvi che lo stress di essere al comando in futuro avrà la meglio su quel che resta dei suoi capelli.
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