La cifra stilistica del tennis e l'epoca dei "fighter". La racchetta rimane d'élite?

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La cifra stilistica del tennis e l’epoca dei “fighter”. La racchetta rimane d’élite?

Il tennis è sport storicamente elitario e questo ferisce gli appassionati. Qualcosa sta cambiando, oppure è già cambiato. Ma era meglio prima?

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L’egoismo della passione tennistica porta a domandarsi: qual è la motivazione che si cela dietro l’elitarietà di questo sport? I luoghi comuni vogliono derubricare il tennis a sport per gente facoltosa, oppure addossano la colpa di non essere (almeno in Italia) uno sport “maggiore” al fatto di non avere un grandissimo seguito tra gli amatori, configurando il comico scenario di un serpente che si morde la coda. Diventa quindi complicata la ricerca di una motivazione plausibile, specie perché unita alla necessità di rimanere asettici.

Sono forse due le parole che identificano al meglio la difficoltà del tennis di imporsi come realtà sportiva di massa: anacronismo ed eleganza. Nella sua dinamica, il tennis è uno sport fuori dai tempi moderni, con quell’accezione tipicamente positiva e un po’ nostalgica che si conferisce alla definizione di un qualsiasi fenomeno che fatichi oggi a trovare la sua ragione d’essere. L’assenza di contatto fisico, la relativa correttezza dei partecipanti di spicco, il grande rispetto che di solito i tennisti nutrono per i “tutori” dell’ordine in campo, sono caratteristiche che delineano lo scenario di uno sport che danza vellutato sul confine tra il sussurro di una palla dubbia non contestata con fervore e lo schiamazzo di un nugolo di esagitati che accerchia l’uomo in giacchetta per farsi assegnare un rigore. Si può facilmente evincere dai “social” quali siano i maggiori motivi di interesse per coloro che seguono il tennis stancamente senza esserne appassionati: le sceneggiate di Fognini. D’un tratto sembra lapalissiano cosa manchi al tennis per essere un vero fenomeno di massa: l'(un)politically correct.

Si fa sempre riferimento al tifoso calcistico se non altro per la comodità di riferirsi ad uno sport che È il fenomeno di massa per eccellenza, e non in rapporto agli altri sport ma addirittura su scala globale. Il tifoso per appassionarsi ricerca l’empatia con il suo beniamino, e in modo tendenzialmente inconfessabile vuole ritrovare nel suo beniamino le debolezze che altrettanto segretamente gli appartengono. Ad un personaggio come Federer si “perdona” il suo stile impeccabile perché ha uno di quei curriculum sportivi tale per cui se i tornei fossero aziende e potessero scucire grosse cifre per assicurarselo tra i partecipanti, tirerebbero fuori il classico assegno in bianco. E non venite a dirmi che lo fanno davvero…

Federer è anche il nodo di collegamento ideale per affrontare il microcosmo legato al secondo termine “chiave” della disamina. Il tennis fatica ad ergersi sull’altare della notorietà globale perchè è uno sport apparentemente umano – o quantomeno questo è l’impatto che ottiene sullo sportivo medio – che conserva dei retaggi appartenenti tipicamente al mondo dell’arte mentre pecca in brutalità. Nella perfezione incontaminata del gesto tennistico, nell’eleganza senza pari che un corpo riesce ad assumere quando deve impattare una pallina c’è tutta l’essenza del tennis come élite. Il bianco degli outfit riversato sul manto verde dell’All England Club, la diligenza quasi fastidiosa dei raccattapalle che ordinatamente sgombrano il campo dalle palle morte sul nastro, il soave unisono del telone che ricopre un campo tormentato dalla pioggia, l’abbraccio ristoratore che pone sullo stesso piano i due contendenti anche dopo la “tenzone” più sfrenata. È la perfezione estetica del tennis che non vorrebbe cedere a compromessi a impedirne il salto di qualità definitivo nell’Olimpo del chiacchiericcio sportivo. Non è un caso infatti che il “new deal” della racchetta, che ha visto imporsi sulla scena protagonisti in grado di segnare il solco di una nuova epoca, abbia saputo dare nuovo vigore “numerico” ai supporter perlopiù indirizzati verso il fenomeno basilese: le incredibili doti di fighter di Nadal, le concessioni del lato “satirico” di Djokovic (che pure come fighter non scherza), giusto adesso le bizze del personaggio Kyrgios hanno ingrossato le file degli appassionati, seppur questi ultimi entrati da una porticina che i nostalgici della racchetta avevano sempre voluto mantenere ben serrata.

Quel che si pone adesso è un interrogativo su quanto il tennis nella sua accezione romantica sia in grado di concedere alla nuova versione di questo sport, potenzialmente in grado di trovare la brutalità “mediatica” che storicamente gli manca(va?) pur dovendo accettare una significativa perdita in termini di eleganza e candore. Un interrogativo a cui è complicato dare una risposta senza impegnarsi in una diatriba da stadio: a volte ci si può accontentare del sacro vincolo di una domanda ben posta e attendere che il tempo faccia il suo corso.

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