Tennis in Translation, Dinara Safina: "Ho dato tutto, zero rimpianti. Torno come coach"

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Tennis in Translation, Dinara Safina: “Ho dato tutto, zero rimpianti. Torno come coach”

L’ex tennista russa racconta a Nick McCarvel del suo trasferimento a New York e della sua nuova esperienza come allenatrice

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Dinara Safina alza un dito in aria di fronte a lei, mentre tiene in mano il telefono, scusandosi per un minuto. “Perdonami, era mia mamma”, dice con un accento inglese, sotto la luce del suo smartphone risplendente. I suoi genitori hanno festeggiato l’anniversario dei 38 anni di matrimonio e lei e suo fratello, l’ex numero 1 al mondo Marat Safin, si sono accordati per portarli fuori a cena a Mosca. “Qual è il limite?” le ha chiesto la madre per messaggio. “Non c’è nessun limite,” ha digitato Dinara. “Ok, allora prenderemo solo dell’acqua” ha risposto la madre, palesemente ironica. Safina non resiste e le scappa un sorriso. “Ok, scusami. Dove eravamo?”.

Eravamo a Coney Island, Brooklyn, in un giorno freddo ma soleggiato, quando Dinara Safina stava terminando la seconda settimana di lavoro della sua carriera nuova di zecca: fare l’allenatrice. Si è sistemata in una struttura chiamata MatchPoint NYC in un quartiere prevalentemente russo ebreo. Lei abita dalla fine agosto in un appartamento vicino il Columbus Circle e Central Park nella parte Ovest della città. “Mi sono trasferita a New York [per fare la coach], ma anche perché volevo spostarmi qui”, ha detto dopo aver appena finito una sessione di pratica con la giovane promettente ucraina Anhelina Kalinina, finalista nel 2014 degli US Open junior. “Ho sempre provato qualcosa per New York. Allora mi sono detta: ‘Se ho qualcosa dentro che mi spinge a provare New York, dovrei farlo’. Niente mi fermava”.

Quello che ha fermato la sua carriera nel 2011 all’età di 25 anni fu un infortunio alla schiena cronico. Aveva ottenuto il primo posto nel ranking due anni prima nella primavera del 2009, nel bel mezzo delle sue tre finali Slam raggiunte nell’arco di due anni. Ma vinse sette dei dodici trofei della sua carriera tra il 2008 e il 2009, il picco della sua esperienza in WTA; lei e Marat divennero i primi fratello e sorella a far ciò. “Purtroppo per me a causa del dolore alla schiena ho dovuto ritirarmi prematuramente a 25 anni” dice Safina, la quale ha ufficialmente staccato la spina nel 2014. “Avrei potuto giocare di più, però non rimpiango la cosa. Quel che è fatto è fatto. Ho dato il 100% ogni giorno”. Safina ha compiuto 30 anni ad aprile. È più giovane di Serena e Venus Williams, più giovane della sua amica d’infanzia Svetlana Kuznetsova, come anche di Roberta Vinci, Barbora Strycova e Sam Stosur. Tutte classificate tra le prime 25 del mondo. Se n’è andata troppo presto? Si è ritirata prematuramente da uno sport che sta incredibilmente aumentando la sua età? Per lei la risposta è semplice: no. Lei è in pace con la decisione che ha preso.

Ho dato tutto ogni giorno“, dice dopo aver ordinato un hot chai tea in russo nel salone di MatchPoint, che sovrasta i nove campi da tennis indoor. “Onestamente, ad ogni allenamento, ad ogni partita, ho dato tutto di me. Non rimpiango niente”. Safina spesso viene accostata ad altre ex numero 1 come Caroline Wozniacki e Jelena Jankovic che hanno asceso il ranking senza mai vincere un titolo del Grande Slam. Alcuni dicono che non dovrebbe accadere che un giocatore raggiunga la prima posizione senza vincere un titolo major. Ma lei l’ha già sentito. “E allora cosa?”, chiede mentre versa un liquido aromatizzato nel suo tea. “Mio Dio, l’avrò sentito 150 volte. Sì, non ho vinto uno Slam. Ho avuto tre opportunità, è ovvio che avrei voluto vincerne uno… ma la vita è questa. È un gioco, non è la fine del mondo. La cosa ci rende delle persone peggiori? O delle giocatrici peggiori? No”. 

Sono successe un sacco di cose nella vita di Safina da maggio 2011 quando perse nel secondo turno del torneo WTA di Madrid dalla tedesca Julia Goerges, il match conclusivo della sua carriera. È tornata a scuola in Russia e si è presa un diploma in legge. Ha gestito le relazioni con i giocatori in alcuni eventi a Mosca e Madrid. Per due anni è stata direttrice di un dipartimento di consulenza informatica a Mosca, e andava in ufficio ogni giorno sedendo alla sua scrivania. L’ha detestato. “Ci sono stati dei momenti mentre sedevo lì che avrei voluto uscire dalla mia pelle e lasciare l’ufficio. Volevo essere in campo. Tuttavia ho avuto la chance per provare a farlo, e ora so che si tratta di qualcosa che non voglio, sedere in un officio tutto il tempo”. E poi è arrivata l’opportunità di allenare. Safina aveva incontrato Nino Muhatasov circa 10 anni prima mentre lui stava viaggiano con sua sorella ucraina Alona e come coach c’era Kateryna Bondarenko. Dopo che Muhatasov si è sistemato a New York, ha lanciato MatchPoint, costruendo due centri che includono campi da tennis, piscine olimpioniche, programmi completi per la palestra e la ginnastica, un marchio di fabbrica russo. La sua è stata la prima offerta seria che Safina ha ottenuto. “Quando ho saputo che lei stava venendo a New York, l’ho voluta per aiutarmi a mettere in piedi una base per i giocatori professionisti”, afferma Muhatasov nel suo ampio ufficio. “Molti giocatori risiedono in Florida, ma qui noi abbiamo tutto per loro: una piscina, una palestra, dei campi. Io sono entusiasta all’idea di avere Dinara qui. Non ha bisogno di pubblicità. Personalmente penso che diventerà una grandissima allenatrice. Conosce il gioco“.

Safina non vede il suo nuovo ruolo come coach di Anhelina Kalinina come un punto di arrivo. È vero che c’è una carenza di allenatrici femminili nel tennis in generale, ma questo è perché di solito le donne tendono a ritornare verso le loro famiglie, dice Safina. Per ora, non avendo nessun bambino, è questo che le ha concesso la vita. Dopo aver raggiunto la finale junior agli US Open nel 2014, Kalinina ha preso il volo verso la classifica professionista. Ha vinto 39 incontri – principalmente nel circuito ITF Pro – nel 2015, fino a raggiungere la posizione più alta, numero 148, alla fine dell’anno. Un infortunio alla spalla l’ha obbligata ad operarsi e in quest’ultimo anno ha giocato solo una manciata di match. All’inizio del 2017 sarà la numero 742. “È una bella sfida per me, qualcosa che non ho mai fatto. Io penso di poterla aiutare. Mi fa pensare così tanto a me, quando ero giovane. Il modo in cui mi risponde è esattamente il modo in cui io rispondevo al mio coach. Lei è anche alta e per me ha del buon potenziale”. Solamente tre donne coach ci sono al momento nella top 50 della WTA, e ancora meno hanno la reputazione di Safina. L’ondata di ex campioni che diventano allenatori che ha colpito il gioco maschile non ha attecchito nel circuito femminile – Amelie Mauresmo, Lindsay Davenport, Justine Henin e Martina Navratilova hanno fatto delle apparizioni negli anni passati. Lei è una leggenda”, Kalinina afferma di Safina durante un pasto post-allenamento. “Ma è così alla mano ed è un piacere lavorare con lei, perché mi insegna un sacco di cose. Quella più importante, è che io ora capisco come dover lavorare al 100% su ogni palla. E questo deriva dal suo atteggiamento professionale. Lei è molto professionale e io sto cercando di fare la stessa cosa“.

Nella sua nuova vita a New York, Safina ha un autista che passa a prenderla tutte le mattine a Manhattan e la porta a Coney Island in 45 minuti. Anche lei ha un allenatore con il quale lavora, perché le piace restare in forma, e dice che i tre bikini che ci sono nella lavatrice del suo appartamento sono una motivazione – una vacanza a Tulum, in Messico, si profila all’orizzonte. Ha i biglietti per assistere al debutto a Broadway di Cate Blanchett nell’opera “The Present”, e alterna le sue corse di jogging tra il fiume Hudson e Central Park – quella dell’Hudson è meglio perché è più pianeggiante. Ha una bella vista sul Lincoln Center e le piace fare colazione a Le Pain Quotidien, la lussuosa catena di pasticcerie di stampo francese. Le cose del tour che mancano di più a Safina sono le amicizie, soprattutto quelle con le altre russe Kuznetsova, Elena Dementieva, Anastasia Myskina, Ekaterina Makarova, Elena Vesnina e altre. E sì, a lei manca anche la competizione. “È vero che sento la mancanza, ma in una maniera positiva”, ci spiega. “Le persone mi dicono ‘se ora stessi giocando…’ ma per me ormai è fatta. Io voglio ritornare nel circuito come coach, ma non c’è nessuna seconda vita. Noi ne abbiamo una sola. Ho dato il massimo di me stessa e mi sono infortunata. Per me ciò significava che c’era ancora un’altra parte della mia vita. E ora voglio aiutare gli altri ad arrivare dove sono stata io“. 

La vita è piena di nuove possibilità, anche dopo essersi ritirata dalle scene tanto tempo fa. Ma perché proprio New York City? Perché ora? “Non so il motivo, ma amo l’energia che c’è qui. Tutti sono positivi, le persone vogliono delle nuove sfide, delle nuove esperienze… ho preso in affitto l’appartamento per un anno, ma spero di rimanerci per sempre. Amo stare qui”.

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