Fabio regala il primo set poi Rafa non lo perdona (Marino). Kyrgios tutto tweener e fair-play (Semeraro). Il vento spinge Nadal, Fognini saluta Miami (Clerici)

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Fabio regala il primo set poi Rafa non lo perdona (Marino). Kyrgios tutto tweener e fair-play (Semeraro). Il vento spinge Nadal, Fognini saluta Miami (Clerici)

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Fabio regala il primo set poi Rafa non lo perdona (Francesca Marino, Giorno-Carlino-Nazione Sport)

Si può regalare un set a Chardy ma non a Nadal. Se Fabio Fognini fosse riuscito a lottare nel primo set, perso 6-1 in 25 minuti, come ha fatto nel secondo ceduto 7-5 in 64 minuti, avremmo visto un match diverso e chissà se sarebbe finito come è finito, cioè con Rafa Nadal che raggiunge per la quinta volta la finale del torneo di Miami dopo la primissima di 12 anni fa persa da Federer, così come quella del 2008, e poi quelle del 2010 e del 2014 cedute al cospetto di Novak Djokovic. Nell’altra semifinale, cominciata alle una di notte italiane, si affrontavano per la seconda volta Roger Federer e Nick Kyrgios (nell’unico precedente aveva vinto il “bad boy” australiano 6-7 7-6 7-6) e non si poteva davvero escludere un terzo duello Federer-Nadal nel 2017, come nessuno avrebbe mai osato profetizzare a fine 2016. DIFFICILE spiegare quell’inguardabile primo set di Fognini se non con la clamorosa differenza di esperienza fra i due antagonisti a livello di semifinali di Masters 1000: Nadal giocava la sua 59ma, 40 vinte e 18 perse, Fognini appena la sua seconda, dopo quella di Montecarlo 2013, quando aveva rimediato soltanto tre games da Djokovic e tanti fischi. Lui era sostenuto, oltre che dal coach Davin e dalla sorella, da un grande attaccante come Christian Vieri, mentre Nadal oltre che dall’ex n.1 Carlos Moya e dallo zio coach Toni, anche dal grande difensore del “Barca” Miguel Angel Nadal, ma in campo è stato lui, Fabio, a subire l’aggressione iniziale di Nadal nonostante la bandana e i tanti teschi da capo pirata disegnati su maglietta e pantaloncini sembrassero dargli un atteggiamento aggressivo che non s’è visto. C’era molto vento, fastidiosissimo, ma anche quello si controlla con l’esperienza e un più rapido spostamento delle gambe. Fabio purtroppo era teso, come bloccato. Ha sbagliato un’infinità di dritti. Chissà se ripensava a quella brutta esperienza monegasca. E Nadal era attentissimo a non creargli illusioni, né un minimo appiglio per sperare nell’exploit. NEL PRIMO SET Nadal gli ha lasciato un game e appena 12 punti, di cui solo 4 sul proprio servizio. Per la verità anche nel secondo, quando invece c’è stata partita, Nadal ha quasi sempre tenuto agevolmente i proprio games di battuta. Non ha mai concesso una palla break. Ma, con Fognini che aveva cominciato a servire nel secondo set e riusciva, sia pure salvando 4 palle break sull’ 1-1 a mantenere il vantaggio del servizio fino al 4-3 (dopo un game di 10 punti e due di 14), nell’ottavo gioco Nadal si è trovato per la prima volta a battere sul 30 pari e sul 4 pari. Insomma lì basta un niente a rovesciare l’inerzia della partita. Ma non è accaduto, come invece successe in due dei loro precedenti duelli del 2015, quando anche lì Fabio aveva cominciato in salita. Invece è stato 4 pari, e poi sul 5 pari Fognini ha perso male il servizio, con il sesto doppio fallo sul punto finale (a fronte di 6 ace, ma Nadal che ne ha fatti altrettanti non ha però commesso alcun doppio fallo) e Nadal ha tenuto per la quarta volta nel set il game a zero. Otto punti ceduti sul servizio in tutto il match sono davvero pochi. Resta questo comunque un ottimo torneo del neo n.1 azzurro, neo anche n.28 Atp, che già oggi volerà verso l’Europa perché dall’inizio della settimana prossima sarà a Charleroi per i quarti di finale di Coppa Davis contro il Belgio di Goffin e Darcis per un match che si preannuncia apertissimo. Nadal b.Fognini 6-1,7-5 in un’ora e 29

 

Rullo Nadal, Fognini si arrende (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Nina, stavolta Fabio torna a casa. Ma ci torna con una valigia carica di motivazioni, soddisfazioni e punti in classifica. Finisce in semifinale l’avventura di Fabio Fognini al Masters 1000 di Miami, finisce schiantandosi contro un Rafa Nadal implacabile, estremamente solido, che concede pochissimo, anzi nulla all’azzurro che si arrende in due set 6-1 7-5, e vede allargarsi la forbice dei precedenti che ora sono 8-3 in favore del mancino. C’è poco da recriminare in questa campagna di Fognini sul cemento, non certo la sua superficie. Da cancellare solo l’ultima partita, in cui non è mai riuscito a entrare nel match, a far vedere quel che aveva messo in campo nelle giornate precedenti. Per il resto si può solo guardare avanti, al futuro, che lo vedrà di nuovo protagonista sul veloce, questa volta l’indoor di Charleroi, dove da venerdì a domenica sarà impegnato in Coppa Davis nel quarto di finale contro il Belgio di Goffin. LA PARTITA Il primo pomeriggio di Miami è caldo e ventoso. Un vento che più volte scombina i piani dei due, forse più quelli di Fognini che non del maiorchino. La partita comincia con un messaggio molto chiaro da parte di Nadal, che conquista il primo game al servizio a zero. In quello successivo si porta avanti 0-30 complice un doppio fallo di Fabio in apertura. La tensione si sente, nelle braccia e soprattutto nelle gambe dell’azzurro che appare molto meno mobile e reattivo rispetto ai match contro Young e Nishikori. Fabio tuttavia, dopo la falsa partenza con doppio fallo, recupera e tiene il servizio. Sarà l’unico del primo set che si chiude in appena 25 minuti a favore dello spagnolo per 6-1 con 14 gratuiti di Fognini. La seconda frazione, che parte con Fabio al servizio, mostra l’azzurro un po’ più determinato, anche se in grande difficoltà, tanto che si ritrova subito a rischio di break. Ai vantaggi, si libera dall’impiccio con una buona prima di servizio. Pericolo scampato, ma nel secondo game Nadal mostra subito i denti con un altro game a zero. Se Rafa impiega un minuto a tenere la sua battuta, Fabio si deve impegnare e non poco per mantenere la propria anche nel terzo game, dove le palle break da annullare sono addirittura quattro, le prime tre consecutive. Fognini ci riesce, approfittando anche di un piccolo calo del maiorchino. Stesso film nel quinto gioco ancora più lungo e combattuto che il nostro ha portato a casa, alla sesta palla utile, grazie a due rovesci finalmente spettacolari: incrociato in contropiede quello del vantaggio, lungo linea quello che ha chiuso il game. CALMA Le cose non vanno come dovrebbero, Fabio fatica molto a ogni turno di servizio ma, a differenza di quanto visto troppe volte, non si lascia prendere da isterismo e nervosismo anzi, si fa una risata quando nel settimo gioco Rafa, novello cenerentolo, perde una scarpa tentando di recuperare un un drop-shot. Le speranze che qualcosa possa cambiare arrivano nell’ottavo gioco dove per la prima volta Fognini va ai vantaggi nel game di risposta. Rafa però chiude la porta, non lasciando scampo al nostro che, a questo punto, si scoraggia. Nono gioco da dimenticare per Fabio: una palla corta  portata via dal vento e un doppio fallo consegnano il break a Rafa, che nel game successivo può chiudere la partita dopo un’ora e 29 minuti di gioco. RIPARTIRE Troppi gli errori di Fognini che alla fine conterà nel suo tabellino ben 35 gratuiti, con sei doppi falli, e nessuna palla break conquistata su cinque salvate. Stanchezza, tensione, un problema anche se non grave al braccio destro, sono stati decisivi contro un avversario affamato di una vittoria che a Miami gli è sempre sfuggita. Dopo il match Fognini è svuotato, ha solo voglia di riposare da una settimana comunque carica di soddisfazioni: «Se lasci un set 6-1 a Nadal è piuttosto difficile che poi le cose vadano bene — analizza Fabio nel dopo partita —. Ho avuto qualche problema al gomito durante la settimana, me ne occuperò quando tornerò a casa. Ora ho solo bisogno di riposare e vedere Flavia e poi pensare alla Davis. Si riparte da qui, da un Fabio Fognini più determinato e centrato, che sa cosa fare in campo, e mantiene la calma nei momenti difficoltà (solo una racchetta scagliata quando ormai il match era perso, si parla di record). Si riparte da una classifica che da lunedì lo vedrà passare dal numero 40 della scorsa settimana al numero 28, in una posizione più consona al suo talento. «Mi sto allenando bene ma sto giocando male: quindi devo avere pazienza e lavorare — diceva Fabio Fognini qualche settimana fa. Se il fisico è a posto e continuo a fare le cose giuste i risultati arriveranno, anche se non so quando». Eccoli i risultati, la seconda semifinale in un Masters 1000 in carriera, la prima sul cemento sono i segnali della rinascita. Ora può tornare da Flavia, Nina come la chiama lui, e dal suo bel pancione. La consolazione più dolce

 

Nadal super non fa regali a Fognini (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport)

Un’ora, trenta minuti, ventotto secondi. II tempo necessario per rimandare alla prossima volta il sogno di centrare la prima finale di un Masters 1000. Non ce l’ha fatta Fabio Fognini ieri nella ventosa Key Biscayne: a Rafa Nadal sono bastati due set, 6-1 7-5, per centrare l’ultimo atto dei Miami Open, domani, magari per una nuova puntata del romanzo infinito con Roger Federer (che in nottata ha giocato con Nick Kyrgios). Ma la verità è che ieri si è visto un Fognini a metà, solo mezzo muscolo, nel secondo set, perché nel primo proprio non c’è stato. Il game d’apertura perso a zero, poi il proprio servizio, ma dall’1-1 l’azzurro è scomparso. Non c’era il servizio, alla fine dell’incontro sei doppi falli contro zero, con appena il 55% sulla prima palla e tanti, tantissimi errori. C’era, all’inizio un gran tifo per lo spagnolo, che non ha avuto problemi ad andare avanti fino alla fine del primo set, chiuso in appena 25 minuti. Non era entrato in partita Fognini, appariva quasi inerme, nemmeno le sue reazioni rabbiose, alle quali ci ha abituato. Poi dopo un rapidissima entrata-uscita dagli spogliatoi alla fine del primo set, ecco che alla ripresa dell’incontro finalmente c’era anche Fognini. E qui venivano fuori i tifosi italiani. Cori “Fabio-Fabio’ addirittura, sul 2-2, vantaggio dell’azzurro al servizio, il brasiliano giudice di sedia, Carlos Bemardes, facilitato dal fatto che vive in Italia, a Bergamo, ha dovuto richiamare i tifosi italiano con un “Silenzio per favore”. Si, perché finalmente c’erano due giocatori in campo. Un servizio leggermente migliore, alla fine 5 ace, drop shot fulminanti, scambi da fondo campo e Nadal, in calo, soffriva a tenere il ritmo. Così la partita andava avanti in perfetta parità, nessun break, e sul 4-3 per Fognini, al cambio campo, saltava fuori anche una delle versioni più recenti di “Tu vuo’ fà l’americano” un incitamento a Fabio. Ma la partita però si decideva all’undicesimo gioco con un doppio fallo che regalava a Nadal il break e poi il 7-5. E durante l’incontro Nadal ha perso anche una scarpa, dopo un drop shot di Fognini. «Non so come sia successo – ha detto lo spagnolo – mai capitato prima, dovrò rivedere quel momento». MEZZA PARTTTA. E Fognini? Era tranquillo dopo l’incontro. «Non è stato il miglior modo di cominciare una semifinale – ha però ammesso – poi quando ho cominciato a giocare l’ho messo in dificoltà, anche se Nadal prima ha avuto le chance. Credo che la differenza l’abbia fatta alla fine il servizio, come ha servito, molto bene. lo al contrario purtroppo ho iniziato molto male, ecco la differenza». Il vento, ha disturbato tanto, ma Fognini ha anche aggiunto che c’era per entrambi. Poi le condizioni fisiche, un tallone e il polso che lo stanno torturando. «Torno in Italia soddisfatto per il torneo – ha sottolineato – contento perché potrò rivedere Flavia dopo 63 giorni di lontananza. Adesso c’è la Coppa Davis davanti, con il Belgio, e tutti sanno quanto ci tenga, l’ho sempre fatto, alla maglia azzurra. Ma dovrò prima farmi vedere per il polso e il tallone. Mi ero già fatto visitare anche qui, ora devo aspettare la diagnosi del dottore e poi vedere. All’inizio della partita, non ci crederete, ma quando per la prima volta ho appoggiato il tallone ho sentito una fitta, un dolore incredibile. Poi, una volta scaldatomi, è stato diverso, ma adesso mi sento morto, davvero, stanchissimo e indolenzito». POSITIVO. Ma questa parte di stagione sul veloce l’ha soddisfatto. La semifinale di Miami è solo una tappa, anzi un punto di partenza per raggiungere nuovi obiettivi. «Certo vincere è sempre bello, ma come ho già detto, e lo ripeto anche dopo questa sconfitta, mi sento bene, in campo e fuori. Ho un grande team che mi aiuta, posso dire che sono contento. Il lavoro svolto qui in queste due settimane ha pagato. Adesso devo solo recuperare al meglio per poter affrontare i tornei  europei sulla terra nel miglior modo possibile»

 

Kyrgios tutto tweener e fair-play (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

La Next Gen, per ora, sono loro: Nick Kyrgios e Alexander Zverev, i più vincenti e convincenti nella leva di giovanotti incaricati di prendere il posto, prima o poi, di Federer e Co. I due si sono incontrati giovedì nel quarto di finale più futuribile del Masters 1000 di Miami e stavolta Nick il selvaggio con il suo tennis dispari ha disarmato in tre set (e al sesto matchpoint) il più ordinato ma meno creativo Sascha. Fornendo, fra l’altro, ampi saggi del suo talento sconcertante: un passante incrociato vincente tirato in mezzo alle gambe, un paio di altri tweener piazzati con una scioltezza da giocoliere, e soprattutto un Occhio di Falco chiamato su una palla chiamata a suo favore nel settimo game del primo set solo per restituire il punto all’avversario: un fair-play quasi surreale. Del resto i due sono amici, più di una volta nel match sono scoppiati a ridere insieme come compagni di banco. «Sascha è un grande – ha riconosciuto alla fine Kyrgios – con lui non basta giocare al 70%, ti serve il 100%. Ci aspettano tanti altri scontri», A tutti e due hanno già incollato l’etichetta dei Predestinati, dei futuri numeri 1, ma proprio la vicenda di Kyrgios dimostra quanto sia complicato costruirsi, oltre il gioco, anche una mente da fuoriclasse. Il ragazzo di Canberra fin da quando tre anni fa è atterrato come un meteorite a Wimbledon, schiantando Rafa Nadal sui sacri praticelli, ha vissuto sul confine bruciante che separa la stella dalla cometa. Grandi titoli, grandi polemiche. Qualche partita vinta alla grande, anche grazie ad un servizio impressionante – non solo con la prima palla – la sua seconda viaggia spesso più veloce delle prime di Djokovic… – tante occasioni buttate via in maniera sconcertante. E poi comportamenti borderline, litigi continui con gli arbitri, e multe salatissime culminate l’anno scorso nella qualifica per otto settimane dopo il match “sciolto” contro Mischa Zverev, il fratello di Alexander, a Shanghai, quando urlò “siediti e stai zitto” a uno spettatore. Rientrato agli Australian Open ha dovuto incassare una sconfitta amara contro Andreas Seppi, e lì ha rischiato davvero di perdersi. «Ho passato un momento buio», ha confessato a Miami. «Non avevo voglia di andare ai tornei, non volevo allenarmi, non volevo fare niente. Ho provato a lavorare con un preparatore tecnico, ma è stata dura. Ho anche pensato di prendermi qualche mese di pausa dal tennis». La salvezza è arrivata da chi gli sta vicino: la famiglia, la fidanzata tennista Ajla Tomljanovic («devo ringraziare loro») e un suo ex collega che la fatica di essere sempre in lotta con il mondo la conosce bene: il capitano di Coppa Davis Lleyton Hewitt «Lleyton ha telefonato per chiedermi di giocare in Coppa Davis, ritrovarmi con i compagni di squadra mi ha fatto decisamente bene». Nick è rinato a Indian Wells, dove ha battuto (perla seconda volta nel 2017 dopo Acapulco) Novak Djokovic prima di ritirarsi per una intossicazione prima dei quarti contro Federer; anche a Miami ha recitato da protagonista. Dopo tante false partenze l’inizio di una nuova carriera? «Ho cambiato mentalità. Mi sto allenando seriamente e cerco di divertirmi. In campo sto concentrato su ogni punto. Spero che i fan lo capiscano e mi diano una seconda possibilità. In campo mi capita di infuriarmi, e magari non vado d’accordo con tutti, ma fuori non ho mai fatto nulla di male: non mi ubriaco, non sparo, non rubo. No, non sono un cattivo ragazzo». Provaci ancora, Nick.

 

Fognini a metà riparte da qui (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Un tentativo onesto, alla fine. Quanto meno nelle intenzioni. Disorganico e multiforme, magari, certamente poco omogeneo nella partitura cui Fognini ha dato vita, ma pazienza, non era giornata per almeno tre buoni motivi, il ven-taccio che attraversava Key Biscayne e gli impianti di Crandon Park da un mare all’altro, quasi senza trovare ostacoli, qualche fastidio all’avanbraccio sfrigolato da una settimana di tennis ad alta concentrazione cui Fabio non è abituato, e il terzo, il più importante: Nadal. Vero, avremmo gradito un tentativo assatanato, cazzuto, esagerato, appassionato, vigoroso, spericolato. Insomma, un tentativo diverso… Avremmo preferito che fosse Fognini a zompare sulle spalle di Nadal, ad allisciargli ben bene la sparuta pelliccetta che indossa a mo’ di cappello, in attesa che il trapianto faccia effetto. Avremmo persino accettato che Fabio uscisse da qualsiasi cliché politicamente corretto, e si lanciasse in una pubblica invettiva contro il padrone spagnolo, in difesa del buon diritto di tutti i tennisti a provare, almeno una volta, una sola volta nella vita, la goduria di una finale d’alto bordo. Un sindacalista del tennis, sarebbe stata una novità. Ma ci accontentiamo gioco forza dell’onesto Fognini di ieri, che rinuncia a giocare il primo set e poi trova modo di mostrare colpi che Rafa ha visto soltanto nelle migliori giornate di Federer. Ci accontentiamo, ma solo a patto che Fabio torni a provarci di nuovo nei prossimi tornei. E poi ancora, nei successivi. E ancora, e ancora. Di buono c’è che il nostro sapeva esattamente che cosa fare. Di meno buono, anzi, di pessimo, il fatto che si sia limitato a farlo in un riquadro di match troppo breve, dieci game, non di più. Ha dato l’impressione, Fognini, in avvio di questa prima semifinale di un Masters 1000 americano (la prima in assoluto per un tennista italiano), di avere troppi propositi, troppi progetti per la capa. E troppa timidezza, per scrivere con leggerezza un capitolo della sua carriera che, forse, avrebbe meritato un incipit più espressivo, più aggressivo, quanto meno più robusto. Certo, Nadal lo ha aggredito come farebbe una fiera a difesa della preda appena catturata, e vedersi addosso quell’energumeno scalciante e ululante non ha migliorato la traballante auto-stima del nostro. Ma a Fabio è mancata quella traccia di positività in grado di mostrargli la faccia meno torva della medaglia. Caspita, Fabio, ma se quello ti carica a testa bassa, è perché ti teme, no? E allora, perché tante remore? Tanto disagio? Tanti sensi di insufficienza? Il perché Rafa temesse Fabio, lo si è visto nella seconda parte del match. Il primo è filato via fin troppo svelto, appena 25 minuti fra refoli e brutture. Fabio recitava il copione studiato, nei panni di chi non voleva dare a Rafa una palla uguale all’altra, ma lo faceva senza trasporto, quasi come un automa. Poi si è sbloccato, proprio nei game iniziali della seconda frazione, e ha preso a recitare con straordinaria espressività, attirando Rafa su ritmi più umani, e permettendosi alcuni monologhi d’autore. Con la smorzata, innanzitutto, eseguita con la grazia di una carezza alla donna amata; con il rovescio in contro balzo, che Rafa ha visto sfilare rifiutandosi di capire che cosa fosse; e con il servizio verso sinistra, stretto al punto da sembrare tracciato con il goniometro. Tanta bellezza, e così poco tempo per gustarla. Dieci game è durato il testa a testa e Nadal ha rischiato anche una crisi di nervi. Poi Fabio è incappato in un game storto, un gioco alla battuta (quasi nulla la seconda di servizio) che evidentemente gli avanzava dal primo set, e lì la corsa è finita. L’onesta corsa, come si diceva. E’ stata una settimana che lascerà a Fognini molte e buone sensazioni, un piccolo record nostrano (quello appunto, di aver sfatato un tabù con la presenza in semifinale) e un più che discreto ventottesimo posto nel ranking che lo riporta fra le teste di serie nei tornei che contano. In attesa della terra rossa, e di un figlio (tutto dice che potrebbe arrivare proprio nei giorni degli Internazionali), s’intravedono elementi tali da promuovere una svolta, magari proprio quella che Fabio sta aspettando. Rafa si tiene stretta la sua preda, una finale – l’ennesima era la 59a semifinale di quelli da un po’ chiamati Masters 1000, con 41 vittorie – rimediata senza giocare benissimo. La quinta a Miami (dieci anni fa la prima), che poi è uno dei pochi tornei non ancora conquistati dal maiorchino.

 

Il vento spinge Nadal, Fognini saluta Miami (Gianni Clerici, La Repubblica)

Chi, lontano appassionato come lo scriba, non ha avuto la fortuna di seguire, in televisione, i precedenti match di Fabio Fognini, è incapace di capire l’entusiasmo di molti esperti italiani. II Fognini visto questa sera, dominato da un Nadal che pare una copia, solo a tratti ben riuscita, del vero Nadal, è ancora l’instabile tennista che ci ha dato più speranze che conferme. II 6 a 1 del primo set è effetto di una giornata negativa, forse di un ventaccio marino che avrebbe costretto anche altri skipper ad ammainare le vele. Ventotto punti a dodici sono un sorprendente risultato per chi era riuscito a raggiungere la semifinale contro gente quale il molto fastidioso Harrison, Sousa, Chardy, Young e soprattutto Nishikori. Si capisce che il ventaccio sia meglio gestibile da chi, come Nadal, può addomesticare i refoli e magari servirsene, con le sue super rotazioni. Sono però rimasti in attesa che Fabio provasse a immaginare un modo per contrastare i vantaggi che Rafa otteneva dalla giornata marina, tanto più adatta a un isolano che ad un nativo della Riviera Ligure. II miglioramento che Fabio è riuscito a risvegliare dentro a sé nel secondo set non è pero stato sufficiente a scalfire Rafa. Fognini non è riuscito ad avvicinarsi a una sola palla-break e, sul cinque pari, ha subito di nuovo un parziale atrocemente negativo di otto punti a due. II suo sesto doppio fallo è stato infatti il simbolo che l’ha privato insieme della battuta, e di una partita ahilui tanto negativa che deve averlo deluso non meno dello Scriba. Rimaniamo quindi in attesa di un figlio di immigrati, alla Kyrgios, considerata l’età nei nostri eroi trentenni che affronteranno la settimana prossima il Belgio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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