Con il successo a Miami Johanna Konta ha regalato una vittoria importante al tennis femminile britannico dopo molto tempo; occorre infatti risalire a quarant’anni fa per trovare un’affermazione di maggiore prestigio (Virginia Wade a Wimbledon 1977).
Alla finale in Florida sono arrivate due fra le giocatrici più preparate sul piano fisico del circuito femminile, Konta e Wozniacki. Al loro livello, in termini di resistenza e solidità fisica, nei piani alti del ranking forse c’è solo Angelique Kerber, che però in questo momento sta vivendo una fase di appannamento, quasi fisiologico dopo gli exploit del 2016.
Non solo ottime tenniste, dunque: Konta e Wozniacki sembrano poter essere all’altezza di discipline ben più faticose, come il triathlon o la maratona. A me danno la sensazione di possedere una “struttura” di base eccezionale, e non è un caso che abbiano sopportato meglio di tutte le fatiche di Miami: un torneo giocato su un cemento non rapido, con un clima caldo-umido che portava ad allungare gli scambi, e a trasformare le partite in impegnative verifiche di tenuta allo sforzo. Una dimostrazione di quanto i match in Florida fossero duri si è avuta nella prima semifinale, quella disputata nelle ore più calde: dopo aver vinto un primo set lottatissimo contro Wozniacki, Karolina Pliskova è andata in crisi. In riserva di energie, ha perso di brillantezza, e si è fatta irretire dal gioco dell’avversaria, finendo letteralmente “cotta”, con un parziale di 2 game a 12 (5-7, 6-1, 6-1).
Al contrario di quanto mi aspettavo, però, il confronto diretto della finale non ha messo alla prova le doti fisiche delle due contendenti, perché la partita è stata quasi sempre nelle mani di Konta, e si è risolta in tempi piuttosto brevi (6-4, 6-3). Dunque più che le ragioni fisiche sono state decisive quelle tecniche, e se dovessi provare a individuare un solo colpo che ha fatto la differenza sceglierei la risposta. Johanna è stata straordinariamente abile a rispondere con regolarità molto profondo e aggressivo (spesso centrale, nei piedi di Wozniacki), e così Caroline è risultata quasi sempre in difficoltà in uscita dal servizio, costretta a subire l’iniziativa dell’avversaria fin dai primi colpi dello scambio.
Però l’aspetto che questa volta vorrei approfondire è un altro, e non si limita alle finale di Miami, che per il mio ragionamento costituisce semplicemente il punto di partenza. Il tema è più generale, ed è questo: spesso, forse troppo spesso, si tende a considerare le giocatrici come entità tecniche immutabili. Sulla scorta dai match disputati nel passato, le caratteristiche di ognuna vengono definite dagli osservatori e fissate dentro uno schema interpretativo: c’è la tennista attaccante, quella difensivista, chi ha un colpo particolarmente debole, chi ha problemi di mobilità, chi fatica a rete, etc etc.
Ma c’è un pericolo: se le giocatrici lavorano su se stesse, modificando certe caratteristiche, il loro tennis può cambiare; e se non si è pronti a correggere le valutazioni precedenti si verifica uno scarto tra la realtà e l’idea di riferimento: il giudizio diventa uno stereotipo, fino a generare errori di analisi, a causa di schemi interpretativi ormai obsoleti.
Faccio un paio di esempi concreti. Vedevo giocare una contro l’altra Konta e Wozniacki; quasi coetanee, ma con alle spalle due carriere estremamente differenti, e però con alcuni punti in comune. A cominciare dai cambiamenti nel dritto.
Per Johanna Konta fino a un paio di stagioni fa il dritto era il colpo di base tecnicamente più debole: con un movimento incerto, macchinoso, meno efficace e più falloso del rovescio. Ma poi in campo a Miami ha comandato le operazioni grazie anche a un dritto enormemente cresciuto e sempre più incisivo.
Ma forse ancora più articolato è il ragionamento da fare sul dritto di Wozniacki: un colpo che ha attraversato periodi con alti e bassi di rendimento molto marcati. Ricordo la Caroline diciottenne mettere alla frusta Serena Williams a Sydney 2009 (partita persa per 6-7, 6-3, 7-6), spingendo da fondo con entrambi i fondamentali, come una giocatrice quasi del tutto simmetrica.
Poi, dopo essere diventata numero uno del mondo, Wozniacki si era fatta ingolosire dai soldi degli sponsor e aveva cambiato racchetta. La sua dichiarazione in proposito era stata: “Da junior ho usato diversi modelli, non sono preoccupata di cambiare. Posso giocare a tennis anche con una padella per friggere”. Ma dopo essere passata dalla Babolat alla Yonex, non era riuscita a trovare un attrezzo adatto al suo tennis; era iniziata una fase di crisi del dritto, un indebolimento che probabilmente era stato una delle cause del suo declino complessivo.
Caroline era poi tornata alla vecchia racchetta, ma ormai aveva perso sicurezza, e le avversarie avevano cominciato a martellarla sul lato destro. Per alcune stagioni era stata incapace di far viaggiare la palla di dritto, tanto che per evitare il confronto sulla diagonale destra doveva fare ricorso alla soluzione più ovvia: utilizzava un sistematico lungolinea (per spostare il prima possibile il confronto sulla diagonale dei rovesci) che però risultava una parabola debole, senza che producesse reali fastidi a chi la fronteggiava.
Dopo il picco massimo di crisi, coinciso con il periodo del mancato matrimonio con McIlroy. Caroline ha però cominciato a riprendersi, e finalmente il dritto ha recuperato di efficacia. Oggi il colpo non è potente e incisivo come il rovescio, ma di sicuro è ben più solido rispetto ai momenti bui: e così Wozniacki ha ritrovato una certa simmetria che richiede alle avversarie accorgimenti tattici meno banali rispetto al solo insistere sul suo lato destro.
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