Clerici: "La scrittura è come il tennis. Perfino Federer mi annoia"

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Clerici: “La scrittura è come il tennis. Perfino Federer mi annoia”

Lo storico cronista si racconta al quotidiano “La Verità” e spiega come l’ossessione per la tecnologia abbia eliminato gli errori. “Senza alti e bassi né imprevisti si perde l’umanità. Sport e letteratura sono sempre più piatti”

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Parla Gianni Clerici: “La scrittura è come il tennis. Oggi perfino Federer mi annoia” (Giorgio Gandola, La Verità)

E arriviamo ai gesti bianchi. Una battaglia fisica e mentale con una rete in mezzo per non sbranarsi. Ma adesso domina la noia. Colpa del sublime (ed eterno) Roger Federer?
Lui è un fenomeno, riassume in sé l’essenza del mio sport. Se rischiamo la noia non è colpa sua, ma delle racchette. Quando si passò dal legno al metallo si sbagliava molto meno. Ora carbonio, strumenti spaziali. I giocatori non sbagliano più e dal campo esce la variabile più affascinante della vita umana, l’errore. In laboratorio stanno provando racchette con microchip che comunicano al computer ogni impatto per azzerare gli errori. Tutto ciò è disumano e lo pagheremo.

Perché finisce il fascino o perché vinceranno sempre gli stessi?
Qualche anno fa il baseball commise la stessa imprudenza. Negli Stati Uniti vennero adottate le mazze di plastica e per una stagione si videro solo fuoricampo. La gente si annoiò e gli spettatori si dimezzarono. Allora la Lega decise di tornare indietro, e lo fece di corsa. Business is business, altro che tecnologia.

Oggi non c’è tv che non trasmetta lo sport a due voci. Lei e Rino Tommasi inventaste un format.
Merito anche di Berlusconi, che importò gli sport americani dove la doppia conduzione era obbligatoria. L’uomo era avanti, nella comunicazione aveva visioni premonitrici. Il resto l’abbiamo messo noi, raccontando ciò che accadeva come se fossimo in diretta da una tribuna stampa. Tommasi snocciolava le statistiche e io provavo a trasformarle in conversazioni. Nacque un genere.

C’è chi oggi, davanti al ventesimo palleggio, rimpiange la follia di John McEnroe.
Non io, era uno sbruffone. Mi spiace dirlo perché ero amico di suo padre. Un giorno mi presentò la mamma di quel fenomeno e io non riuscii a trattenermi. Le dissi: signora, perché quando era bambino non gli ha mai dato quattro sberle? Lei mi rispose: “C’era da avere paura già allora”.

Preferiva Bjorn Borg?
Un bravissimo ragazzo, un tennista immenso che non riuscì mai a sostituire il campo con la vita. Una sera, poco prima di ritirarsi, andammo a cena a Las Vegas con Rino Tornmasi. Borg ci chiese: cosa fareste al mio posto? Era terrorizzato. Fu vittima di tutti e di tutto. Ricordo quando andai all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e lo trovai distrutto da un cocktail di oppio e alcool. Firmò per uscire il giorno dopo e contenere lo scandalo.

Il giocatore che più l’ha impressionata?
Eravamo agli Open degli Stati Uniti. Il giornalista Bud Collins mi disse di correre al campo 16 dove giocava la più grande speranza americana di sempre. Io vado e vedo due ragazzini, uno sembrava un cinese e l’altro un messicano. Uno era bravo e l’altro un fenomeno. Torno da Collins e lui mi chiede: visto il cinese? Si chiama Michael Chang, sarà numero uno. Per me il genio era l’altro. Era Pete Sampras.

E l’italiano più bravo di sempre?
Nicola Pietrangeli. Due Roland Garros, grande personalità. E poi è l’unico che ho battuto.

Leggi l’intervista completa su La Verità

Qui la rassegna stampa completa di oggi

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