Djokovic ringrazia il braccino di Simon (Crivelli). Lorenzi, successi e fantasia di un medico mancato (Clerici). Bentornate Maria e Petra, il tennis ritrova due stelle (Semeraro)

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Djokovic ringrazia il braccino di Simon (Crivelli). Lorenzi, successi e fantasia di un medico mancato (Clerici). Bentornate Maria e Petra, il tennis ritrova due stelle (Semeraro)

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Djokovic ringrazia il braccino di Simon (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Tutto ciò che vuoi è dall’altra parte della paura. Djokovic guarda in faccia l’abisso, sta per essere inghiottito dal buio, ma l’ultima qualità che abbandona un campione come lui, capace di sublimare la forza mentale fino a renderla il marchio dell’invincibilità nel lungo periodo in cui era il dominatore intoccabile del circuito, è la capacità di raggruppare di nuovo i nervi e controllarli nel momento della decisione definitiva, mentre l’avversario si scioglie a un passo dalla meta. Simon, l’ineffabile Simon, il nizzardo testardo che in Australia nel 2016 portò al quinto set il Nole più forte di sempre, perdendo nonostante i 100 errori gratuiti del serbo, arriva a servire per il match sul 5-4 del terzo set, rischiando di sprofondare il numero due del mondo in una crisi forse irreversibile, attorcigliato attorno ai dubbi atroci degli ultimi dieci mesi che certo questo pomeriggio monegasco di vento e nuvole non ha dissipato.

E invece Gilles si fa attanagliare da quello che i connazionali, con sottile ironia, chiamano petit bras, il braccino, e con quattro gratuiti restituisce vita e sostanza a Djokovic, che non aspettava altro di essere resuscitato per sfuggire finalmente a un destino di amarezze rinnovate, infilando i tre game della salvezza, almeno per questa volta: «È stato un match lungo — sospira il francese numero 32 del mondo — e sono successe molte cose: fin lì ero stato più calmo di lui, e invece mi sono innervosito, perdendo precisione nei colpi. Avrei dovuto prolungare la tranquillità, non ci sono riuscito.. Novak può così coinvolgere il pubblico nella solita esultanza a petto in fuori, ma fino al prossimo turno, dove affronterà Carreno o Khachanov, non riuscirà a cancellare l’immagine che ormai l’accompagna dalla vittoria al Roland Garros, l’ultimo lampo del fuoriclasse totale, cioè quella di un giocatore troppo alterno, con il servizio ballerino (63% di punti con la prima), che perde concentrazione addirittura all’interno dello stesso game, che concede ai rivali troppe opportunità di risalire in situazioni virtualmente già chiuse e nell’occasione pure molto fallace con il dritto, il colpo più costruito, sintomo di scarsa lucidità. Il Djoker era avanti 6-3 3-1 e il rapace di un anno fa mai avrebbe concesso a Simon, all’inizio troppo timido e poi salito soprattutto di gambe fino a costruire la solita ragnatela con cui resta attaccato con tigna a ogni scambio, di infilare cinque game di fila per il secondo set e poi di avvicinarsi a tre punti dal successo.

Sarà il domani a denudarne e smascherarne le condizioni effettive, ma Djokovic deve ovviamente trarre linfa vitale anche da spaventi come questo: «Ho controllato il match per quasi un’ora con un tennis solido, poi lui è salito di livello e io ho cominciato a prendere più rischi, con qualche errore di troppo. Non mi ha più dato la possibilità di trovare gli angoli e nel terzo è stata una battaglia. Potevo anche perdere, non ci sarebbe stato nulla da dire e lui avrebbe meritato, ma essere uscito da una situazione così difficoltosa mi dà una spinta positiva ed è ció che di buono devo portarmi via da questo match».

Se Montecarlo, il torneo letteralmente di casa sua, sui campi dove si allena quando non è in giro per il mondo, doveva contribuire allo sprint per la ripartenza e verso una nuova vita, come l’ha definita lui stesso, occorrerà almeno un ripasso, pur se le pareti del futuro restano lastricate di buonissime intenzioni: «Mi è stata messa subito davanti una grande sfida ed è stato molto bello superarla, anche se ovviamente non mi sono espresso al livello che avrei voluto. Tenete conto che non giocavo sulla terra dalla finale di Parigi di un anno fa, ma se doveva essere un nuovo inizio significa che posso coltivare speranze, perché ho fiducia nel lavoro che sto facendo. Si tratta solo di concentrarsi su quello che mi serve e che mi aiuta a giocare meglio, ma in ogni caso qui non posso avere paura di nessuno». Come può coltivare timori l’uomo che nel 2013 interruppe a otto la striscia magica e principesca di Nadal, che due anni dopo si ripetè contro Berdych e fino a giugno di un anno fa macinava record e avversari? Il suo mondo forse è cambiato, ma l’orgoglio non si annacquerà mai: «Ambizioso per il torneo? È una parola che cambierei, mi definirei ottimista (…)

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Lorenzi, successi e fantasia di un medico mancato (Gianni Clerici, La Repubblica)

Da bravo cronista, quale credo di esser sempre stato, sono andato un quarto d’ora prima dell’inizio nei dintorni del campo N. 9, sul quale era prevista la partita dell’ultimo italiano superstite, dopo l’eliminazione di Fognini e Seppi, Paolo Lorenzi. Il Campo Nove, per chi abbia una vaga idea della costruzione del Montecarlo Country Club, dovuta al Commodoro americano Butler, ai tempi in cui gli anglosassoni avevano scoperto la Riviera in anticipo sui francesi, si trova sotto la provinciale che collega Mentone a Montecarlo, strada oggi ingombra di auto in modo scoraggiante. C’è una discesina che collega la strada col campo ma, dopo aver invano tentato di accedere alle seggiole disposte per ospitare gli spettatori, strapiene, mi sono rassegnato a non assistere, se non grazie ai suoni degli spettatori italiani, al match che opponeva l’ultimo connazionale allo spagnolo Marcel Granollers. Per mia fortuna, mentre intorno a me gli appassionati si lagnavano di aver acquistato dai bagarini, intorno agli ottanta euro, dei biglietti d’ingresso che costavano 37, un bambino, Guglielmo, che pareva avermi riconosciuto, quale amico di suo nonno, mi ha mostrato uno smart phone, dicendomi « Se vuoi il match lo guardiamo qui. Basta collegarsi al sito Watch Live Tennis on Line, e vediamo tutto».

Mi sono così reso conto che Lorenzi giocava contro un pelotaro spagnolo, o meglio una sintesi dei pelotari che sono usciti in questi annida Barcellona e dintorni, un tipo chiamato Marcel Granollers. Guglielmo mi ha poi informato che il pelotaro aveva trentun anni, era alto un metro e novanta, utilizzava, guarda caso, un rovescio bimane, ed era classificato N. 65 del mondo. Contro questo tipo, da sempre dedito al tennis, Lorenzi, che aveva dedicato parte della sua vita alla medicina, è riuscito a prevalere grazie alla maggior creatività. Se lo spagnolo non si scostava dal rovescio bimane incrociato, e da un diritto roteante anch’esso incrociato, Lorenzi cambiava spesso le sue traiettorie, le trapuntava di drop, e addirittura di qualche discesa a rete. L’aspetto negativo di simile match seguito sullo smart phone era che, spessissimo, le immagini giungevano in vivo ritardo sull’applauso, ed eravamo, Guglielmo e io, costretti a un aspetto sonoro della partita che non coincideva con i punti spesso entusiasmanti, del nostro eroe.

Dopo una vittoria, netta, nel primo set per 6-2, e contrastata nel secondo, con un finale complicato, dal 4 pari in poi, da due games terminati 4 punti a 2, e 6 punti a 4, avrei ringraziato Guglielmo, per assicurargli, grato dello smart phone, un autografo del vincitore. Squisito nell’offrirmelo, e un tantino deludente soltanto per avermi confermato i suoi dubbi circa la conclusione dei suoi studi universitari. Rifletto, sulle mie ultime righe, per domandarmi, una volta di più, se il Paese necessiti più di medici o tennisti. Certo, i medici sono indispensabili. Ma qualche nuovo tennista non sarebbe male. Ne hanno ben 5 nei primi 32 i francesi, e l’ultimo tra loro, che potrebbe venire in bici dalla vicina Nizza dov’è nato, è andato vicino ad eliminare un Djokovic in condizione insolitamente modesta, un Djokovic trasformato, da quello che ricordavo, in più che incerto regolarista. Nei 3 games finali, per l’emotività del francese, che era stato avanti 5-4 nel terzo, Nole è riuscito a raccattare 12 punti a 5, e ad approdare al turno successivo (…)

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Bentornate Maria e Petra, il tennis ritrova due stelle (Stefano Semeraro, La Stampa)

AAA Storie dal gran finale in rosa cercasi. E soprattutto sperasi. II karma del tennis femminile al momento, diciamocelo, non è brillantissimo. Angelique Kerber si è rivelata una n. l troppo fragile – tanto che lunedì sarà risorpassata da Serena Williams, che pure non gioca dagli Australian Open e pensa soprattutto a provarsi bikini e abiti da sposa -, le damigelle d’onore non entusiasmano. Così tocca affidarsi ai Grandi Ritorni della primavera-estate: quello attesissimo di Maria Sharapova, la prossima settimana a Stoccarda, e quello di Petra Kvitova, risanata dopo l’accoltellamento del rapinatore che nello scorso dicembre l’ha costretta ad operarsi a una mano, al Roland Garros o più probabilmente a Wimbledon.

La rentrée di Masha, che proprio oggi compie 30 anni, si è rivelata prevedibilmente divisiva. Con l’eccezione della vecchia rivale Kuznetsova, dell’ex moroso Dimitrov, di Djokovic e Nadal, quasi tutti i colleghi le hanno soffiato contro, criticando i tornei di Stoccarda, Madrid e Roma che hanno deciso di offrirle una wild card invece di costringerla alle qualificazioni (visto che non ha più classifica). Una tassa che invece le toccherà a Parigi, perché il neo-presidente della federazione francese Giudicelli considera «un cattivo esempio» agevolare un’ex dopata. «Ho scontato la mia pena, perché accanirsi tanto?», si è chiesta la diva raccontando a «Le Parisien» come ha trascorso l’ultimo anno e mezzo. Finalmente in campo «Per i primi 5-6 sei mesi avevo l’impressione di vedere solo gli avvocati. È stato difficile, perché non ho tanta pazienza.

Il mio coach poi voleva che mi tenessi in forma così mi ha mandato una di quelle bilance che misurano la massa grassa: ogni mattina ci salivo sopra, mi facevo una foto e gliela spedivo». Maria è tornata anche a scuola, frequentando da coscienziosa businesswoman alcuni stage organizzati dalla Nike, dalla Nba e da una agenzia di pubblicità a Londra. «Nel 2008 quando mi operai alla spalla avevo paura che la mia carriera fosse finita, stavolta rimanere lontana dai campi mi ha fatto capire che la mia vita dopo il tennis non sarà male».

Gli sponsor, quasi tutti, le sono rimasti vicini. La gente, in fondo, l’ha perdonata. «Riparto dal basso, anche con le wild card dovrò faticare per risalire. A Stoccarda fa comodo avere il mio nome in cartellone, considerato che sono una testimonial Porsche? Sì, ma come Madrid e Roma avrebbe avuto successo lo stesso; se mi hanno invitato è perché mi stimano. Io mi considero un’artista, il campo è il mio palcoscenico, ora voglio solo tornare a essere una campionessa». Ambizione condivisa dalla Kvitova. Dopo l’aggressione la situazione era parsa grave, sul suo profilo Instagram la mancina ceca, due volte campionessa a Wimbledon, ha voluto tranquillizzare tutti: «Il mio nome è nell’entry list di Parigi, proverò a esserci (…)

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