“È cotto come un copertone!” avrebbe detto di Novak Djokovic il mio amico e metà del “duo Primavera” dei telecronisti di Tele+ Roberto Lombardi che amava e usava spessissimo quell’espressione.
CINQUE MINUTI DOPO IL K.O. – Cinque minuti dopo la sconfitta, anzi la resa di Novak Djokovic (avesse avuto un coach all’angolo avrebbe gettato l’asciugamano!) con Dominic Thiem, ho pubblicato un instant post sotto alla tempestiva cronaca scritta su Ubitennis da Ruggero Canevazzi sul match vinto da Thiem. Lo copio e lo incollo qui con un virgolettato che magari la redazione mi “passerà” in corsivo. Ma all’interno di esso faccio qualche piccola integrazione che ritengo necessaria.
LA SOFFERENZA DI ASCOLTARLO – Ascoltare Novak Djokovic dopo questa partita, e soprattutto dopo quel 6-0 senza lottare, è stata una piccola sofferenza. Perchè Nole sembrava un uomo distrutto e incapace di capire come venire fuori da questa situazione, per via di troppe cose, incluso il cambio in corsa di un team che lo ha seguito per anni (Marian Vajda più di tutti). È venuto pochi minuti dopo essere stato sbattuto fuori dal torneo che lo scorso anno aveva vinto e alla cui conclusione, come abbiamo prontamente pubblicato, non sarà più nemmeno n.2 del mondo dopo 6 anni. Novak rischia addirittura di scendere a n.4, perché Nadal lo ha già superato e se Wawrinka vincesse il torneo lo scavalcherebbe anche lui. A Novak è stato chiesto se non avesse addirittura pensato di concedersi un break. E lui non ha escluso di averci pensato. Solo che ha diverse “obbligations” come ha detto.
LE OBBLIGATIONS CONTRATTUALI DI NOVAK – Quella appena firmata con Lacoste deve essere una di quelle. Pesante. Mica può andarsene in vacanza snobbando Wimbledon dicendo bye bye al suo nuovo sponsor che lo ha messo sotto contratto per cinque anni. Certo oggi, oltre che un altro tennista, Novak è sembrato anche un altro uomo, abbattuto ben al di là della sconfitta cui in simili circostanze aveva reagito diversamente. Non è più lui e non gli sarà così facile ritirarsi su perchè è lui per primo a dare la sensazione di dubitare di se stesso e delle sue possibilità di recupero.
HA DECISO TUTTO IL PRIMO SET. MA COME? – Mi ha colpito soprattutto quella sua frase in risposta alla prima domanda: “All in all, it was decided in the first set”. Ma vi pare possibile che un Djokovic abbia mai detto prima che un match è stato deciso già nel primo set? Il vero Djokovic non l’avrebbe mai detto, non l’avrebbe mai pensato, e soprattutto non avrebbe mai dato la sensazione di averlo pensato – e di esservisi rassegnato… – già sul campo, già nel corso del secondo set nel quale ha subito il break immediatamente all’inizio, per non parlare della resa incondizionata nel terzo.
A NADAL NON SUCCEDERÀ MAI E A ROGER… – Non credo che una cosa del genere succederà mai a Nadal in uno Slam (anche se per la verità mi sovviene una batosta quasi priva di reazione alle finali ATP contro Roger Federer nel round robin del 2011: un 6-3 6-0 impressionante). Quando Roger Federer perse la leadership mondiale reagì ponendosi l’obiettivo di giocare bene negli Slam, di vincerne uno, più che di tornare a sedersi sul trono del tennis. Se non fosse che chi sopravanzerà Novak, a differenza di quel che accadde per Roger, sarà più anziano di lui o tutt’al più coetaneo, direi che anche Novak potrebbe fare lo stesso tipo di scelta. Peraltro Roger dal diciassettesimo Slam vinto a Wimbledon 2012 ci ha poi messo quasi cinque anni a rivincere uno Slam, l’Australian Open 2017. Oggi Novak aveva l’aria smarrita, quasi persa nel vuoto. Come se avesse le pile completamente scariche. Non mi sono sentito di chiedergli qualcosa e infierire. Aveva davvero bisogno di essere lasciato in pace.
ANDRE TAUMATURGO? NON CI CREDO – Che Andre Agassi possa essere il taumaturgo di una simile situazione, personalmente dubito assai. Anzi, anche se teoricamente l’avvento di Andre al suo fianco (ma per quanto? Quando? Come? Boris Becker ieri mi ha detto, alzando le spalle e le sopracciglia: “Io avevo un impegno per 20 settimane”. Figurarsi se Agassi si assumerebbe un incarico così pesante…) sembrerebbe aver distolto qualche pressione da lui perché gli chiedono più di Andre che altro… in realtà secondo me ne ha aggiunta una supplementare.
LO STRESS DI DOVER DECIDERE TROPPE COSE – Deve essere un bello stress trovarsi a decidere, dopo tutto il battage che c’è stato e che ha certamente giovato agli altri sponsor di Agassi (Lavazza più Longines) oltre che a Lacoste “Che faccio, lo prendo, non lo prendo? Giustifico che lo prendo così? Giustifico che non lo prendo cosà? E con lui chi? Uno che non gli faccia ombra… ma dove lo trovo un altro fedelissimo alla Vajda?” Credetemi, soprattutto finchè le cose non vanno bene… la necessità di trovarsi un coach full-time è un altro bello stress. Non può sbagliare. Mica facile!
IL MOTORE GRIPPATO PER IL SOLO CHE NON SI È MAI FERMATO – A tutto ciò aggiungo adesso: il motore di Novak Djokovic ha chiaramente grippato. Lui non si è praticamente mai fermato. Da una decina d’anni a questa parte. Il fisico, salvo qualche problemino al polso, non gli ha mai creato veri e duraturi problemi. Ha giocato incessantemente un torneo dopo l’altro. Invece Nadal, magari suo malgrado, una volta per il ginocchio e un’altra per il polso, si è fermato a mesate intere. Suscitando – anche qui suo malgrado – illazioni a tutta randa da chi poco lo rispetta. Murray idem con patatine. Per via della schiena, prima e dopo l’operazione, ha quasi perso un anno. E al contrario di Djokovic Murray ci ha messo un bel po’ di più a salire ai vertici del tennis mondiale. Coetaneo di Novak è stato certamente meno precoce nell’ascesa ai posti alti del ranking mondiale.
WAWRINKA IL PIÙ FRESCO DI QUATTRO SEMIFINALISTI – Con meno anni fra i top è più fresco insomma, anche se non quanto Stan Wawrinka che proprio dopo aver stradominato Marin Cilic stasera ha spiegato: “Sì, sono il più vecchio dei semifinalisti con i miei 32 anni (il più vecchio dai tempi di Jimmy Connors nel 1985 qui – ma Jimbo arrivò in semifinale a New York nel 1991 a 39 anni e Rosewall a 43 in Australia!), ma sono soltanto 5 anni che sono quasi stabilmente fra i primi cinque del mondo, quindi sono più fresco di chi è lì da una decade… Il tennis è cambiato enormemente. Guarda ai primi 5 oggi, tutti oltre i 30 anni. Non era mai successo prima. Con Roger e Rafa abbiamo avuto grandi esempi. Oggi i giocatori giocano più a lungo. È più difficile arrivare in cima da ragazzini, oggi ci vuole una maggior maturità, molto più lavoro, fisico e mentale. Sì, faccio parte dei più anziani ma come dicevo sono lassù soltanto da 5 anni, ecco perché sono così… intatto e preservato e ancora molto, molto motivato”. Roger Federer ha avuto un paio di anni difficili dopo aver vinto Wimbledon nel 2012. Nel 2013 ha vinto un solo torneo, Halle, e negli Slam da quel Wimbledon è stato per 4 anni e mezzo senza vittorie e con 3 sole finali in 15 Major prima di tornare al successo quest’anno in Australia (ma saltandone anche due). E guarda caso quest’anno si è ripresentato più pimpante e fresco di prima, dopo essersi fermato lo scorso anno dopo l’Australian Open per qualche mese e poi, di nuovo, per sei mesi dopo Wimbledon. Ma anche in passato – sia pur senza soffrire di particolari traumi fisici… salvo sì ogni tanto la schiena – Roger ha ogni tanto intelligentemente staccato la spina, fra la nascita delle gemelle e dei gemelli, il matrimonio. Ha dosato la programmazione, approfittando delle regole che consentono agli ultratrentenni e a chi ha giocato un numero importante di gare di saltarne alcune, di poter rinunciare ai Masters 1000 senza subire conseguenze.
TUTTO UN PAESE, LA SERBIA, SULLE SPALLE COME NESSUNO – Aggiungo infine, e poi vi lascio a pensieri più ameni, che nessuno dei 5 top ultratrentenni in cima al ranking ATP (e ci sarebbe anche del Potro che di riposi involontari è stato costretto a farne fin troppi) si è mai sobbarcato sulle spalle tutto un Paese come ha fatto Djokovic. Ciascuno dei Fab Four è l’orgoglio della propria nazione, ma nessuno è diventato il vero ambasciatore del proprio popolo come Novak. Murray ha dovuto affrontare la pressione di dover vincere Wimbledon e la Davis in un Regno che era… rimasto a Fred Perry, ma forse perché scozzese, non ha mai dovuto rappresentare anche “politicamente” il Regno Unito. Nadal è un idolo per tutta la Spagna, ma il suo essere maiorchino lo ha sottratto alla necessità di assumere ruoli diversi da quello del grande tennista. Stessa cosa per Federer: certo i due grandi amici e rivali hanno le loro fondazioni, ma hanno anche chi si occupa di mandarle avanti senza stressarlo troppo. Hanno team di consulenti, p.r., manager che alleviano discretamente le loro incombenze che ci sono ma non sono pesanti come quelle di Djokovic che se domani decidesse di presentarsi alle elezioni in Serbia ne diventerebbe il presidente e ha quindi – e le sente – responsabilità ben diverse. Non parliamo di Wawrinka: ha avuto sempre lo schermo protettivo di Federer. Lui era lo svizzero di riserva. Per anni ha potuto vivere all’ombra di Roger. Magari qualche volta gli sarà pure scocciato subire questo ruolo subalterno, ma di pressione di dover vincere a tutti i costi ne ha avute meno di tutti. E ha potuto maturare bello tranquillo, con molto meno stress.