Federer: la scelta migliore, puntare tutto su Wimbledon (Marcotti). Travaglia, non è tardi (Viggiani). Federer, la pagina da scrivere e un Wimbledon per la storia (Clerici)

Rassegna stampa

Federer: la scelta migliore, puntare tutto su Wimbledon (Marcotti). Travaglia, non è tardi (Viggiani). Federer, la pagina da scrivere e un Wimbledon per la storia (Clerici)

Pubblicato

il

 

Federer: la scelta migliore, puntare tutto su Wimbledon (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

È il favorito non solo dei bookmaker locali, ma anche dei suoi stessi rivali. Un’unanimità di pronostici sorprendente per un giocatore che tra poche settimane compirà 36 anni. Ma dopo il clamoroso rientro nel 2017, con quattro tornei vinti compresi gli Australian Open, è quasi inevitabile ritenere Roger Federer l’uomo da battere ai Championships, al via lunedì. «L’unico modo perché Roger smetta di essere pericoloso è quando si ritirerà», ha dichiarato ieri il suo rivale-amico Stan Wawrinka. Reduce dal nono successo ad Halle (sbarazzandosi in finale di Alexander Zverev), il campione svizzero va alla ricerca dell’ottavo alloro sui sacri prati di Wimbledon. Un obiettivo dichiarato e per il quale ha sacrificato la stagione sul rosso dopo le trionfali settimane sul cemento. Dopo Melbourne, gli squilli a Indian Wells e Miami. Quindi una lunga pausa, per staccare col tennis, riposarsi e probabilmente anche ritrovare le giuste motivazioni, lasciando a Rafa Nadal la possibilità di vincere per la decima volta il Roland Garros («Un fenomeno»). Che Federer ha applaudito davanti alla televisione. «È stata la decisione giusta per me non andare a Parigi, non pretendo che fosse una decisione giusta in assoluto – ha spiegato ieri Federer nella conferenza stampa della vigilia, in attesa dell’esordio di martedi contro Alexandr Dolgopolov – Ho pensato che così facendo avessi le migliori possibilità sull’erba. Non volevo trovarmi un giorno nella situazione di guardarmi indietro e avere dei rimpianti. Volevo fare tutto il possibile per arrivare qui nelle migliori condizioni e penso di esserci riuscito. A Parigi sarei anche stato pronto per giocare. In precedenza non me la sentivo, non avevo le stesse sensazioni prima di Madrid e Roma. Ma a Parigi stavo bene. Prima del Roland Garros mi sono allenato un paio di giorni e sentivo buone sensazioni sulla terra. Tuttavia con il mio team, facendo una valutazione più ampia, ho ritenuto che fosse meglio comunque saltare il torneo per arrivare al meglio a Wimbledon». Preceduto da due appuntamenti, Stoccarda (subito sconfitto, dal 39enne Tommy Haas!) e appunto Halle. «Per alcuni non è stata una preparazione ideale: di positivo c’è che mi sento riposato, di negativo so di avere pochi match nelle gambe. Ma credo di avere abbastanza esperienza per saper compensare». Gestire sforzi, energie (soprattutto mentali), impegni per allungare la carriera. Ormai è la sua ossessione, l’imperativo irrinunciabile dello svizzero. «Ogni decisione è funzionale all’impatto che avrà nel giro di tre o sei mesi. Ho pensato che l’estate sul cemento negli Stati Uniti mi avrebbe dato più possibilità di vittorie che non i tornei sulla terra rossa». Resta comunque un piccolo rimpianto. «Non mi ero mai ritirato da uno Slam in ventun anni di professionismo. Mi è dispiaciuto, ma è stato per una giusta causa. Se poi sarà stata una scelta giusta, lo scoprirò tra un paio di settimane».

 

Travaglia, non è tardi (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport)

Sono undici gli italiani che da domani andranno in campo a Wimbledon: quattro donne e sette uomini. Da una parte c’è Francesca Schiavone, che a 37-anni37 è risalita al numero 73 del mondo fino a collezionare la 67° partecipazione agli Slam, lei che ne ha vinto uno, il Roland Garros, nel 2010. E dall’altra c’è invece Stefano Travaglia che a 25 anni neanche tanto tardi se si guarda ai tennisti di casa nostra, per la prima volta s’è guadagnato un posto nel tabellone principale dei quattro tornei che contano davvero. Anzi, per niente tardi se si fa la conta degli infortuni che fin qui hanno fortemente condizionato la carriera di “Steto”. Ascolano, cresciuto a vassoi di olive e cremini fritti, Travaglia diventò eroe per un giorno agli Internazionali BNL d’Italia 2014, unico dei nostri a venir fuori dalla cayenna delle qualificazioni, prima di essere battuto nel derby azzurro del primo turno da Simone Bolelli. Corsi e ricorsi storici: “Bole” è stato l’altro italiano a qualificarsi in questa edizione dello Slam sull’erba. Ma torniamo ai travagli fisici di Stefano, che tre anni fa arrivò a Roma da 295 del mondo e che finalmente nel 2017 sembra aver sconfitto anche la sfortuna, tant’è che si è presentato alle “quali” di Wimbledon da 155, dopo aver vinto un Itf F3 in Spagna, un F7 in Tunisia, un F9 ancora in Spagna e soprattutto il ricco challenger Atp di Ostrava, in Repubblica Ceca, il primo in carriera. Per tutti la scivolata sulle scale di casa, nel 2011, con quella maledetta vetrata che gli procurò la lacerazione del tendini del braccio destro. E la frattura da stress alla schiena che l’ha tenuto fermo da febbraio a giugno del 2016: «Per fortuna sono serviti i tre mesi di busto senza dovermi operare. Però in quel periodo non sapevo cosa fare: piangevo, ascoltavo musica, seguivo gli altri ragazzi che si allenavano», racconta adesso. Poi però c’è stato íl recupero della condizione fisica e alla fine quello del risultati e della classifica, sotto la preziosa guida tecnica di Fabio Gorietti. Da Foligno, “lu centru de lu munnu”, il coach ha portato nei primi 100 del mondo Luca Vanni e Thomas Fabbiano. Date un altro po’ di tempo, a lui e Travaglia, e tra i migliori del mondo arriverà anche “Steto” che a Wimbledon se la vedrà con il teenager russo Andrey Rublev.

 

Federer, la pagina da scrivere e un Wimbledon per la storia (Gianni Clerici, La Repubblica)

NELL’ESSERE ammesso oggi allo All England Club mi è venuto in mente quello che Giorgio Bassani ( “Il giardino dei Finzi Contini” ) disse a Lea Pericoli arrivando qui, da aficionado, per la prima volta. «Per un amante del tennis venire a Wimbledon è come per un cattolico fare un pellegrinaggio in Vaticano». Chissà se sono tutti cosi gentili le guardie svizzere e i gendarmi che si occupano dello Stato della Chiesa. Memore delle cinque accanite visite quotidiane che son stato costretto a subire di recente al Roland Garros, comprese quelle del contenuto delle mutandine, ormai prive di possibilità esplosive, mi sono felicitato con due dei controllori, per la loro totale fiducia in un modesto metal detector. A questo punto, il mio antico istinto giornalistico mi ha spinto a domandare ai due: «Ma voi avete votato Brexit? Ve lo chiedo da sporco europeo amareggiato». «No, abbiamo votato contro Brexit» hanno risposto a una voce. La curiosità mi ha spinto a rivolgere la stessa domanda ai prossimi otto controllori che incontravo. Ben sette di questi mi hanno risposto come i primi due e solo una ragazza ha pronunciato con voce irritata Brexit, spiegandomi poi di esser stata derubata nel corso di una vacanza in una città che non vi dico. Mi scuso per un simile inizio sul torneo di Wimbledon, che merita certo indagini superiori alla mia curiosità, perché ci sono forti dubbi, addirittura per i bookmakers, su chi sarà il vincitore. Per la vincitrice, nonostante i dubbi legati all’assenza della prossima mamma Serena, i favori vanno alla Pliskova, che qualcuno ha ribattezzato Asparago, per l’asciutta lunghezza del suo corpo, paragonato alla muscolarità delle altre contemporanee. Karolina Pliskova ha dalla sua i precedenti dei boemi, dalla Navratilova su fino al mio povero amico Jaroslav Drobny con il quale, mi si perdoni la nostalgia, non mancavo mai di disputare un singolo e perdere una cena durante i Championships. Se devo credere a chi la conosce meglio di me, per esempio al fotografo Angelo Tonelli, costretto dal mestiere a seguirla nei dettagli, Karolina conserva per il tennis le caratteristiche della mia nipotina Anita, di sette anni. Gioca cioè come se questa fabbrica di muscoli assimilata al denaro, alle responsabilità pubblicitarie, rimanesse un gioco. Tira un dirittone, lo sbaglia, e, invece di pensare cupamente alle implicazioni dell’errore, ne tira un altro. E, se non trova la riga, sfiorata le tre prime volte, ne tirerà un quarto. La chiamate incoscienza oppure saggezza? Tra gli uomini sono andato sul campo quattro, dove ho sventuratamente giocato alla presenza di due poveri spettatori disabili ( gli altri se n’erano andati ). Per accertare le condizioni di Murray ( un altro che, votando scozzese, ha in fondo votato contro la Brexit ), che avrebbe male da un’anca. Questa sarebbe causa delle recenti sconfitte, del diminuito rendimento, e insomma della perduta possibilità di rivincere il titolo. Giocava, Andy Murray, con un allenatore per me sconosciuto. Il vecchio tennista Taylor, uno dei miei tempi, mi ha spiegato che non si trattava del doppista inglese di Davis, ma di uno che, numero duecento, si è ritirato quattro anni fa, ma forse riprenderà. Dai palleggi arruffati Murray usciva con i soliti alterchi con se stesso, le solite imprecazioni, ma niente di tutto ciò mi ha fatto pensare che fosse un’anca malconcia che lo privasse della possibilità di rinnovare il titolo e di pronunciare un’ormai famosa affermazione. «Quanto perdo sono un povero scozzese, quando vinco un bravo inglese». Ho poi ascoltato, ma non visto giocare, Wawrinka. Al di là di sé stesso, «uno che cerca sempre di migliorarsi» Stanislas ha affermato: «Roger Federer gioca benissimo. Rafa Nadal è fiducioso. Andy Murray fa fatica. Ma adora l’erba, e quindi sarà da comprendere tra i favoriti». Forse, se lo affermasse uno scriba, sarebbe da licenziamento. Ma lo scriba utilizza strumenti diversi dalla racchetta

 

 

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement