"Konta, ma sei britannica o no?". Caso sulla nazionalità della tennista (Ippolito)

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“Konta, ma sei britannica o no?”. Caso sulla nazionalità della tennista (Ippolito)

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“Konta, ma sei britannica o no?”. Caso sulla nazionalità della tennista (Luigi Ippolito, Corriere della Sera)

Ma quanto è britannica Johanna Konta? A Londra ne stanno discutendo da quando la tennista ha raggiunto le semifinali a Wimbledon, scatenando il tifo entusiasta di tutta la nazione. Perché la campionessa ha sì in tasca il passaporto del Regno Unito, ma è nata 26 anni fa in Australia da genitori ungheresi: e si è stabilita in Inghilterra quando aveva già 14 anni. E così la questione, da sportiva, si è trasformata in una dibattito su cosa è realmente la cittadinanza. Ius soli e ius sanguinis sulle rive del Tamigi. La discussione è tracimata in polemica quando martedì, durante un’intervista su Radio 4, il presentatore della Bbc John Humphrys ha messo in questione la nazionalità della tennista. Beccandosi una risposta piccata da parte di Johanna. «Parliamo di te come britannica, ma sei nata in Ungheria e sei cittadina australiana. Che cosa sei?», ha domandato il giornalista. Al che Johanna ha replicato ridendo: «In realtà sono nata in Australia da genitori ungheresi. Ma ho passato quasi metà della mia vita qui, sono cittadina britannica e sono incredibilmente orgogliosa di rappresentare la Gran Bretagna. L’ho fatto ufficialmente dal 2012, ma certamente sul piano personale l’ho fatto dal 2005, quando mi sono trasferita qui. Ho rappresentato la Gran Bretagna alle Olimpiadi e dunque sono sicuramente un’atleta britannica». Punto a favore. Ma la partita non si è conclusa qui.

La ministra ombra laburista per lo Sport, Rosena Allin-Khan (mezza polacca e mezza pachistana), ha criticato l’«insensibilità» del presentatore radiofonico: «La Gran Bretagna è resa più grande dalla ricca miscela culturale che abbiamo la benedizione di avere — ha detto al Guardian —. Nello sport, Johanna Konta è uno splendido esempio di tutto ciò». «John Humphrys è un giornalista esperto ma ha mancato di sensibilità — ha aggiunto —. Abbiamo un ricco arazzo di persone con retroterra diversi, ma tutti si identificano come britannici e sono orgogliosi di definirsi tali. Me inclusa». Già la scorsa settimana era scesa in campo anche l’ex campionessa Virginia Wade, l’ultima britannica a raggiungere le semifinali a Wimbledon. Ospite del programma taIkSPORT, alla domanda sulla «britannicità» di Johanna Konta aveva replicato: «Non si può cambiare il posto in cui si è nati, ma si può certamente abbracciare la nazionalità che si sceglie. Jo ha vissuto qui a lungo e si considera britannica. John McEnroe era nato in Germania ma è del tutto americano: in realtà è irrilevante».

E lo stesso settimanale The Spectator, la bibbia dei conservatori britannici, la scorsa settimana aveva messo in copertina l’interrogativo su Johanna Konta, domandandosi se non fosse una Plastic Brit, una britannica artificiale che sfruttava la nuova nazionalità solo perché più conveniente ai fini della carriera sportiva, come già avevano fatto altri in passato. Ma la rivista riconosceva che proprio questi Plastic Brits sfidano i nostri concetti riguardo la nazionalità: «E un mondo complicato, pieno di aeroplani e persone e politiche e religioni e soldi e razze e nazioni. La realtà della nazionalità si è spostata drasticamente mentre antiche idee sul suo significato sopravvivono in profondità nel nostro inconscio collettivo». D’altra parte la stessa idea di «britannicità» è in sé post-nazionale e inclusiva, perché va ben oltre la semplice somma di inglesi, scozzesi, gallesi e nordirlandesi (…)

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