Ritratti: Gabriela Sabatini e la magia di New York

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Ritratti: Gabriela Sabatini e la magia di New York

Evita, Maradona, Graf. Gaby fu diversa da tutti, un’aliena scesa da un pianeta lontano. E divenuta immortale attraverso gesti bianchi e immortali

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“Essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte. La cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali.” (Jorge Luis Borges)

“Sono le 20 e 25 minuti, l’ora in cui Eva Perón è passata all’immortalità”. Tutti i giorni alle 20.25, i notiziari della sera così si interrompevano, per ricordare  la morte di Maria Eva Duarte de Perón, che l’amore di un popolo chiamò Evita.

A Newport, il 15 luglio 2006, Pat Rafter, Gabriela Sabatini e lo Scriba del tennis, il cantore dei gesti bianchi Gianni Clerici, vengono accolti nella Tennis Hall of Fame, tra gli Immortali della racchetta. Vestita di bianco Gabriela Sabatini, camicia bianca sotto la giacca Pat Rafter, manco a dirlo di bianco vestito Clerici. Il colore bianco ad omaggiare colui che ne ha cantato i gesti. Gabriela e Pat vantano solo uno Slam in singolare, l’US Open, vinto dal secondo due volte nel 1997 e 1998 e nel 1990 dalla prima. Entrambi una finale di Wimbledon persa a pochi punti dal titolo.

Guillermo Vilas da Buenos Aires, tennista villoso poeta. Uomo di bell’aspetto ampiamente sfruttato, star del gossip, gentile di penna, prepotente su terra. In Argentina scrivevi tennis e leggevi Vilas. Dopo Vilas le vicende intorno ad una sfera furono tutte fagocitate prima dalla coda dei Mondiali di calcio del ’78 vinti e poi dall’avvento di Diego Armando Maradona. La Mano de Dios, che riscatta l’orgoglio ferito di una nazione contro l’arroganza della thatcheriana Albione, il Robin Hood che rubava ai vincitori per dare ai vinti. Due scarpini, un pallone e retorica pasionaria le sole sue armi. Niente era mediaticamente accentratore come lui, le vicende tennistiche tornarono nella pagina “sport minori”.

Mondiali di Italia ’90. Stadio Olimpico di Roma, finale tra Argentina e Germania. L’Italia, in una sua ennesima manifestazione di amore servile per i forti ed immedesimazione nei vincenti, accoglie l’inno argentino sommergendolo di fischi. Non sono fischi per l’Argentina, ma per Maradona, reo di essersi macchiato di diverse lese maestà nel suo essere Maradona. Non possono esserlo, anche perché l’Italia è innamorata di una ragazza argentina e proprio Roma è il luogo dove ogni anno si inscena il collettivo rito nuziale. Roma, also called Gabyland, una nazione trasversale e mobile di fans dedita ventiquattro ore al giorno ad ogni movimento di Gabriela nell’Urbe.

Gabriela Beatriz Sabatini, di nonno italiano, nasce nel 1980 a Buenos Aires e da tennista avrebbe vinto 4 volte gli Internazionali d’Italia di Roma, ricambiando a suo modo l’amore del consorte pubblico italiano. Gaby, come tutti la chiameranno, fa la sua comparsa nel mondo del tennis come scaraventata da un UFO. Una aliena. A soli 15 anni, al primo da professionista, fa semifinali al Roland Garros. In agosto è gia top 10 e nell’ottobre dello stesso anno, il 1985, vince il suo primo titolo a Tokyo. Ragazzina dal caldo sguardo che stende, pettinatura a metà tra una attrice di telenovelas anni 80 ed un gaucho, andatura alla John Wayne, calzino volitivo anziché pedalino come da classico look del tennis femminile. Malgrado ciò, la Sabatini risultava bella. La bellezza deve avere imperfezioni, altrimenti risulta innaturale. Altrimenti è arte. Altrimenti è un’idea.

Gabriela emanava fascino come poche donne di sport. Sembrava bella, lo sarebbe diventata sicuramente e sempre di più. Una volta ritiratasi, ingentilita dalla perdita della massa muscolare da atleta di livello mondiale, avrebbe raggiunto picchi di bellezza e fascino degni di una star di Hollywood, senza mai rinunciare alla sua riservatezza. Elegantissimo rovescio ad una mano, brava nel gioco di volo, completa in ogni colpo ed in tutte le fasi, ottima sensibilità, Gabriela Sabatini era il paradigma dell’eleganza in campo. Un servizio alquanto “disservizio”, una mancanza di winners e Steffi Graf le avrebbero impedito di vincere quanto il suo talento, fama e stile avrebbero meritato. Gaby fece la sua comparsa durante il regno di Steffi, la ragazzina terribile che aveva spodestato dal trono di numero uno l’ineguagliabile Martina Navratilova.

Graf era una super atleta, una amazzone dal diritto terrificante. Stimata, apprezzata, ma non appagava il voyeuristico occhio dell’appassionato di tennis femminile. Così Eupalla, distratta dalle faccende calcistiche, decise di risolvere la questione mandando Gabriela Sabatini ad illuminare i court di tutto il mondo. E luce fu.

Veni, vidi, vici! Non fu difficile per Gaby prendersi immediatamente il centro della scena. In un epoca di mezzo tra la Graf e le seriali pugnaci urlanti bimani ragazze robot che sarebbero venute, Sabatini era la bella ragazza che si potrebbe incontrare la sera uscendo dal cinema, al ristorante o magari nelle vie della moda a far shopping, quella che per passione ha il gioco del tennis e le riesce anche bene. Quella che qualsiasi atto compia, è teso ad allontanare la grettezza e la brutalità dagli sguardi del mondo.

Per questo Gaby era una aliena. Gaby aveva cuore e non portava rancore. Dopo aver perso innumerevoli volte dalla Graf, con lei si iscrisse nel 1988 in doppio al torneo di Wimbledon per vincerlo. Lo vinsero. La tedesca non si lasciò certo commuovere e batté Gabriela due mesi dopo, alle finali olimpiche di Seoul, per poi infliggerle 3 anni più tardi il dolore più grande nella finale di Wimbledon, dopo essere stata a due punti dalla sconfitta. In mezzo, la vittoria di Gabriela agli US Open del 1990, in finale proprio contro Graf, sommersa da una miriade di attacchi di rovescio slice e volée. Restando dietro, Gaby a Steffi non l’avrebbe mai battuta. In combutta col suo allenatore, si trasformò in giocatrice d’attacco old school e poche scelte nella storia del tennis furono più azzeccate. Da lì a poco il suo precoce ritiro a soli 26 anni, avvenuto, come ebbe modo di dire lei stessa, un momento prima di odiare il tennis. Scelse la felicità.

Gaby era davvero una aliena. Non posava tra racchette, scarpe e palline ma promuoveva linee di profumi da lei ideati. Un giorno avrebbero fatto una bambola con le sue fattezze e l’avrebbero venduta in tutto il mondo. Un giorno quei profumi sarebbero diventati il suo lavoro. Anche per questo Gaby era una aliena.

Gabriella Sabatini nella Hall of Fame degli Immortali del tennis, pur avendo vinto pochissimo a livello Slam. Nella sua carriera anche due Master femminili nel 1988 e 1994, per 27 titoli complessivi in singolare e 14 in doppio. La chiamavano perdente. Nessuno se ne lamentò mai, né smise di amarla, poiché erano la sua grazia, il suo garbo, la sua elegante eleganza ad aver vinto. Nessuno smise di amarla perché si amava l’emozione di vivere sul pianeta da cui l’Aliena proveniva. Un pianeta di cui tutti ignoravano l’esistenza, ma su cui tutti volevano immaginarsi anche solo per qualche attimo. E l’Aliena, fattasi tennista, ne dispensava immagini e odori attraverso gesti bianchi e immortali.

Fede Torre

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