L'uomo dal diritto d'oro (Semeraro). L'eterna Venus musa ispiratrice (Lopes Pegna). Otto anni dopo è sempre del Potro (Cocchi)

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L’uomo dal diritto d’oro (Semeraro). L’eterna Venus musa ispiratrice (Lopes Pegna). Otto anni dopo è sempre del Potro (Cocchi)

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L’uomo dal diritto d’oro. Del Potro non finisce mai (Stefano Semeraro, La Stampa)

Otto anni dopo, la solita ricetta: diritto e corazón. «Se lasci tirare il diritto a Del Potro, sei morto», dice Rafa Nadal, che oggi dovrà provare a disinnescarlo in semifmale, dopo aver osservato il gaucho impacchettare nei quarti la magia un filo arrugginita di Roger Federer. Nel 2009 Delpo aveva 20 anni e nemmeno un grammo di paura addosso, si sentiva pronto a cambiare il tennis. I due Fenomeni li incontrò in ordine inverso, prima Nadal, poi Federer in una (male memorabile, vinta in cinque set contro il Genio che a New York veniva da 5 successi filati. Mercoledi sera ha impiegato un set in meno (7-5 3-6 7-6 6-4) per rispedire in vacanza un Roger incerto e opaco, poco lucido nelle scelte (quanti errori di diritto, quanti attacchi scriteriati sul diritto di Palito), capace persino di farsi scivolare via quattro setpoint nel tie-break del terzo set, il perno della partita, e di stampare sui teloni la volée facile facile di diritto che ha mandato l’avversario al matchpoint. «Non voglio togliere nulla a Juan Martin, ma è dall’inizio del torneo che non sono al meglio. Lui ha meritato di vincere, io per fortuna mi riposerò un po’». La maledizione Pare una maledizione che lui e Nadal non debbano mai incontrarsi a Flushing Meadows. Pare un destino che gli Us Open siano lo Slam amico di Delpo, il tennista rinato quattro volte dopo altrettante operazioni al polso (una al destro, tre al sinistro) che ancora oggi lo costringono ogni giorno a ore quotidiane di esercizi e stretching per stabilizzare l’articolazione. «Nel 2015, dopo il secondo intervento al polso sinistro, per tre mesi mi sono chiuso in casa. Ero depresso, volevo smettere. Poi è arrivata la telefonata del chirurgo che mi chiedeva di riprovarci». Ha funzionato.

L’eterna Venus musa ispiratrice e le allieve Usa riscrivono la storia (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport)

Senza Serena Williams, fresca mamma, in circolazione, due semifinali completamente zmade in Usa» (Venus Williams contro Sloane Stephens e Coco Vandeweghe contro Madison Keys) le avevano previste in pochi. Neppure John McEnroe dai microfoni della tv o Tracy Austin, una delle protagoniste delle ultime semifinali tutte yankee agli Us Open, quelli di 36 anni fa. «Senza Serena, onestamente è davvero sorprendente», ha detto l’ex ragazzina prodigio. L’evento non accadeva qui dal 1981: s’impose proprio la diciottenne Austin che batté Navratilova; le altre due erano Evert e Potter. L’ultima apparizione tutta americana nelle semi di uno Slam fu a Wimbledon de11985 (Evert, Garrison, Navratilova, Rinaldi). Ma quelli erano i tempi in cui il fenomeno si ripeteva con frequenza: cinque volte fra il 1979 e il 1985. VALLETTE 112017 di Venus Williams è stato straordinario. Se andrà in finale, per lei sarà la terza della stagione come non le succedeva dal 2002. La sua avversaria, Sloane Stephens (in vantaggio 1-0 nei confronti diretti), ha appena 24 anni e un’altra semifinale Slam nel curriculum, quella del 2013 agli Australian Open, quando arrivò a un passo dalle top ten, al numero 11 della classifica. Ma è rimasta fuori per un infortunio al piede destro quasi tutto il 2016 e a luglio era ancora n. 957 Wta. Alla vigilia era 83 e se battesse Venus arriverebbe alle soglie delle top 20: un balzo pazzesco. Pure Madison Keys è una sopravvissuta. Nel 2016, un’operazione a un polso replicata a maggio di quest’anno l’aveva costretta a molti mesi fuori dal giro. La voce si è strozzata quando le hanno chiesto che cosa provasse per aver raggiunto la seconda semifinale di uno Slam dopo quella in Australia di due anni fa: «Solo quando non puoi più giocare, realizzi quanto ami il tennis». Coco, invece, sta benissimo e non vuole fermarsi dopo l’altra semifmale in carriera agli Australian Open di gennaio: «Quando vinsi qui l’edizione junior a 16 anni, pensai che conquistare il trofeo dei grandi sarebbe accaduto istantaneamente. Ora ho capito che è una battaglia quotidiana e che sono pronta».

Otto anni dopo é sempre Del Potro. Federer si spegne (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

Rassegnati New York, anche quest’anno Federer-Nadal non sarà roba per te. Tutta l’attesa, i salotti, le interviste, i programmi, le statistiche. Niente. Neanche stavolta la rivalità tennistica più straordinaria degli ultimi lustri, offrirà il suo spettacolo ai tuoi occhi. E’ un torneo stregato lo Us Open, per sei volte i due sono stati a un match dall’incrociarsi, lasciando sempre a bocca asciutta gli appassionati di hot dog, hamburger, chips e birre che popolano lo stadio del tennis ammirando campioni tra un boccone e l’altro. Ma in questa grande liturgia popolar-sportiva di Corona Park, il ruolo del guastafeste tocca a Juan Martin Del Potro, e allora si può perdonare perché la sua è una favola, perché lui è il miglior interprete dello spettacolo colorato e rumoroso che va in scena sulle tribune di Flushing Meadows. E quindi pazienza se in un quarto di finale in cui era dato per spacciato contro sua maestà Roger Federer Primo (e unico), si prende la briga di scombinare i piani di tutti. Perché lui è Delpo, è quello che nel 2009 aveva battuto Rafa e Roger uno dietro l’altro conquistando il torneo e imponendosi all’attenzione del mondo. ODISSEA Ne ha passate tante «Palito», chiamato così per la sua altezza e le sue gambe lunghe, ha sofferto per due anni con il polso destro operato tre volte, con le speranze di tornare ridotte al minimo. Ma ce l’ha fatta, contro tutto e tutti, è tornato, e dopo un epico ottavo di finale contro Dominic Thiem, superato al quinto set in rimonta, con la febbre alta e l’influenza, ha lottato anche con Federer, l’icona della perfezione che, però, mercoledì sera tanto perfetto non è stato. Quando aveva perso in finale sull’Arthur Ashe nel 2009, il Magnifico ricordava di essere uscito dal campo con qualche rimpianto, ieri sera ha ammesso di essere entrato in campo con una idea che gli ronzava in testa, quella di non essere imbattibile. E se c’è un’idea che non ti puoi far passare per la mente prima di entrare in campo, anche se sei Roger Federer ecco, è quella. Per informazioni sull’argomento, citofonare a Djokovic. «Ci sono cose che succedono, durante un torneo. Durante la preparazione e il percorso che fai per arrivare a un match. A questa partita sono arrivato con una sensazione diversa da quelle che avevo in Australia e a Wimbledon — ha spiegato Roger a tarda notte —. Sentivo che era una di quelle partite in cui, se avessi trovato un rivale all’altezza, avrei potuto perdere. Ed è successo». 

Del Potro nega un altro Federer-Nadal (Enrico Sisti, La Repubblica)

Lo Us Open rimane lo Slam che Federer (sopra) non vince da più tempo: l’ultimo trionfo nel 2008. Nel 2009 Del Potro vinse a New York battendo in finale proprio lo svizzero E rimasta la sua unica vittoria in uno Slam L’argentino ritrovato dopo tanti guai fisici: “Sono stato fortunato” È lui a sfidare lo spagnolo. L’altro match tra Anderson e Carreno-Busta ENRICO 51511 GIÙ LA TESTA, Roger, che arriva il dritto di Delpo. Una volta, due volte, tre volte. E sempre nei momenti meno indicati della partita. Giù la testa, Roger, che stavolta non era come tutte le altre volte. Stavolta anche il pubblico era diviso in due, come il campo, e dalla parte dell’hinchada argentina scendeva verso i giocatori il calore che riscaldava l’influenzato Delpo ma che bruciava le risorse mentali del contratto Roger. Proprio a somiglianza dell’avversario, Delpo trova ormai in ogni angolo del pianeta gente disposta a proclamarlo suo eroe indiscusso e per dimostrarlo l’appassionato va a comprarsi una maglietta della nazionale argentina anche se è nato a Queens o è il capo di una famiglia olandese in vacanza a New York ( l’unica tennista ad avere tifosi ovunque è Simona Halep). Facile da spiegarsi, l’amore per Delpo. Un po’ Juan Martin fa tenerezza per i tanti guai attraverso cui è passato. Ma al tempo stesso suscita ammirazione per l’indubbia grandezza che esprime giocando (pur senza il rovescio di un tempo ) e per la colta semplicita che esprime parlando: «Eppure anch’io non sono al meglio e con Roger sono stato fortunato». 

Il classico Federer-Nadal? Agli Us Open è «vietato» (Marco Lombardo, Il Giornale)

Del Potro elimina Roger: i due grandi non si sono mai affrontati a New York. E il tabù continua RIVINCITA SULLA SFORTUNA Per l’argentino una bella soddisfazione dopo il lungo stop per infortunio Marco Lombardo Probabilmente è una maledizione, ma se ci fosse davvero di mezzo un diavolo del tennis avrebbe comunque una faccia d’angelo. Anche quest’anno insomma agli Us Open non ci sarà una sfida tra Federer e Nadal: sembra incredibile, perché non c’è mai stata. «In effetti non ci avevo mai pensato», ha mezzo sorriso Roger dopo la sconfitta, e lui è uno che quando perde ha poca voglia di ridere. Ma la sua consolazione è stata che a strappargli il sogno di una semifmale che avrebbe fatto vibrare New York sia stato Juan Martin Del Potro, il diavolo con la faccia d’angelo appunto. Ogni volta che Roger Federer perde una partita in uno Slam c’è sempre lo strazio del giorno dopo per i milioni di fan del Re. Eppure questa volta non è stato così strano, pensando che già anni fa il gigante argentino con il dritto più veloce del West ha strappato allo svizzero il trono americano. E poi che Federer questa volta in fondo chiude l’anno con due Slam in bacheca che nessuno pensava potesse mai più mettere. Così i suoi affanni newyorkesi, dovuti alla schiena da vecchietto e agli straordinari dei primi due turni vinti al quinto set, stavolta erano un segnale inequivocabile: l’impresa sarebbe stata impossibile. Certo: il match contro il turbo Nadal di questi giorni sarebbe stato fantastico. Ma per Federer non sarebbe stato comunque alla pari. Così Roger, che ha avuto le sue chance di vincere il terzo set e rimettere la partita sul suo binario, alla fine ha ammesso: «Juan Martin ha meritato più di me, io stavo bene fisicamente ma con la testa non ero a posto. Ho faticato troppo fin dall’inizio del torneo». E la sconfitta diventa più dolce pensando appunto al suo amico, il tennista gentile che nessuno riesce ad avere per nemico e che nemmeno due operazioni al polso sono riuscite ad abbattere. Così come neppure il fatto di scendere in campo con 38 di febbre ed essere sotto di due set con Thiem negli ottavi di finale, ha potuto rompere l’incantesimo: «Continuo a non stare tanto bene fisicamente, ma quando sono entrato in campo e ho visto Roger nello stadio più grande del mondo e nel mio torneo preferito, è stato un piacere per me essere lì. Quindi ho cercato di giocare a tennis e godermi il momento, senza pensare a quanto fossi stato male nei giorni precedenti. Con Nadal sarà lo stesso».

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