Stephens e Keys, due amiche per una corona (Lopes Pegna). Padrone di casa e amiche (Zanni). Slo e Madison, Black Power (Azzolini). Becker fa le carte: "Applaudo Nadal ma Djokovic tornerà grande" (Cocchi)

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Stephens e Keys, due amiche per una corona (Lopes Pegna). Padrone di casa e amiche (Zanni). Slo e Madison, Black Power (Azzolini). Becker fa le carte: “Applaudo Nadal ma Djokovic tornerà grande” (Cocchi)

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Stephens e Keys, due amiche pere una corona (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

E, persino commovente il modo in cui a 24 anni, e con il futuro spalancato, Sloane Stephens congedi il passato: come tutto l’Ashe Stadium, si alza in piedi e applaude la 37enne Venus Williams appena sconfitta e protagonista di un altro straordinario risultato. L’ha battuta con un terzo set memorabile, con cui le ha strappato simbolicamente il testimone di una generazione e ha conquistato la prima finale di uno Slam. Le si strozza la voce: «E’ stata il mio idolo. Mi sono innamorata del tennis guardandola battere Lindsay Davenport in finale a Wimbledon nel 2002. Avevo 12 anni e pensai che sarebbe stato bellissimo un giorno riuscirci anch’io». SOGNO Quel giorno è arrivato. E come allora sarà contro una connazionale: Madison Keys, 22 anni e afro-americana come lei (anche se per metà: ha la mamma bianca), che per eliminare Coco Vandeweghe (la quarta yankee delle semifinali) ha impiegato poco più di un’ora e due set facili facili. Agli Us Open, una epilogo totalmente «made in Usa» non succedeva dal 2002 (Venus contro Serena) e senza una Williams, dal 1984 (Navratilova contro Evert). Sloane dice: «Sarebbe il sogno di chiunque andare in finale di uno Slam contro un’altra americana». Maddie condivide: «A una giornata come questa pensi fin da quando sei bambina». DOLORE Ma la storia è ancora più intrigante, perché le due arvano alla sfida più importante delle loro giovani carriere dopo mesi di lunga sofferenza. Alla Stephens ha fatto crac (frattura da stress) il piede sinistro nel 2016; alla Keys un polso, che ha richiesto due operazioni. Entrambe si emozionano: «Se penso che a gennaio durante gli Australian Open ero stesa sul divano davanti alla tv con il piede ingessato, questo risultato è pazzesco», ha raccontato Sloane. Era rientrata a Wimbledon, fino a quattro settimane e mezzo fa era la n. 934 del mondo (ora la 83, ma è già alla soglia delle top 20) e alla vigilia degli Us Open aveva giocato complessivamente 12 partite (ma due semifinali). Spiega la Keys: «La convalescenza mi ha aiutato a riflettere: ho riscoperto la passione di bambina e l’amore per questo sport. Non mi sembra vero di essere arrivata in fondo: tremo ancora. E poi giocherò contro la mia migliore amica». E’ un altro dettaglio che spezia ulteriormente questo match. Sul tema hanno pensieri diversi. Dice la Stephens: «Le voglio un bene dell’anima. Sarà una partita dura, non sarà facile affrontare in campo un’amica». Maddie è più leggera: «Quando eravamo infortunate, ci sentivamo spesso al telefono e ci siamo aiutate molto. Ma giocarci contro non sarà un problema: con il tempo ho capito come tenere separata l’amicizia dal resto». Già, il tennis. «Ha grande potenza, gran servizio, gioca tante prime palle», la descrive Sloane. «So che si difenderà, che rimetterà ogni palla. Dovrò avere pazienza e attendere il momento giusto», replica Madison. Quale miglior modo di celebrare i 60 anni dalla prima vittoria agli Us Open di una donna afro-americana come loro, Althea Gibson. «Se siamo qui è grazie a Serena e Venus», dice Sloane. E si spiegano l’applauso e le lacrime dopo aver battuto una delle sue ispiratrici

 

Padrone di casa e amiche (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport)

L’ultima statunitense a vincere gli US Open prima dell’avvento delle sorelle Williams, otto successi dal 1999 al 2014, è stata Lindsay Davenport, che nel 1998 superò Martina Hingis. Oggi, diciannove anni dopo, il tennis femminile Usa inizierà una nuova avventura. Due debuttanti in una finale di uno Slam, la nuova generazione: Madison Keys, 22 anni, da una parte e Sloane Stephens, 24, dall’altra. Ma ad accompagnare questa sfida inedita tutta a stelle e strisce (l’ultima volta solo Usa fu Serena-Venus dei 2002, e senza le Williams Navratilova-Evert del 1984) ci sarà proprio la Davenport: nel box della Keys, è la coach della tennista nata a Rock Island, nell’Illinois. DAL 957… Sono amiche, vivono entrambe in Florida, a pochi chilometri una dall’altra, la Keys a Boca Raton, la Stephens a Fort Lauderdale e nella loro carriera si sono affrontate solo una volta, un paio di anni fa a Miami. Vinse la Stephens, che la sua grande fetta di notorietà però se la conquistò un po’ prima, nel 2013 quando, battendo Serena Williams, ma perdendo l’amicizia con la superstar, giunse alle semifinali di uno Slam, il suo risultato più importante prima di superare Venus (che, pur delusa ha garantito che continuerà a giocare) e centrare l’ultimo atto degli US Open. Sempre nel 2013 la Stephens raggiunse anche il suo best nel ranking mondiale, 11°. Poi la discesa fino all’intervento chirurgico al piede dello scorso gennaio. Voce di Tennis Channel durante l’inattività (in totale è stata ferma 11 mesi) Sloane è rientrata in campo a Wimbledon, ma solo il 31 luglio scorso era ancora al 957 posto della classifica Wta. Arrivata a New York 83°, da lunedì prossimo salirà almeno al 22. «Sono una lottatrice – così si è raccontata Sloane, figlia di John Stephens, un ex giocatore della NFL, morto nel 2009 in un incidente stradale, e Sybil Smith, nuotatrice alla Boston University – sono una autentica combattente, con tanta grinta. Non mi arrendo mai». Anche Madison Keys (16° nel ranking prima della finale di oggi) ha avuto il suo miglior risultato in uno Slam in Australia (semifinali nel 2015), ma anche due interventi chirurgici al posto che, come alla Stephens, le hanno fatto saltare il primo Slam del 2017. «Chi avrebbe potuto immaginare agli Australian Open che io e la Stephens saremmo state le finaliste di New York? – ha detto Madison dopo il successo sulla Vandeweghe, in lacrime per la sconfitta – Nessuno! Ma non potevo pensare a una migliore persona di Sloane con la quale avere questa prima esperienza».

 

Slo e Madison, Black Power (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Se batti una leggenda, diventi una leggenda. Il messaggio era firmato Shaquille O’Neal. Sloane Stephens aveva appena battuto Serena Williams nei quarti a Melbourne. Era il 2013, la sua prima semifinale Slam. Non male, ad appena vent’anni. Ora le leggende sono diventate due, Slo ha battuto anche Venus, e questa volta è in finale nello Slam di casa. Ha accolto l’impresa con una gioia serena, senza eccessi. La vita le ha insegnato a guardare davanti, senza esagerazioni né infingimenti. Vita difficile, la sua ma Slo va dritta per la sua strada. Nel circuito dicono che è fatta di acciaio. Il tennis vissuto fra tra un guaio e l’altro lo conosce bene anche Madison Keys. I suoi inizi rimbalzano fra i muscoli di Serena e i morbidi sorrisi di zia Venus. Aveva 14 anni quando affrontò Serena per la prima volta in un match del Team Tennis (che ha regole tutte sue) e la superò, ma la voglia di tennis la deve a Venus. «La vidi indossare un bellissimo vestito bianco, sembrava una regina». Aveva sei anni, oggi ne ha 22, e Serena e Venus ci sono state sempre, anche se alla fine lei ha scelto una loro avversaria come coach, Lindsay Davenport. Sloane è afroamericana Madison per meta (la mamma è bianca). Senza le Williams íl tennis non sarebbe stata la loro scelta. RICORDANDO ALTHEA Nel 60 anniversario del primo Us Open conquistato da Althea Gibson, l’antenata, la prima tennista nera(nel 1957), il tennis femminile americano trova nuova linfa nelle figlie e nelle nipoti di chi, ai tempi di Althea, non avrebbe nemmeno osato avvicinarsi a uno sport per soli bianchi. Ma è una finale diversa, imprevista, destinata a cambiare il volto del tennis femminile, non soltanto la classifica, che riavrà Madison fra le TopTen (è stata 7°, l’anno scorso) e Sloane fra le prime 20. Due ragazze che per arrivare sin qui hanno dovuto battere grandi dolori e grandi infortuni. Sloane ha avuto un guaio serio a un piede nel 2016, l’hanno operata, è stata quindici settimane ingessata. ll 31 luglio la sua classifica era scesa al numero 954, ma ha subito raggiunto le semifinali a Toronto e Cincinnati e agli Us Open si è presentata da numero 83. La vita le ha sparato addosso botte peggiori. È figlia di John Stephens, running back nella NFL, e di Sybil, nuotatrice. Il padre l’ha conosciuto anni dopo, quando lui, malato, le chiese un incontro. Slo disse di sì, poco tempo dopo John mori in un incidente stradale. Lei stava giocando gli Us Open. Madison ha sofferto al polso, si è operata, ha saltato la prima parte della stagione. «Non pensavo di essere già pronta», dice, ma alla Vandeweghe non ha fatto toccare palla. Sloane si è dovuta misurare con Venus e hanno giocato un solo set, i primi due se li sono regalati senza colpo ferire. Quando hanno fatto sul serio, Slo ha mostrato maggiore solidità. Nell’anno in cui lo Slam mette da parte le Williams, gli Stati Uniti puntano su due ragazze che vorrebbero essere come loro.

 

Becker fa le carte: “Applaudo Nadal, ma Djokovic tornerà grande” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Il tennis è una malattia. Quando lo giochi, ma forse soprattutto quando non sei più tu a comandare la racchetta. Boris Becker ha dominato in campo, ha stravinto fuori con sei Slam insieme a Djokovic, e adesso si aggira con le stampelle per Flushing Meadows. «Sempre colpa del tennis…» fa segno, indicando con la stampella il piede operato. Boris, è stato un torneo a due facce: emozionante nella parte alta del tabellone, sbilanciato in quella bassa. Tutti si aspettavano Federer-Nadal e invece… «E invece Delpo ha rovinato la festa a tutti. Ma lui ha comunque dato una ventata di entusiasmo al torneo. E il campione della gente, di quelli che comprano i posti meno costosi ma che fanno più rumore, e il tennis ha bisogno anche di questo». Con l’uscita di Roger, Rafa ha consolidato il numero 1. Pensa che ci resterà a lungo? «Ho parlato con lui in questi giorni, è molto felice di essere tornato al top dopo tanti infortuni e problemi, questo lo motiva ad andare a avanti e se continuerà a restare sano penso che lo vedremo lassù ancora per un po’». A proposito di salute, lo spagnolo si lamentava delle superfici troppo aggressive su cui si deve giocare, dicendosi preoccupato anche per le generazioni future. «Il veloce è impegnativo per le articolazioni dei tennisti, ma il gioco cambia continuamente, quindi non possiamo tornare indietro. L’importante è che si continui ad avere la stagione sul rosso e quella sull’erba per “ammortizzare” un po’». Lo Us Open ha visto emergere giocatori della Next Gen come Shapovalov e Rublev: le piacciono? «Sì, Shapovalov è affascinante da vedere, Rublev è molto potente. Sono forti ma hanno bisogno di maturare ancora. E non mi ha nominato Zverev, se l’è forse dimenticato?». Tendiamo ormai a considerarlo una certezza.. «Lui è il mio preferito. Entro un anno vincerà uno Slam. In fin dei conti ha vinto due Masters 1000 contro Djokovic e contro Federer». Quanto conta l’esperienza nella gestione di un torneo del Grand Slam? «Fondamentale. Puoi avere un enorme talento ma devi imparare a gestirlo. Io ho due figli di 18 e 20 anni e vedo che ai giovani oggi manca una qualità fondamentale: la pazienza. Quando hai una ventina d’anni e sei sempre in giro, stare tre settimane fermo nello stesso posto ti rende impaziente. Si impara solo crescendo». Non le manca un po’ fare il coach dopo quello che ha vissuto con Djokovic? «L’incarico che mi ha dato la federazione tedesca mi permettere di dare consigli a diversi giocatori. E per ora va bene così. Quello che ho vissuto con Novak è stato fantastico ma molto impegnativo. Ogni cosa ha il suo tempo». Pensa che Noie potrà tornare il dominatore che era? «Perché no? Non dimentichiamo che dopo la nascita del primo figlio è tornato con nuova energia e ha avuto i suoi due anni migliori a livello di risultati, quindi c’è una buona possibilità che possa accadere anche questa volta. Però…». Però… «Deve essere fisicamente in forma, in salute e allenarsi tanto. Altrimenti, a 30 anni, ogni intoppo potrebbe essere un problema». All’Italia lo Us Open ha sempre suscitato ricordi felici, come la vittoria della Pennetta. Quest’anno ha fatto notizia Fognini, ma nel modo sbagliato. «Adoro Fabio e Flavia, sono una coppia straordinaria. Fabio a volte non riesce a controllarsi, questo è davvero un peccato. Spero che si scusi e faccia quello che serve per superare il problema dopo quello che ha combinato qui. L’Italia ha bisogno di lui, il tennis ha bisogno di lui». E’ la parola del maestro

 

 

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