Personaggi
Hingis, ancora tu
Altri due titoli Slam in doppio si aggiungono allo straordinario palmares di Martina Hingis. Una storia iniziata e finita più volte, che continua a stupire

È il 9 settembre 2017 quando sul campo centrale di Flushing Meadows si disputa la finale di doppio misto. L’incontro si decide al super tie-break ed ecco che sul championship point il tennista della coppia in svantaggio, Michael Venus (vincitore del doppio maschile al Roland Garros) decide di tirare un dritto a tutto braccio sulla tennista avversaria (la galanteria questa sconosciuta). È a questo punto che il tempo si ferma. Sì, perché la tennista in questione è Martina Hingis. Martina non si scompone e risponde con un rovescio incredibile, lungolinea. Gli spettatori, entusiasti, si alzano in piedi e un applauso scrosciante accompagna il recupero debole del povero Venus e il conseguente facile colpo a rete con il quale Jamie Murray, compagno di squadra di Hingis, chiude la partita. È il 30 settembre 1980 quando a Kosice, nell’allora Cecoslovacchia, viene al mondo la figlia di Melanie Molitorova e Karol Hingis, due tennisti professionisti. Mamma Melanie non ha dubbi sul nome con cui battezzare la neonata: Martina, in onore della grande campionessa Navratilova.
https://www.youtube.com/watch?v=Km8E1pmSQvM
Ciò che è accaduto nei quasi 37 anni che separano queste due giornate è entrato di diritto nella storia dello sport. Melanie Molitorova, infatti, non si limita ad affidare la figlia agli dei del tennis regalandole un nome importante, ma a soli due anni le fa impugnare la prima racchetta. Martina gioca il primo torneo all’età di 4 anni, per debuttare nel 1994, a soli 14, nel circuito professionistico nella città di Zurigo, sua patria di adozione dal 1986. Nel gennaio 1995 partecipa al primo torneo Slam a Melbourne. Deve aspettare poco più di un anno per vincere il primo titolo WTA a Filderstadt e fare così il suo ingresso tra le prime 10 giocatrici della classifica. È però il 1997 l’anno della consacrazione. Il mondo del tennis, e non solo, cade ai piedi di Martina. La giovanissima campionessa conquista infatti 12 finali su 13 disputate. A 16 anni e sei mesi diventa la più giovane numero 1 della storia. È Iva Majoli a impedirle di ottenere il Grande Slam sconfiggendola in finale al Roland Garros. Quando Hingis afferra una racchetta e scende in campo pare disegnare la superficie di gioco con schemi e traiettorie dalle geometrie perfette. La potenza delle sue coetanee non può nulla davanti alla perfezione del gioco di Martina. L’elvetica sembra provenire da un altro pianeta, la sua compostezza in campo si accompagna a una grinta a tratti feroce. È ancora una bambina ma tutti sembrano dimenticarsene. Il futuro in quel 1997 appare radioso e, dopo un’altra ottima annata, Hingis entra nel 1999 pronta a puntare nuovamente al Grande Slam, esordendo con un successo agli Australian Open.
Ed ecco che il 5 giugno Martina si appresta ad affrontare in finale a Parigi colei che rappresenta il passato del tennis: Steffi Graf. L’incontro inizia nel migliore dei modi per l’elvetica che si trova a condurre 6-4 2-0 sulla tedesca. Ma ecco che il destino improvvisamente intralcia la strada fin qui lastricata d’oro di Martina: un giudice di linea infatti chiama out una risposta nettamente in campo di Hingis, il giudice di sedia scende per verificare e indica un punto lontano da dove in realtà ha rimbalzato la pallina, confermando la decisione, errata, del giudice di linea. Martina non ci sta. Con tutta la sfrontatezza dei suoi diciotto anni si avvicina all’arbitro e sbatte la racchetta sul segno corretto. Steffi Graf non batte ciglio mentre Hingis resta incredula davanti ai giudici che non solo non cambiano la decisione iniziale, ma addirittura le infliggono un 15 di penalità per punire le rimostranze. La finale per Hingis finisce qui. Steffi si aggiudica set e incontro mentre Martina, fischiata dal benpensante pubblico francese, esce in lacrime tra le braccia della mamma/mentore. Da quel giorno la giovane tennista non vincerà mai più un titolo slam in singolare.
Martina certo gioca altre finali Slam, ma non riesce più a vincere, a 22 anni nel 2003 si senta vecchia senza mai essere stata giovane. Uscita dalla top ten decide di ritirarsi, incolpando i numerosi infortuni alle caviglie che non le permettono più di essere competitiva. È però complicato per lei ritrovarsi all’improvviso con quello che appariva essere un futuro luminoso trasformato ormai in un nostalgico passato. E allora Martina decide di tornare e nel 2005 si presenta a un torneo a Pattaya. Nel 2006 rientra ufficialmente nel circuito con la partecipazione agli Australian Open. Il ritorno è comunque costellato da problemi fisici fino al dramma che si consuma tra le mura sacre di Wimbledon nel 2007. Hingis sottoposta a un test antidoping viene squalificata per essere stata trovata positiva alla cocaina. Martina si dichiara innocente. L’ITF non sente ragioni e in una sentenza datata 4 Gennaio 2008 la sospende dall’attivata agonistica per due anni. Game Over? Errore. Martina esce sì di scena ma senza più pressioni ne ansie a 27 anni comincia finalmente a vivere. Coltiva la passione per i cavalli. Le amicizie extra tennistiche. Pare anche aver trovato l’amore quando convola a nozze con il fantino francese Thibault Hutin (matrimonio finito rapidamente). Nel 2013 torna, sorridente, serena e annuncia che rientrerà nel circuito per disputare i tornei di doppio. In campo Martina appare a suo agio, felice. Il palmares da allora è impressionante. Il gioco ancora geometricamente perfetto. I suoi colpi una delizia per gli occhi di tifosi e appassionati.
È il 10 settembre 2017 quando a New York Martina Hingis conquista il titolo di doppio femminile in coppia con Chan Yung Jan con il punteggio di 6-3 6-2. E se di un cosa possiamo essere certi, è che la storia non finisce qui.
https://www.youtube.com/watch?v=rjNk15QS5pc
ATP
Fratelli & Sorelle del tennis: non solo Berrettini. Da McEnroe a Williams, passando per Safin e… Monfils
Mentre ad Acapulco Matteo avanza e Jacopo si è fatto valere, riviviamo le parentele di maggior successo. Tra fratelli ritirati o troppo indietro in classifica come i Djokovic o gli Tsitsipas, in ATP ora comanda la famiglia Cerundolo, mentre in WTA…

Ci aveva provato quattro volte, ma era sempre stato eliminato al primo turno del tabellone cadetto. Ad Acapulco, finalmente, Jacopo Berrettini ha superato le qualificazioni battendo i ben più quotati Blancaneaux (n. 155) e Darderi (n. 184). A quel punto, la wild card ricevuta era già ampiamente onorata, ma Jacopo non si è certo accontentato e ha battuto anche Oscar Otte, complice un ginocchio tedesco, mettendo così a segno la sua prima vittoria ne Tour al primo tentativo. In singolare, perché in doppio con il fratello Matteo (qui subito battuti), aveva già preso parte all’ATP di Cagliari nel 2021, dove hanno raggiunto le semifinali, e all’ATP di Firenze l’anno scorso con sconfitta all’esordio. Il best ranking di Jacopo, n. 388, risale all’estate 2019, mentre ora la classifica lo vede alla posizione 842, che in ogni caso migliorerà di parecchio lunedì prossimo, assestandosi attorno al 475° posto dopo la sconfitta contro de Minaur.

Di due anni e mezzo più giovane di Matteo, il classe 1998 romano è al momento decisamente lontano dalle vette raggiunte dal fratello, ma la sua impresa in Messico ci offre lo spunto per una carrellata (inevitabilmente non esaustiva) su fratelli e sorelle del tennis, campioni o meno che siano (stati) o saranno. Jacopo e Matteo, anch’egli vittorioso all’esordio, sono però stati sconfitti in doppio e dunque, almeno per quest’anno, non aggiungeranno nell’albo d’oro di Acapulco i propri nomi a quelli dei Bryan, degli Zverev e degli Skupski.
Top Bros: i fratelli migliori
Tra i tennisti in attività, Francisco (classe 1998) e Juan Manuel Cerundolo (2001) sono quelli che attualmente vantano il miglior ranking combinato, rispettivamente numero 32 (best n. 24) e 108 (79). Dei due di Buenos Aires, Fran è quello che tira e Juanma quello che rema; non a caso, la classifica di quest’ultimo è nettamente migliorata da quando ha deciso di rinunciare alla racchetta usata dal fratello per passare a un modello che perdona di più. Per quanto riguarda i testa a testa ufficiali, al Challenger di Campinas nel 2021 vinse Fran in due set ma, se entrambi vantano un titolo ATP, il primo a metterlo in bacheca è stato il più giovane. Come duo, hanno preso parte solo a eventi dei circuiti minori.
Se gli argentini sono i migliori in questo periodo, Alexander (classe 1997) e Mischa Zverev (1987) vincono a mani basse quando si prendono in considerazione i best ranking. Il fratellone, ora sprofondato dalle parti del 1500° posto, è stato n. 25 nel 2017, mentre Sascha ha occupato la seconda piazza. Due titoli vinti in coppia. Il più giovane ha vinto l’unica sfida a livello ATP, vendicando le due sconfitte “minori”, tra cui quella nelle qualificazioni del Challenger di Dallas 2 addirittura nel 2012. In quell’occasione texana, Mischa gli rifilò un 6-0 6-1. Un game lasciato al fratellino ancora quattordicenne, bravo.
Il classe 1998 Mikael Ymer, n. 59, ha perso le due sfide con il maggiore di due anni Elias (n. 170, best 105), ma pare ormai avviato verso una carriera più fortunata. In coppia hanno preso parte a una decina di eventi, ma non sono mai riusciti a replicare il successo del 2016 con il titolo ATP di Stoccolma. C’è anche un fratello del 2007, attivo nel circuito junior e dal nome promettente che compare come coach nell’apposito spazio della pagina ATP di Elias. Vedremo se Rafael saprà superare i fratelli.
Stefanos Tsitsipas dà il suo abbondante contributo alla classifica di fratellanza, ma il n. 3 del mondo non è aiutato da Petros, n. 1396 (best 727). Una sola partecipazione nel Tour (con netta sconfitta) per il classe 2000, grazie alla wild card di due anni fa a Marsiglia nella classica situazione win-win e ancora win: Stef si specchia nei generosi panni del fratello maggiore, il torneo ottiene la partecipazione di chi altrimenti non potrebbe permettersi, Petros gioca con i grandi. Insomma, vincono tutti. Magari non sul campo: Petros racimola due game con Davidovich Fokina e perde il doppio con il fratello che in singolare viene battuto al secondo incontro. Una ventina di apparizioni in doppio per i due, tra cui quattro nei Major con la ciliegina di un secondo turno. Stef ha anche un altro fratello, il diciassettenne Pavlos, e una sorella, la quattordicenne Elisavet (Tsitsipa), ancora impegnati nel circuito junior dell’ITF.
A pagina 2 – Sono sempre i peggiori ad andarsene
evidenza
L’ultimo match di Sania Mirza, la regina del tennis indiano che ha superato pregiudizi e convenzioni
Dopo 6 Slam e 43 titoli conquistati, l’ex numero uno del mondo in doppio ha concluso la sua carriera al fianco di Madison Keys a Dubai

Dopo essere andata vicina ad arricchire la sua collezione di titoli dello Slam poche settimane fa a Melbourne, Sania Mirza ha disputato l’ultimo incontro ufficiale della sua carriera. Lo ha fatto a Dubai che per lei è diventata casa da più di dieci anni e dove ha fondato due accademie di tennis, alle quali ne va aggiunta un’altra aperta nella sua terra natìa a Hyderabad. Qui ha iniziato a prendere confidenza con la racchetta all’età di 6 anni, dopo aver visto i cuginetti divertirsi sui campi da tennis durante una vacanza di famiglia negli Stati Uniti. A casa in India, invece, i campi per giocare erano una rarità assoluta e Sania ha raccontato che la superficie su cui ha mosso i primi passi non era nessuna di quelle su cui si giocano i tornei internazionali: niente terra, niente erba e nemmeno cemento, ma sterco di vacca. Da lì è partito il viaggio di una bambina che, vincendo e rompendo schemi consolidati, è diventata l’indiscussa regina del tennis indiano.
“In quanto donne, nella società indiana ci viene data una lista di cose che possiamo e non possiamo fare. Nessuno pensa a incoraggiarci e sostenere i nostri sogni”. Quando Sania ha partecipato ai primi tornei della sua vita, il tennis non era certo uno sport sconosciuto in India. Il movimento maschile aveva già una buona tradizione alle spalle grazie ai Krishnan (padre e figlio) e ai fratelli Amritraj. Di lì a poco sarebbero poi venuti fuori anche altri giocatori importanti come Bhupathi e Paes. Mancava, in ogni caso, un sistema in grado di accompagnare in modo sistematico i giovani e, soprattutto, per le donne un percorso simile non era nemmeno lontanamente ipotizzato. Sania, però, ha potuto contare sull’appoggio dei genitori e in particolare sull’esperienza di papà Imran, editore di una rivista sportiva e giocatore di cricket. Solo così il suo talento è potuto sbocciare in un contesto se non ostile, di sicuro impreparato.
Ad 8 anni Sania fece suo un torneo statale battendo in finale un’avversaria che aveva il doppio della sua età. Indubbiamente, il livello in patria non poteva essere paragonabile a quello che avrebbe incontrato in campo internazionale. Ma Sania si dimostrò in grado anche di fare il grande salto: nel 2003, a 18 anni, vinse il torneo di doppio junior a Wimbledon e fu questo il presupposto per un’ascesa rapidissima. Nel 2005 disputò a Melbourne il suo primo torneo dello Slam tra le grandi: era la prima donna indiana a farlo e arrivò fino al terzo turno, dove fu battuta da Serena Williams. Nello stesso anno, poi, raggiunse gli ottavi allo US Open. Questo è rimasto il suo risultato migliore nei major in singolare (il best ranking, risalente al 2007 è invece il numero 27), anche perché decise di dedicarsi sempre di più al doppio (fino a farlo a tempo pieno dal 2013), ricavandone grandissime soddisfazioni.
Ha infatti conquistato 6 titoli dello Slam, di cui tre in misto, e un totale di 43 tornei nella specialità. Questi traguardi l’hanno portata al primo posto della classifica riservata alle doppiste e nel novero delle migliori interpreti della storia della disciplina. Il suo marchio di fabbrica è sempre stato un dritto potentissimo, unito però all’eleganza dei movimenti e dei colpi al volo. Proprio per questo motivo, la coppia che ha formato insieme a Martina Hingis tra il 2015 e il 2016 (vincendo tre Slam e 14 tornei in totale) è stata una delle più forti e piacevoli da guardare di sempre.
Come ha spiegato lei stessa in uno speciale che Wimbledon le ha dedicato lo scorso anno, però, Sania sentirebbe di aver completato il suo percorso non tanto per le vittorie ma se ci fosse “anche solo una persona che è stata ispirata dalla mia storia”. Parte integrante di questa storia è anche la maternità nel 2018. L’ex numero uno del mondo in doppio ha raccontato che fino a quando non è diventata madre, le chiedevano continuamente quando lo avrebbe fatto: “C’erano giornalisti che mi facevano questa domanda nella conferenza stampa dopo una vittoria Slam, con il trofeo appoggiato sul tavolo. Sembrava che non potessi essere una donna completa fino a quando non fossi diventata madre, a prescindere dai risultati sul campo”. Dopo aver partorito Izhaan, Sania è tornata a giocare anche per dimostrare che famiglia e carriera non si devono escludere a vicenda e quindi, ancora una volta, per ispirare altre donne.
Critiche e minacce non sono ovviamente mancate nella sua carriera e vita privata da donna libera e pronta a tutto per realizzare i suoi obiettivi. Nel 2005 fu oggetto di una fatwa emessa da un gruppo di teorici musulmani che consideravano il suo abbigliamento in campo contrario ai precetti islamici. Nel 2010, invece, fu molto chiacchierato in India il suo matrimonio con il giocatore di cricket pakistano Shoaib Malik. Il partito nazionalista indù di destra, il BJP, chiese a Mirza di “riconsiderare” la sua decisione di sposare un pachistano, mentre nel Paese del marito in molti celebravano queste nozze come una sorta di conquista del Pakistan ai danni dell’India. In realtà era solo un altro momento della vita di Sania in cui le sue personali priorità hanno prevalso sulle convenzioni culturali e sociali. E’ questa l’eredità che ci lascia, all’interno di una cornice fatta di successi tennistici, passanti di dritto e volée vincenti.
ATP
ATP Rotterdam: Omar Camporese nel 1991 unico italiano vincitore in Olanda, fu il primo titolo del bolognese
Prima di Jannik Sinner, solo il bolognese aveva raggiunto l’ultimo atto. Memorabile la finale vinta contro l’allora n. 3 mondiale Ivan Lendl. L’azzurro rimontò vincendo due tie-break consecutivi con tanto di match point cancellato nel terzo set

Nella storia del torneo di Rotterdam (qui l’intero albo d’oro), denominato ufficialmente con la dicitura ABN AMRO Open e appartenente alla categoria dei ‘500’, solo un tennista azzurro si era spinto sino all’ultimo atto prima di Jannik Sinner – come abbiamo già ricordato anche sulla nostra pagina Instagram. Si tratta di Omar Camporese, al quale non solo l’impresa nel 1991 riuscì ma addirittura fu enfatizzata dalla conquista del titolo. Per il bolognese, quella in terra olandese fu la seconda finale della carriera a livello ATP; la prima l’aveva disputata un anno prima vicino casa a San Marino perdendola contro l’argentino – nativo di Tandil come Juan Martin Del Potro – Guillermo Perez-Roldan. Successivamente, l’ex n. 18 ATP – suo best ranking – ottenne fino al termine della sua vita di professionista della racchetta – che appese nel 2001- una sola altra finale: nel febbraio del 1992, quando a Milano sconfisse Goran Ivanisevic alzando al cielo meneghino il secondo ed ultimo trofeo della sua carriera.
All’inizio dell’evento orange, Omar era n. 54 del ranking mondiale: vinse il primo turno in tre parziali contro il tedesco Eric Jelen, a cui invece seguirono due successi senza perdere set ai danni dell’austriaco Alex Antonitsch e del ceco Karel Novacek. Dopodiché fu la volta della grande battaglia in semifinale con l’idolo di casa Paul Haarhuis, che attualmente ricopre il ruolo di Capitano di Coppa Davis dei tulipani, sconfitto al tie-break del terzo.
In finale ad attenderlo, c’era il n. 3 del mondo e prima testa di serie del tabellone Ivan Lendl, già vincitore delle sue 8 prove dello Slam: l’ultima nel 1990 in Australia contro Stefan Edberg. Perso il primo set, Camporese vinse il secondo 7 punti a 4 nel sempre dirimente dodicesimo gioco ed infine dopo aver anche cancellato un match point sul 5-4 e servizio; si aggiudicò pure il tie-break finale – ancora per 7-4 – che suggellò il suo primo storico trionfo in carriera sublimato dall’essersi dimostrato superiore nel confronto, valevole per il titolo, con uno dei mostri sacri della storia di questo sport.
Ma soprattutto, quello storico successo italico maturato a Rotterdam 32 anni fa assunse connotati emotivamente ancora più intensi grazie alle voci che accompagnarono le gesta di Camporese nel suo straordinario cammino e che fanno riecheggiare tutt’oggi il ricordo delle emozioni vissute nel cuore di quelli appassionati che ebbero la fortuna di poter assistete all’evento o che l’hanno recuperato successivamente tramite la piattaforma di YouTube – per quei pochi che non l’avessero fatto, potrete rimediare a fine articolo -. Al commento, infatti, di quell’incredibile finale contro il campione ceco in postazione telecronaca, rigorosamente dal vivo sul posto e non da tubo – come si suol dire in gergo giornalistico – per Tele+ c’erano il Direttore di Ubitennis Ubaldo Scanagatta e il compianto Roberto Lombardi.
(match completo con commento lo trovate nel video in basso)
I followers Instagram di Ubitennis potranno seguire il “Punto di Ubaldo” in un minuto a caldo appena conclusa la finale odierna.
Circa 30 minuti dopo la conclusione, Ubitennis pubblicherà sul sito e sul canale YouTube di Ubitennis un commento più articolato del direttore.