Nadal, il sorriso di un uomo umile (Giua)

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Nadal, il sorriso di un uomo umile (Giua)

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Nadal, il sorriso di un uomo umile (Claudio Giua, repubblica.it)

Rafael Nadal è un uomo umile. Non direi lo stesso di Novak Djokovic né di Andy Murray e nemmeno dell’angelicato Roger Federer. È umile nel senso proprio del termine, almeno secondo una delle definizioni della Treccani: “Che non si esalta del proprio valore e dei propri meriti, e si mostra invece sempre consapevole dei propri limiti”. L’umiltà non è in contraddizione con la forza, anzi!, e nemmeno con quel mix di consapevole determinazione e intelligente cattiveria che trasforma un eccellente tennista in un campione da sedici Slam vinti.

Nadal ha affrontato Kevin Anderson, suo pari età (classe 1986), passaporto emesso a Johannesburg, affetti e casa in Florida, senza dare per scontato che se batti un avversario quattro volte in altrettanti match e ti prendi nove set su dieci, conquistare il titolo a sue spese risulti una formalità. Umiltà significa dichiarare a poche ore dalla finale “…è il momento di far bene perché ho giocato così così all’inizio del torneo, anche se poi ho visto dei miglioramenti”.  E comportarsi di conseguenza. Rafa non si è fatto trarre in inganno dalla constatazione, sottolineata da tutti i media americani, che Anderson è il finalista degli Us Open con la classifica più alta (32) da quando il ranking è affare dell’ATP, cioè dal 1973. Né è caduto nel tranello – lui che stava per affrontare la ventitreesima finale di un major – di sottostimare Kevin per il fatto che solo una volta quest’ultimo aveva raggiunto i quarti di uno Slam, peraltro proprio a New York due anni fa. Ha così rispetto del servizio dell’avversario da aspettare la sua prima palla, per l’intera partita, quattro metri dietro la linea di fondo.  Anche Anderson è umile. Ha spiegato dopo la semifinale con Pablo Carreno Busta: “Lavoro duramente, sempre alla ricerca di come migliorare il mio gioco. Ho capito che devo fidarmi delle mie capacità. Anche questa è un’abilità che si può imparare, con il tempo”. Lavorare, migliorare, imparare: non sono parole vuote. Ma la variabile che fa la differenza è il talento. Nadal ne ha come pochi tennisti del passato e contemporanei. Anderson, parecchio di meno.

I set si raccontano in poche battute: due break per lo spagnolo nella prima frazione (6-3) e uno nella seconda (6-3); l’allampanato sudafricano che poco per volta perde fiducia persino nel proprio servizio, Rafa che trova nella risposta piazzata un primo antidoto alle bordate dell’avversario; perfetto quando serve, in caso di necessità il maiorchino  scende a rete, da dove i suoi colpi sono quasi sempre definitivi; non mancano gli scambi prolungati e neanche alcune finezze di Kevin, in particolare sventagliate di dritto ad uscire, che però vengono puntualmente neutralizzate al quindici successivo. Il terzo set ripete lo schema, con la sostanziale differenza che il break si materializza addirittura al primo game, costringendo Anderson a un’affannata quanto inutile rincorsa: con l’ultimo attacco a rete, Rafa chiude sul 6-4. Alle 6.52 del pomeriggio di New York, può finalmente sciogliersi e sorridere. Per la terza volta, dopo il 2010 e il 2013, alza la coppa dello Slam d’America.

Lucchettati i cancelli degli impianti USTA a Flushing Meadows, si può tentare un primo bilancio della stagione. Dovendo per ragioni ovvie prescindere da quanto accadrà nei restanti due Masters 1000, quattro 500 e sette 250, abbiamo già almeno tre dati di fatto su cui ragionare. Il primo: il 2017 è stato l’anno dei mai domi Federer e Nadal, che si sono spartiti i successi negli Slam e nei Masters 1000, avendo come terzo incomodo solo Sascha Zverev, 20 anni e 5 mesi. È possibile che questo dominio di perpetui nel 2018? Il secondo: c’è una generazione di ventenni che per la prima volta si affaccia ai piani alti. E gli Us Open hanno avuto il merito di segnalare al pubblico globale un trio di Under 21 si sta affiancando al giovane tedesco: Denis Shapovalov, canadese, 18 anni e 5 mesi, Andrey Rublev, russo, 19 anni e 11 mesi, e Borna Coric, croato, 20 anni e 10 mesi. Aspettiamoli fiduciosi già in qualche prossima finale di Slam.

Ultimo dato: non era mai accaduto, a mia memoria, che già in settembre si sapesse con certezza che alle Finals londinesi non avrebbero partecipato i due più recenti numeri 1 mondiali e tre altri ospiti fissi del Gotha, alias Top Ten, del circuito: hanno infatti già interrotto la stagione Novak Djokovic per i guai al gomito e l’affaticamento psicofisico e Andy Murray per i soliti problemi all’anca; Stan Wawrinka rientrerà in gennaio dopo la convalescenza dall’intervento chirurgico al ginocchio, mentre Kei Nishikori stenta a riprendersi dall’infortunio al polso. A oggi si può ipotizzare che sei dei probabili Magnifici Otto di Londra saranno Nadal, Federer, Sascha, Marin Cilic, Dominic Thiem e Grigor Dimitrov. Gli ultimi due posti se li giocheranno verosimilmente Sam Querrey, Pablo Carreno Busta, Anderson e Roberto Bautista Agut. Fossi il direttore del torneo, sarei preoccupato (…)

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