Keys, Venus e le altre: ancora sullo US Open - Pagina 3 di 4

Al femminile

Keys, Venus e le altre: ancora sullo US Open

Da Madison Keys a Maria Sharapova, da Venus Williams a Simona Halep: le protagoniste dello Slam appena concluso, in positivo e in negativo

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Karolina Pliskova
Fra le quartofinaliste, rimane da considerare Karolina Pliskova. In cima al ranking all’inizio del torneo, insieme alle altre giocatrici di vertice ha disputato gli US Open con un secondo obiettivo oltre alla vittoria dello Slam: il numero uno del mondo. Difficile dire se il doppio scopo abbia pesato sul suo torneo, che per lei era comunque difficile da affrontare visto che in più difendeva i punti da finalista del 2016 (sconfitta da Kerber).

Direi che complessivamente il suo bilancio non è stato molto positivo, soprattutto per il livello di gioco espresso, piuttosto opaco. Una sola vittoria convincente (il 6-1, 6-0 a Jennifer Brady, che è una giocatrice da non sottovalutare) in mezzo a match sotto tono.
Probabilmente sono in minoranza nelle mie valutazioni rispetto al suo modo di stare in campo, ma la vedo così: a dispetto delle apparenze esterne, non credo affatto che durante le partite Karolina sia poco coinvolta sul piano emotivo. Al contrario, penso invece sia una giocatrice anche più sensibile della media, che nelle ultime stagioni ha dovuto compiere un profondo sforzo di crescita psicologica per cercare di tenere a bada l’ansia che nei primi anni di circuito la assaliva nelle fasi decisive dei match. È lo stesso tipo di lavoro su se stessa che per il momento non è riuscito alla gemella Kristyna, che spesso soffre di crisi di braccino, causa di molte sconfitte evitabili.
Del resto l’apparente “glacialità” di Karolina è smentita dalle racchette che periodicamente rompe nei frangenti negativi dei match: un comportamento difficilmente compatibile con lo stereotipo al quale spesso viene associata di giocatrice imperturbabile, quasi disinteressata agli eventi in campo.

Tenendo presente tutto questo, la mia sensazione è che i suoi poco soddisfacenti US Open siano conseguenza di usura mentale, dopo i tanti mesi sempre in prima linea. Perché se è vero che nel 2017 non ha espresso un grande acuto nei Major (quarti in Australia, semifinale in Francia, secondo turno in Inghilterra, quarti negli USA), ha comunque vinto tre tornei Premier, ha raggiunto la seconda settimana in tre Slam su quattro, e raccolto molti piazzamenti: risultati che le hanno permesso di arrivare in cima al ranking.
Dopo tanti mesi costantemente sotto pressione, secondo me è arrivata a New York un po’ in riserva nelle energie nervose. Ha avuto bisogno di arrivare sull’orlo della sconfitta con Gibbs e con Zhang (addirittura al match point) per trovare la forza di reagire e iniziare a spingere, prendendo più rischi durante lo scambio. Contro Vandeweghe è andata vicinissima a vincere il primo set (con un set point sul 5-4 e CoCo al servizio) ma poi, mancata quell’occasione, mi è sembrata non riuscire più a contrastare la personalità di un’avversaria che trovava sempre più convinzione strada facendo.

A una settimana dalla fine degli US Open è arrivata la notizia della separazione da David Kotyza, il coach con cui aveva iniziato a collaborare nel dicembre 2016. Dall’esterno non è possibile avere un quadro chiaro delle ragioni che portano ai “divorzi” tra tennisti e allenatori: potrebbe comunque essere l’inizio di una fase nuova di carriera, ancora tutta da scoprire.

Garbiñe Muguruza
Prima favorita nelle quote della vigilia, a New York Muguruza era partita benissimo (tre vittorie per due set a zero) ma poi è stata eliminata al quarto turno da Petra Kvitova. Un’avversaria che patisce, visto che è sotto 1-3 negli scontri diretti (con gli ultimi tre persi). Confesso che fatico a capire come mai Garbiñe non riesca a mettere maggiormente in difficoltà Kvitova in certi ambiti di gioco: nella risposta al servizio di Petra e soprattutto nell’allungare il palleggio per mettere alla prova la tenuta fisica dell’avversaria. Ma al di là delle mie incapacità interpretative, resta il fatto che forse questa volta la partita sarebbe potuta andare diversamente: contro una giocatrice ancora in deficit di condizione fisica, se Muguruza avesse saputo approfittare del 4-1 di vantaggio nel primo set probabilmente si sarebbe potuta permettere anche di perdere il secondo, vincendo comunque alla distanza.

A rendere il bilancio meno deludente, Muguruza si può consolare con il primato nella classifica WTA, frutto della combinazione di risultati delle avversarie e dei pochi punti in uscita dall’anno scorso. Nuova numero uno del mondo, a 23 anni, e con già due vittorie Slam all’attivo (su due superfici diverse). Un palmarès che dovrebbe accontentare anche i critici più severi, che in altre occasioni hanno rinfacciato a certe giocatrici (come Wozniacki o Pliskova) di essere salite in cima al ranking senza avere vinto Major. Forse il raggiungimento di questo traguardo cambierà l’atteggiamento verso il tennis di Garbiñe, che in passato ha dato l’impressione di non riuscire a mettere lo stesso impegno nei tornei minori rispetto agli Slam. Magari l’idea di non perdere il primo posto potrebbe rivelarsi uno stimolo ulteriore per riuscire a esprimersi con più continuità.

a pagina 4: le delusioni e le occasioni mancate: Kerber, Halep, Sharapova

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