Di Federer, di Nadal, del tempo

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Di Federer, di Nadal, del tempo

Due Slam a testa, poi compagni in Laver Cup. Federer e Nadal non stanno cercando di sconfiggersi l’un l’altro. Hanno un avversario ben più temibile

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Tutti ci siamo concentrati su una risposta. Anzi, no. Tutti siamo concentrati, ieri, oggi e verosimilmente domani, sulla domanda. “Riuscirà Nadal a superare il record di Federer? Lo prenderà? È un suo obiettivo?”. La risposta di Nadal, diplomatica come di consueto per le indagini che riguardano la cosiddetta rivalità del secolo e più in generale nell’educato ed edulcorato mondo del tennis, era intuibile prima che aprisse bocca: “No, non lo è. Non gioco per quello”.

Non è vero. Federer e Nadal stanno cercando di sopravviversi, con risultati mai visti nello sport a livello assoluto e non solo nel tennis, per piantare la croce in vetta ed essere sicuri che il rivale non sia più in grado di arrivarci a quella croce, o addirittura trovi una montagna, un giorno, più alta dell’Everest. Nadal però non mente quando dice che forse quella del numero di Slam non è la priorità, non è il motivo vero per il quale continua ad allenarsi e lottare con la stessa dedizione inscalfibile di dieci anni fa. E con lui Federer, che avrebbe risposto alla stessa guisa, gli fosse stata fatta domanda simile a Londra o altrove.

Quello che sfugge ai microfoni, un sussurro che rimane e rimarrà più nel vento che nei libri, è che Federer e Nadal stanno combattendo per qualcosa di molto più grande del numero di Slam. Roger e Rafael stanno, soprattutto, combattendo per noi, una battaglia che pochi di noi hanno la forza di combattere. Quella contro il Tempo. La sfida non è dimostrare chi è capace di vincere più major. È anche quella, sì, ma viene da corollario, secondaria a un’altra sfida ben più impegnativa: quella di dimostrare che la vecchiaia, semplicemente, non esiste. E se esiste la si può eludere con una finta di polso, con una discesa a rete, con un dritto più piatto o un rovescio più lavorato, avanzando in risposta, studiando. Il postulato è semplice: non importa avere trenta o quarant’anni, l’importante è dimostrare a se stessi e al mondo che si può ancora stare in campo contro i ventenni. Batterli. Perché superare Zverev o Kyrgios non significa superare un tedesco e un australiano, significa battere le lancette dell’orologio. È una missione educativa e filosofica al tempo stesso, perché Rafa e Roger navigano, timone saldamente in mano, all’interno di una crociata impensabile: dimostrare che il Tempo è solo una categoria del pensiero. Serve per ordinare il mondo ma non è affatto valore assoluto, non è verità. “Incredibile vincere un altro Wimbledon, quindici edizioni dopo il primo” dichiarava con finto stupore Federer mentre sollevava la coppa dei Championships, pensando, probabilmente “che bello, forse tra qualche anno potrò sostituire quel quindici con venti, venticinque. E così via”.

Potremo parlare finché vorremo di ‘lost generation’, ‘weak era’. Se preferiamo possiamo farlo in italiano, un periodo ‘senza rivali’, l’assenza del fisiologico ‘ricambio generazionale’. Forse è tutto vero. E di sicuro, oggi a maggior ragione, è bello e affascinante pensare alla Rivoluzione, ai giovani pieni di coraggio che prendono il potere. La stiamo aspettando tutti, diciamocelo, annoiati da quei due, da quei quattro, dalla divisione salomonica degli Slam e dalla spartizione dittatoriale dei Roland Garros e dei Wimbledon. Perché in fondo dopo tante sicurezze e immobilismo un po’ di incertezza ci vuole, cavolo, mica siamo tutti Leonid Breznev!

Federer e Nadal, però, mica ascoltano il passante che nei suoi anni corrosi dal Tempo si occupa di tennis. Federer e Nadal continuano a combattere incessantemente la loro battaglia contro il dio che governa da sempre l’umanità e le sue cose. Si stancheranno, un giorno, perché quel dio ha dimostrato a più riprese di essere imbattibile. Siamo pronti a scommettere, però, che in questa lotta Federer (che a differenza di Djokovic…) e Nadal saranno i campioni capaci di spingersi più in là, di vincere più lontano. Non lo fanno e non lo faranno per loro stessi. Lo fanno per noi, per i nostri figli, per farci dire, stirando le braccia a quarant’anni e prendendo una bella boccata d’aria di montagna, a pieni polmoni: “Ah, che meraviglia la giovinezza!”.

Alessandro Trebbi

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