Rassegna stampa
Altro che bancarotta, Becker è sul lastrico: debiti per 61 milioni (Crivelli). Le mamme vincenti del tennis (Semeraro)

Altro che bancarotta, Becker è sul lastrico: debiti per 61 milioni (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Può finire in bancarotta chi c’è già? Quando a giugno a Boris Becker venne contestato un debito di sei milioni di dollari (5.100.000 euro) nei confronti di una banca londinese e quindi venne avviata la procedura per il crac personale, l’ex numero uno del mondo affermò di aver potuto pagare entro un mese, se gli fosse stato dato il tempo. Ma adesso le parole del giudice che si occupò del caso, Christine Derret («Non ha dimostrato di essere una persona brillante in fatto di soldi. In questo senso ho l’impressione che siamo davanti a un uomo che mette la testa sotto la sabbia per non vedere i problemi»), suonano ancor più veritiere di fronte all’ammontare del buco finanziario creato dal più giovane vincitore di Wimbledon. Buco portato alla luce dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung: addirittura 61 milioni di euro, richiesti complessivamente da 14 creditori.
Di questi debiti, ben 37 milioni sarebbero nei confronti dell’uomo d’affari svizzero-tedesco Hans Dieter Cleven, che è stato manager-consigliere di Boris dal 1999 per una decina d’anni, trovandogli un posto presso la Volkl (azienda produttrice di racchette) e poi facendolo socio della Fondazione Cleven-Becker per la salute e l’attività motoria dell’infanzia. Più o meno 10 milioni è l’esposizione con la banca privata Arbuthnot Latham e Co, la stessa del debito di giugno, mentre 6 milioni sono la somma dovuta agli azionisti di un’altra società personale di Becker e Cleven. Altri creditori includono banche e privati, mentre non si ha notizia di ricorsi dello Stato tedesco o di autorità pubbliche britanniche
Secondo la Faz, il patrimonio personale dell’ex numero uno del mondo, che in carriera ha guadagnato oltre 25 milioni di dollari di soli premi, ammonterebbe ormai a poco più di 500.000 euro, ma non sono ancora state valutate le proprietà immobiliari (tra cui la villa di Maiorca che era stata data a garanzia del primo debito e due case nella città natale di Leimen) e le partecipazioni azionarie. Dura la presa di posizione dell’avvocato del campione tedesco, Christian Oliver Moser: «Le richieste arrivano sulla base di informazioni illecite di alcuni creditori e sono contestate dal nostro cliente e in parte non reggeranno alla disamina del tribunale (…)
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Le mamme vincenti del tennis (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Mentre aspettava la premiazione, ha dovuto prendere un plaid per coprire Karin, anni 4, che iniziava a sentire un po’ freddo e faceva il broncetto. Poi Kateryna Bondarenko, anni 31, si è alzata e ha sollevato la coppa del Wta International di Tashkent, in Uzbekistan. I1 primo e fino a quattro giorni fa unico titolo Wta della sua carriera la tennista ucraina l’aveva vinto 9 anni fa, a Birmingham: da single. Stavolta ha gioito da moglie (del suo coach Denis Volodko) e da mamma della piccola Karin. E’ la prima madre a rivincere un torneo pro sei anni dopo Kim Clijsters, che nel 2011 conquistò gli Us Open spedendo sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo la foto della piccola Jada, un anno, che reggeva insieme a lei il trofeo sbrilluccicante.
Le mamme campionesse, peraltro, non sono mai mancate nel tennis. Già Dorothea Lambert Chambers nel 1914 si prese l’ultimo dei suoi 7 Wimbledon dopo aver partorito; più recentemente sia Evonne Goolagong (Wimbledon 1980) sia Margaret Court (ben 3 Slam nel 1973) avevano dimostrato che il doppio ruolo di ariete e genitrici è possibile. Della Clijsters, che da mamma è stata anche n.1 del mondo, si è già detto e una citazione la merita anche Lindsey Davenport (3 titoli Wta da mamma). Ultimamente però, lo schema maternità-pausa-rientro-vittoria sembra diventato moneta comune. Oltre alla Bondarenko, che, dopo essere arrivata al n.29 del mondo nel 2009, fra 2012 e 2014 si era presa due anni di aspettativa dal tennis, da poco è tornata sul circuito la russa Vera Zvonareva, n.2 Wta nel 2010: nel 2016 si è sposata e ha avuto un bambino, la settima scorsa ha sfiorato il successo a Dalian. L’australiana Casey Dellacqua di figli ne ha avuti ben due con la sua compagna Amanda Judd, e in doppio continua ad accumulare trofei; altre mamme da Tour sono la tedesca Tatiana Maria e la russa Evghenija Rodina.
Poi ci sono i casi di Victoria Azarenka e Serena Williams, due ex n.1 che vogliono riprovarci destreggiandosi fra racchette e pannolini. La bielorussa per ora è alle prese con un disputa legale, visto che il padre del suo piccolo Leo, nato nel 2016, con cui ha rotto nello scorso luglio, non le consente di portarlo fuori dalla California. La Williams invece un mese dopo il parto con cui ha dato alla luce Alexis Olympia, avuta dal miliardario armeno-americano Alexis Ohanian, è già tornata in forma (come da foto postate su Twitter) e in Australia a gennaio inizierà la sua risalita verso il n1. «Io non ce la farei mai a occuparmi sia di un figlio sia del tennis», ha commentato la sua amica del cuore Caroline Wozniacki. «Ma sono sicuro che Serena saprà sistemare tutto». A dire il vero l’americana un torneo da mamma lo ha già vinto: gli Australian Open di quest’anno, quando sapeva già di essere incinta di qualche settimana; non a caso le iniziali della bimba, AO, sono le stesse dello Slam di Melbourne (…)
Flash
Trevisan vola ai quarti per la prima volta (Giammò); Sinner, numeri da grande (Ercoli); Evoluzione Sinner, l’imprevedibilità è la sua nuova arma (Azzolini); Trevisan in versione rock (Semeraro)
La rassegna stampa di martedì 28 marzo 2023
Trevisan vola ai quarti per la prima volta (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Non si ferma più la corsa di Martina Trevisan nel WTA1000 di Miami. La numero uno italiana si è infatti qualificata per la prima volta in carriera ai quarti del torneo battendo in due set (6-3, 6-3) Jelena Ostapenko e diventando così, dopo Errani e Vinci che per ultime tagliarono questi traguardi nel 2013, la sesta azzurra di sempre a riuscirc. Intelligente e pratica, Trevisan ha giocato un match tatticamente perfetto. Come intuito dal suo coach Catarsi, Ostapenko si è rivelata giocatrice aggressiva e impaziente di prendere in mano le redini del gioco. La toscana però, anziché accettare la sfida della lettone su un territorio a lei più congeniale, ha preferito impostare il match su ritmi in apparenza più blandi, tenendone cosi a freno l’irruenza e affondando i suoi colpi appena possibile […]. “Sapevo di dover giocare una gran partita, lei un’ottima giocatrice che ama colpire forte”. Solida alla battuta (oltre il 60% di punti ricavati dalla seconda) e coraggiosa quando chiamata a fronteggiare delle palle break (alla fine saranno otto su dieci quelle da lei annullate), Trevisan, intuita la bontà del suo piano di gioco, ha continuato ad attuarlo ripassandone le trame ad ogni cambio di campo. “Partita dopo partita sto facendo esperienza, l’anno scorso a Parigi ho giocato la mia prima semifinale in uno Slam, e poi ho continuato ad imparare quanto più possibile cercando di godermi questo percorso”. Un percorso che su questa superficie l’aveva vista inciampare ben dodici volte su tredici quando opposta a una top 30; anche ieri, con la vittoria ormai a un passo, Martina ha rischiato di avvitarsi […]. Scampato anche l’ultimo pericolo, Trevisan si è poi presentata alla battuta col sorriso di chi già stava assaporando una felicità inattesa. “Sono contenta – ha commentato – siamo a Miami in questo stadio, questo è il mio lavoro che è anche la mia passione, cosa può andare male? Penso solo a godermi questi momenti”. Nei quarti affronterà Elena Rybakina.
Sinner, numeri da grande (Lorenzo Ercoli, Corriere dello Sport)
A tre annidi distanza dal primo scontro direto datato Roma 2020, Jannik Sinner ha superato Grigor Dimitrov con il punteggio di 6-3 6-4 sul Grandstand del Miami Open. Nonostante ciò che recita il parziale finale il match, specialmente nel secondo set, è stato ricco di insidie per l’azzurro, che ha quindi l’ulteriore merito di non aver praticamente mai perso le redini del punteggio. Se le settanta posizioni di differenza tra il primo e il secondo match contro il bulgaro (Sinner era n.81 ATP all’epoca del primo confronto con il vincitore delle ATP Finals 2017; ndr) non fossero sufficienti a far ricredere i nostalgici del “Sinner vecchia maniera”, la gestione pratica del match avvalora una crescita visibile sul campo quanto sui tabellini. A fine 2022 era stata un fulmine a ciel sereno l’investitura de “L’Équipe” come flop della stagione. La scelta del quotidiano sportivo francese, motivata con la discesa di Jannik alla quindicesima posizione del ranking mondiale e la vittoria di un solo titolo, già allora aveva l’unica parvenza di una mossa prettamente sensazionalistica. Messo da parte lo stupore, con l’inizio della nuova stagione non c’è stata nessuna rivoluzione, ma solo il prosieguo di un percorso intrapreso con coerenza che ha subito riportato l’altoatesino vicino al ritorno in Top10, obiettivo che potrebbe essere centrato al termine delle due settimane in Florida. Nell’eccezionalità del suo percorso, dal 2019 ad oggi Sinner ha avuto il merito di riuscire a migliorare costantemente i propri numeri, per certi versi anche nel tanto tormentato 2022 […]. La capacità di passare in un tempo record di due anni dal primo titolo Challenger all’ingresso tra i primi 20 è stata data quasi per scontata, quando all’atto pratico in tempi recenti solo Carlos Alcaraz e Holger Rune sono riusciti a compiere una scalata netta e priva di intoppi come quella dell’azzurro. A pensarci bene è un’anomalia che un giocatore così giovane si sia dovuto preoccupare di cambiare le proprie trame tattiche solo quando si è trovato ad affrontare lo scoglio dei primi dieci, contro i quali negli scontri diretti si era già fatto trovare pronto alle prime occasioni […]. Il bilancio complessivo contro quell’élite del tennis, della quale l’azzurro ha fatto parte toccando a novembre 2021 il best ranking di numero 9 ATP, è di 11-23. In una singola stagione l’atleta classe 2001 non ha mai chiuso con un bilancio positivo contro i Top10 e l’annata in corso potrebbe essere quella buona in questo senso. Dopo il 3-9 del 2022, alla vigilia del match contro Andrey Rublev, il bilancio del 2023 è di due vittorie (Tsitsipas e Fritz) e altrettante sconfitte (Tsitsipas e Alcaraz). Complessivamente da gennaio il tennista di San Candido ha vinto 18 partite su 22 (81.8%) […]. Con l’aumento percentuale delle vittorie stagione per stagione, quasi di conseguenza diminuiscono le sconfitte contro i giocatori con classifica più bassa della sua. Da favorito, naturalmente seguendo le uniche logiche del ranking, Sinner in questa stagione ha perso solo una partita su 17, ad Adelaide 1 con il futuro finalista Sebastian Korda. la consacrazione potrà arrivare solo con titoli Slam e piazzamenti ai vertici della classifica, ma nell’attesa questi primi riscontri ci aiutano a sognare in grande per il futuro.
Evoluzione Sinner, l’imprevedibilità è la sua nuova arma (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Rischiano di aprirsi antiche discussioni. Che cos’è talento e soprattutto, come si porta alla luce un talento nascosto? Evito le formulazioni più generiche, convinto che, fra le tante, quella di Pablo Picasso sia ancora la migliore. “Vi sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, e altri che con l’aiuto della loro arte, trasformano una macchia gialla nel sole”. Sarà che certe frasi ti ronzano in testa da sempre, ma osservando Jannik Sinner sbattersi un bel po’ contro Grigor Dimitrov – cui molti attribuiscono un talento più cristallino di quello in dotazione al nostro ragazzo tennista – mi sono chiesto se fra i molti ingegni di Jannik quello che gli avversari meno sopportano sia l’ormai manifesta capacità di ribaltare il fronte del gioco, per quanto preparato ad arte, con una sortita di ancora più alto spessore. Nel mostrare questo, il match con Dimitrov – che spinge Sinner alla terza presenza negli ottavi ciel “mille” di Miami, e a un confronto tra “rossi” con Anchey Rublev – è stato alquanto esaustivo, in particolare nel secondo set; quando il bulgaro che anni fa si proponeva come sposo della bella Sharapova, ha puntato densamente la barra del proprio tennis verso la qualità – e l’imprevedibilità – delle giocate, ricevendone da Sinner un’ampia gamma di repliche di casi alta fattura da obbligarlo rapidamente a recedere dagli intenti, abbrunare il vessillo del proprio casato, e consegnarsi all’avversario. Forse è proprio questo su cui ha lavorato Sinner; nell’ultimo anno, quando con coraggio e avvedutezza ha posto avanti a tutto l’esigenza di diventare “altro” giocatore, rispetto a quello forse troppo meccanico che stava prendendo forma, e preparare una trasformazione che desse risposta alla domanda centrale: che tipo di tennista vuoi essere da grande? Uno in grado di combinare più profili di gioco, è stata la risposta che tutti aspettavano. Ma forse Jannik è andato oltre. Rimettendo a posto qui, migliorando là, restaurando e ripulendo, il ragazzo è venuto a contatto con una serie di variabili che s’è tenuto da parte, pronto a gestirle alla bisogna. E ha fatto ieri in una fase del match in cui Dimitrov è sembrato sfidarlo apertamente. Ne è sortito un set in cuii due sembravano rincorrersi nel mettere a frutto i rispettivi ingegni. Un rovescio in lungo linea del bulgaro, per chiudere un punto decisamente lavorato? Ed ecco Sinner rispondere con le stesse arti, ma a velocità ancora più sostenuta […]. “Mi è sembrato di giocare una partita a scacchi”. Una mossa lui, una l’altro. Ma solo dal secondo set, dato che nel primo era stata la solidità di Sinner a emergere […]. Sul tre pari, lo scatto che serviva è stato di Sinnet; prima il 4-3, poi – attento e feroce sulle risposte, che ieri hanno funzionato davvero bene – il break che gli ha permesso di chiudere il conto. Non era facile, e non lo è stato. Ma Jannik l’ha fatto sembrare tale. Ed ecco un’altra delle più comuni definizioni del talento, che dispone chi può permetterselo nella condizione di far sembrare facile ciò che non è […]. “Con Dimitrov la risposta ha funzionato bene, con Rublev sarà decisiva”, preconizza Sinner. Che possegga anche un talento da profeta?
Trevisan in versione rock vola nei quarti a Miami (Stefano Semeraro, La Stampa)
Martina Trevisan sorride sempre quando gioca, ora sorride anche la sua classifica. Battendo in scioltezza (6-3 6-3) la ex campionessa del Roland Garros Jelena Ostapenko, Martina è diventata, oltre che la sesta italiana ad arrivare nei quarti nel “1000” della Florida (dopo Reggi, Farina, Garbin, Errani e Vinci), anche numero 20 del mondo. Per ora virtualmente, nel metaverso delle classifiche in progress ma con una chance di salire ancora. L’ultima azzurra a bivaccare così in alto è stata Robertina Vinci, n.19 nel gennaio 2017. È la prima volta che la Trevisan raggiunge i quarti di un “1000”, che ce l’abbia fatta sul veloce, non la sua superficie “naturale”, la dice lunga sulla capacità di migliorarsi di Martina, che a 29 anni vive una stagione magica […]. Già in United Cup aveva sorpreso Maria Sakkari, quello di ieri è il secondo successo in carriera contro una top 50 sul veloce. Un’ora e mezzo di frustate mancine e grande solidità mentale di fronte alla sciagurata Jelena (26 gratuiti), la conferma di un ottimo stato di forma. Ora per Martina in versione Hard Rock (il nome dello stadio del football che a Miami ospita il torneo) c’è la vincente la campionessa di Wimbledon Rybakina. In palio i quarti di finale, che sono anche l’obiettivo di Jannik Sinner nel maschile: stasera l’ostacolo è Andrey Rublev, n.7 Atp, contro cui ha perso (2 volte su 4) solo per ritiro.
Flash
Rune, il cattivo che piace: “Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three” (Cocchi). Trevisan sogna i quarti “Deve stare tranquilla” (Giammò). Intervista a Darren Cahill: “Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria” (Rossi)
La rassegna stampa di lunedì 27 marzo 2023
Rune, il cattivo che piace: “Io, Alcaraz e Sinner saremo i nuovi big three” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
Non è cattivo, è che lo disegnano così. Holger Rune è il gemello nordico di Carlos Alcaraz, da cui lo separano appena sei giorni di vita. Holger è quello grande, nato il 29 aprile 2003, contro il 5 maggio di Carlitos e insieme, da bambini, hanno giocato decine di tornei junior. Si vogliono bene, si stimano ma in campo non potrebbero essere più diversi. Come stile, come personalità: Holger, che ha stupito alla fine del 2022 per la vittoria nel Masters 1000 di Bercy contro Novak Djokovic, è numero 8 del mondo e si sta ritagliando il ruolo di «aspirante bad boy». Provocatorio, arrogantello ma con la faccia da bravo bambino, ha bisticciato un po’ con tutti, soprattutto con Ruud e con Stan Wawrinka che, dopo l’ultimo incrocio a Indian Wells, ha vaticinato: «Negli spogliatoi si sta facendo una reputazione di cui si pentirà…».
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Holger, quando va ha campo lei c’è sempre da divertirsi… «Beh, è per questo che si lavora. Per dare spettacolo, giocare belle partite. Soprattutto vincere». Si, ma qui più che dl colpi si parlava dl scintille, quelle con i colleghi « (Sorride imbarazzato) Qualche volta succede… Ma non così spesso. Capisco che a volte sono un po’ troppo sanguigno, ma è soltanto perché ho una passione incredibile. Ci metto l’anima e commetto qualche peccato dovuto alla mia irruenza, alla giovane età. Sto cercando di migliorare» . Si dice che I giocatori come lei, o come Kyrglos, siano ciò di cui il tennis ha bisogno per essere più interessante. «Diciamo che la diversità è un valore aggiunto. Se ci comportassimo allo stesso modo, sarebbe una noia. Ognuno ha il proprio carattere e mi piace che sia così». Comunque Nick Kyrgios, un luminare in tema dl caratteraccio la apprezza a tal punto che vorrebbe diventare il suo allenatore. «Nick è forte, mi fanno piacere le sue parole. Più che altro, se mi fosse data l’occasione di rubare un colpo a qualcuno, vorrei íl suo servizio». Lei è seguito da mamma, che le fa da manager e la accompagna in giro per il mondo. Che rapporto avete? «Mia mamma è una persona fondamentale nella mia vita. Mi fido ciecamente di lei e seguo tutto quello che mi dice, soprattutto quando mi chiede di dare tutto e mettere passione in campo. Nessuno mi conosce meglio di lei, a chi dovrei dare retta?».
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Patrick Mouratoglou, che la segue Insieme a Lars Christensen dice di lei che è ossessionato dal tennis. «Beh, penso che se non sei ossessionato da quello che fai è difficile. Devi dedicare le tue intere giornate agli allenamenti, alla preparazione, ai tornei. Mi spiace per quelli che non sono ossessionati, li aspetta una vita sul circuito molto difficile». Chi saranno i Big 3 del futuro? «Domanda difficile, però la so! Uno del trio spero di essere io, poi Alcaraz, che ha già dimostrato di saper vincere gli Slam, e infine Sinner. Ha un atteggiamento incredibile. Sembra sia sul tour da una vita ma ha appena 21 anni, e ogni volta che gioca mostra miglioramenti».
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Trevisan sogna i quarti: “Deve stare tranquilla” (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Una vittoria ottenuta dopo oltre tre ore di gioco, rimontando un set di svantaggio, e nonostante le diciotto palle break concesse alla sua rivale, l’americana n59 del mondo Liu. Non poteva esserci un modo migliore per Martina Trevisan per tagliare il traguardo del suo primo ottavo di finale in carriera nel WTA1000 di Miami. «E’ stata una giornata lunga, abbiamo dormito poco nonostante la stanchezza del match e il caldo, ma siamo riusciti a recuperare e tra poco ci alleniamo – ci dice da Miami il suo coach Matteo Catarsi.
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“Martina e stata brava a non farsi prendere dalla fretta, a fare un passo indietro per tentare di rimettere il match sui binari della lotta e della costruzione del punto». Un copione per lei ideale. Alla cui lunghezza ieri non sembrava corrispondere altrettanta incertezza per l’esito della sfida. Anzi. Più passava il tempo, più netta era l’impressione che l’azzurra fosse sempre più vicina alla soluzione dei suoi problemi «Sa difendersi, specialmente con il back di rovescio. Col servizio varia molto di più – sottolinea Catarsi – E poi l’atteggiamento… è stata brava a trovare i giusti accorgimenti in un match iniziato con il caldo, viziato dal vento e chiuso con l’umidità». Tra Trevisan e i quarti c’è la lettone Jelena Ostapenko, una che rivuole sempre tenere l’iniziativa, fa correre le sue avversarie e non sarà facile farla muovere in campo. La stiamo già preparando, ma l’importante è che Martina stia tranquilla». SONEOO.Si è qualificato al terzo turno Lorenzo Sonego. il n.59 del mondo ha battuto in rimonta il britannico Evans, bissando cosí il bel successo ottenuto al primo turno contro Thiem e se la vedrà ora con l’americano Frances Tiafoe
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Intervista a Darren Cahill: “Agassi mi ha reso migliore. Sinner è pronto a una grande vittoria” (Paolo Rossi, La Repubblica)
Lo chiamano Killer. «Anche mia moglie, gli amici. Nessuno mi chiama Darren. Me lo hanno affibbiato da piccolo, ma va bene e sono felice così». In carriera ha vinto due titoli ed è arrivato in semifinale agli Us Open nel 1988. Ma soprattutto vanta una grande carriera da coach, e si spera che continui: Darren Cahill, australiano di Adelaide, classe `65, è il coach (con Simone Vagnozzi) di Jannik Sinner. Cahill, ricorda quel suo torneo di New York dei 1988? «Come fosse ieri. Come puoi dimenticare uno dei momenti salienti della tua carriera. Ho battuto anche Boris Becker, in quel torneo “vedevo” la palla». Però non ha poi brillato… «Ero decente, ma non un grande giocatore. In una buona giornata davo fastidio, ma essere un grande giocatore è diverso: io esponevo troppo le mie debolezze».
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Come è iniziata la sua carriera di coach? «Fortuna e porte scorrevoli: una si chiude, un’altra si apre. Ho finito giovane, per problemi al ginocchio. Avevo 25 anni. Tornato ad Adelaide, la mia città, incontrai un ragazzino di circa 12 anni: Lleyton Hewitt. Aveva già il suo coach, Peter Smith. Quindi il mio lavoro fu più di strategia: come giocare, il tipo di colpo, quale parte del campo, l’individuazione dei punti deboli dell’avversario». È questo il suo segreto? «Se non sei un tennista talentuoso devi essere in grado di vedere il gioco: è quello che faccio, cerco modi per battere i migliori. Ci sono ex giocatori che non erano campioni ma poi si rivelano coach bravi. Perché? Fanno ciò che hanno fatto per tutta la loro carriera: vedere il gioco diversamente dai campioni». Quindi gli ex campioni non sono bravi allenatori? «Tutt’altro: sono stati in quelle posizioni, in quei momenti, sanno parlare e connettersi con i giocatori. E sanno come mettere una palla in un punto del campo impossibile per i comuni mortali: una differenza c’è». Jannik dice di lei che prima del match sa trovare le parole magiche. «A volte il giocatore ha bisogno di informazioni, oppure di un discorso ispiratore, o di qualche chiarimento. Altre va lasciato in pace, o gli va dato un abbraccio. Dipende dalla situazione: per tenere la convinzione i tennisti hanno bisogno di tutto ciò, a questo servono gli allenatori». E qual e la sua parola magica? «La sto ancora cercando: importante per un vero allenatore è aiutare il giocatore a trasformare le situazioni perdenti in vincenti. Statisticamente se ci riesci 4/5 volte in un anno il tennista potrà fare qualcosa di importante nei grandi tornei». Torniamo indietro: dopo Hewitt ha allenato un certo Agassi. «Andre aveva 32 anni, era già una leggenda. Non sapevo se avrebbe giocato sei settimane, sei mesi o sei anni. Alla fine ha giocato per cinque stagioni a un livello molto alto. Per me è stata una grande lezione di coaching: mai visto uno che volesse così tante informazioni. Richieste sugli avversari, analisi e domande tipo “se colpisco la palla così, con questo tipo di giocatore e in questa posizione in campo quale sarà la risposta?”. Con Andre dovevi davvero fare i compiti: mi ha reso un allenatore migliore». Poi l’esperienza femminile. «Simona Halep. Con lei ho vissuto i migliori momenti della carriera, la gioia più alta: è una persona straordinaria, a volte era lei la sua peggior nemica. Ma che pressione aveva, con tutta la Romania che si aspettava diventasse la numero 1». E siamo al presente, in Italia. «Beh, conosco bene Riccardo Piatti, mi aveva parlato molte volte di Jannik. Ci eravamo incrociati un paio di volte, il tennis è come una famiglia e la tua reputazione gira, quindi: se, come Jannik, sei una brava persona e hai buoni valori, la gente ti conosce prima di vederti. Sapevo che viene da una grande famiglia, che ha i piedi per terra, che lavora duramente, che è motivato, rispetta le persone, tutte cose per cui è attraente lavorare con lui. La cosa più importante per me è il carattere di un giocatore». Però lei è da solo in un gruppo tutto italiano… «La “mafia” italiana (ride). Scherzo, quella è la ciliegina: è fantastico lavorare con Simone Vagnozzi, bravissimo sulla tecnica, e poi Umberto Ferrara e Giacomo Naldi».
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Su cosa deve migliorare Sinner? «Prima del mio arrivo era già un grande giocatore, già top ten: ha armi incredibili, era ben allenato. Ora vanno guardate le sue partite contro i migliori e capire cosa lo trattiene dal batterli. E lavorarci. Ma c’è bisogno di tempo, di un paio d’anni e di molte situazioni di partita. Può migliorare il servizio, il gioco di transizione, essere dominante da fondo campo. Ma la cosa più importante, quando alleni i grandi giocatori, è continuare a migliorare i loro punti di forza. Ad esempio Jannik si muove incredibilmente bene, quindi spendiamo tanto tempo su questo. È grandioso che sia così disposto a provare cose nuove e a cercare di migliorare, purché non ci si allontani troppo dal tipo di giocatore che è».
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Rassegna stampa
Musetti e Berrettini fuori (Cocchi, Giammò, Azzolini)
La rassegna stampa di domenica 26 marzo 2023
Musetti e Berrettini giù. Sinner accende i motori per cambiare marcia (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
A Miami il sole spacca le pietre eppure, sui protagonisti azzurri, si addensano nuvole nere. Dal Masters 1000 della Florida escono in una sola giornata Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini. Jannik Sinner, in campo oggi contro Grigor Dimitrov, è l’ultimo tricolore a cui aggrapparsi in tabellone. Ma a ben guardare i due ko del toscano e del romano hanno sfumature differenti. L’esordio di Melissa Satta nel box di Matteo Berrettini non è stato dei più fortunati. Non ha potuto festeggiare un trionfo ma è stata costretta a soffrire caldo e tensione nel match del compagno contro lo statunitense numero 55 al mondo Mackenzie McDonald. È finita col romano fuori all’esordio eppure, rispetto alle partite precedenti, un tiepido raggio di luce si è intravisto. Ci sono state occasioni, c’è stato atteggiamento positivo, è mancata sicuramente la freschezza fisica. Ma su questo aspetto Berrettini e il team si metteranno al lavoro da subito in vista della stagione sul rosso. Sulla terra, l’ex numero 6 al mondo non ha punti da difendere grazie al lungo stop a cui era stato costretto lo scorso anno per l’operazione alla mano destra. […] Nella partita finita con un doppio tie break a favore dello statunitense si sono visti sprazzi del Matteo che fu e pur consapevoli che la strada è ancora lunga, le premesse sono buone. Preoccupa di più l’ennesima frenata di Lorenzo Musetti. Sì, è giovane. Sì, ha trovato un Jiri Lehecka solidissimo, ma la lunga trasferta in America, prima sulla terra di Argentina, Brasile e Cile e poi sul cemento statunitense, si è chiusa senza acuti. Musetti troppo spesso si è fatto prendere dal nervosismo e ha mancato di lucidità nei momenti decisivi. Lorenzo ora è iscritto allAtp 250 di Marrakech per preparare il Masters 1000 di Montecarlo, ma potrebbe anche decidere di fermarsi più a lungo a casa e allenarsi nel Principato, dopo quasi due mesi tra Sudamerica e Usa. Quella sul rosso per l’allievo di Tartarini è la stagione più importante, ora serve ritrovare la rotta.
Berrettini e Musetti, crisi infinita (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Se vincere aiuta a vincere, la sconfitta, se ripetuta, si trasforma in una compagnia da cui diventa sempre più difficile liberarsi. I match di secondo turno persi ieri a Miami da Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini, rispettivamente contro Jiri Lehecka (n.44 Atp) e Mackenzie McDonald (n.55) sono stati un’ulteriore conferma. Talentuosi, dotati entrambi di un tennis tanto appagante quanto efficace, Musetti e Lehecka si erano infatti presentati alla vigilia della loro sfida con una cronologia di risultati che era lo specchio dei rispettivi momenti di forma: il ceco, dopo essersi spinto fino ai quarti in Australia, battendo lungo la strada Norrie e Auger-Aliassime, aveva poi concesso il bis a Doha, cedendo in semifinale a Murray non prima di aver colto di sorpresa Andrey Rublev. A Miami ha colto la sua 15a vittoria stagionale; molto più magro invece il bilancio dell’azzurro, che in Florida era atterrato sperando di invertire il trend che lo aveva visto sconfitto in sei delle sue ultime sette uscite. II doppio 6-4 con cui Lehecka si è aggiudicato il match, reca comunque indicazioni e segnali di ripresa su cui Musetti potrà continuare a lavorare in vista del suo ritorno in Europa per lo swing sulla terra battuta. Ne è convinto Davide Sanguinetti, ex n. 42 del mondo: «Oggi (ieri; ndr) Lehecka ha giocato in maniera perfetta, gli toglieva il tempo, non lo faceva pensare. Segno che hanno iniziato a capire come gioca. E Musetti, non essendo in confidenza, l’ha pagata a caro prezzo». Anche per Corrado Barazzutti «non si tratta di una questione tecnica o fisica, sono due dei giocatori più forti del mondo: è un problema che sorge nei tennisti quando non vincono». Il match di Berrettini è stato all’insegna degli scambi corti, un tennis muscolare, volontà di potenza in cui nessuno vuol recitare il ruolo di sparring partner. Intensità pura che, quando non accompagnata da ritmo e variazioni, ha finito col trasformare la sfida in un braccio di ferro giocato colpo dopo colpo sul filo del rasoio, la cui inerzia è rimasta a lungo in bilico salvo risolversi poi in due tie-break. «L’impressione che ho – riflette Barazzutti – è che entrambi siano mancati nei momenti importanti e questo denota l’assenza di qualche partita vinta e di quei momenti che, quando si è in fiducia, si vivono con determinazione e attenzione diverse». Per l’allievo di Vincenzo Santopadre, quei momenti sono coincisi proprio con due errori cruciali nei due momenti più caldi della partita: un dritto regalato gratuitamente, dopo aver annullato tre set-point e averne sciupato uno nel primo tie-break, e un altro incagliatosi nella rete nel secondo. «Per Berrettini sarà più semplice rimettersi in carreggiata, per abitudine e tipologia di gioco – sottolinea convinto Sanguinetti – Ne è già uscito tante volte, deve solo lavorare e mettere partite nelle gambe perché in questo momento ne sta giocando davvero poche». La fiducia non è però dote che si possa acquistare e la ricetta per ritrovarla è una sola: «Basta vincere una partita e cambia tutto – chiosa l’ex capitano di Davis – Ritrovarsi e vincere un primo match rimetterà a posto tutto perché il valore dei due giocatori e indiscutibile».
Musetti-Berrettini. Adesso le sconfitte fanno meno male (Daniele Azzolini, Tuttosport)
C’è qualcosa di buono, in fondo a questa giornata di nuove macerie che certo non renderà facile il riveder le stelle alla nostra mesta compagnia dei tennisti che si sono perduti. Lo dico forse per troppo affetto nei confronti di Matteo e Lorenzo, magari peccando di eccessivo ottimismo, o di buonismo, fate voi, ma le due nuove sconfitte mi sono sembrate diverse dalle precedenti. Quelle di Musetti che si perdono nella notte dei tempi e quelle di Berrettini, che hanno preso forma dal nulla — forse dal malvissuto match point sprecato al quinto contro Murray a Melbourne — e via via gli si sono strette intorno alla gola. Come un cappio che lo ponga sempre nell’urgenza di fare qualcosa di straordinario, o sopra le righe, pur di respirare una boccata di ossigeno. Due sconfitte dalle quali si può ripartire. Giunte contro avversari alla portata dei due azzurri, ma entrambi in eccezionali condizioni di forma, sorretti da uno stato d’animo ricavato dalla miglior forgia che il tennis possa garantire, quella combinazione in cui tutto appare leggero e dentro ti senti imbattibile. Ne sono sortiti due match dall’andamento altalenante – certo più quello di Berrettini contro Mackenzie McDonald – che avrebbero potuto prendere traiettorie diverse e premiare gli sforzi dei due italiani. Così non è stato, Musetti ha ceduto campo al ceco Jiri Lehecka, come lui ventunenne ma di cinque mesi più “anziano”, venuto su senza grandi pretese in questo Tour abbagliato dalle magie del numero uno Alcaraz, ma dotato di colpi di gran valore e con un fisico agile e perfettamente costruito che gli permette un gioco di pressione costante e di estremo assillo per gli avversari. Berrettini invece ha subito la prima sconfitta da McDonald, dopo due precedenti match che lo avevano visto assoluto padrone del campo. Non è ancora il Matteo in grado di dominare la scena, lo si sapeva, lo si era visto a Indian Wells, preso d’infilata da Taro Daniel, e lo aveva confermato nel challenger di Phoenix, cincischiando senza costrutto contro avversari di seconda fascia, fino a lanciare quell’urlo forse liberatorio, certo mesto, ormai diventato famoso: «Portaterni via dal campo, sono inguardabile». Ieri, se non altro, si è mostrato a mezza via, dunque sulla strada del ritorno. È un passo avanti, se vi va di sottolinearlo. Non ancora definitivo, purtroppo… Eppure Matteo ha goduto di chance robuste, fallite almeno in una occasione per un autentico guizzo della buona sorte, che si è fatta di lato quel tanto da evitare che un recupero di Berrettini pizzicasse la riga di fondo. Mezzo millimetro appena, ché tanto sarebbe servito a Matteo per chiudere il primo set. Una palla per il set sull’8-7 del primo tie break, poi altre due nella seconda frazione, sul 6-5, ma nessuna sul proprio servizio. Matteo si era tirato su nel primo tie-break cancellando due set point sul 6-4 per l’americano. Nel seicondo invece si è portato avanti 4-2 nel tie break, ma non ha retto il ritorno di McDonald, che nel frangente ha giocato un tennis di rincorse e testardaggine davvero pregevole. Chance che non ha avuto Musetti, ma il ceco gli è stato superiore nelle fasi più calde. Ha ottenuto il break sul 3 pari dei primo set, ha chiuso 6-4 e subito si è portato avanti di un break anche nella seconda partita. Il resto i due se la sono giocata alla pari, ma quando la disputa si è accesa, inutile nasconderlo, Lehecka è stato migliore. […]