Sognando Milano: l'ascesa silenziosa di Jared Donaldson

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Sognando Milano: l’ascesa silenziosa di Jared Donaldson

Alla scoperta del nativo di Rhode Island: gli allenamenti in Argentina per migliorare il top spin, il no alla NCAA, l’ingresso a ottobre nella top 50

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Tra i protagonisti delle tanto discusse Next Gen ATP Finals, al via il prossimo 7 novembre a Milano, ci saranno tante stelle che hanno già dimostrato di avere le potenzialità per essere i campioni del futuro. Il pubblico del capoluogo lombardo potrà ammirare le gesta del talento canadese Shapovalov e la potenza dei russi Karen Khachanov e Andrey Rublev, i tre giocatori più attesi del lotto dei partecipanti. Tra i sette qualificati finora per il “Masters Under 21” andiamo oggi a conoscere più a fondo Jared Donaldson: il giocatore probabilmente meno sponsorizzato tra i Next Gen, che senza troppi proclami e grazie ad una notevole costanza di risultati ha ottenuto con tranquillità il pass per Milano, dove sarà il quinto favorito del seeding.

Lo scorso anno, quando il ragazzo di Glocester (piccola cittadina nello stato del Rhode Island) cominciava ad ottenere i primi risultati degni di nota nel tennis professionistico, il New York Times lo definì “il meno amato tra i teenagers americani”, con il riferimento esplicito alle due promesse del tennis a stelle e strisce Frances Tiafoe e Taylor Fritz. A differenza dei suoi coetanei, Jared ha agito nell’ombra, sempre lontano da quei riflettori che spesso e volentieri possono nuocere e dare troppa pressione ai giovani. E pensare che fino ai 14 anni, Donaldson incarnava il prototipo del tennista yankee: il fatto di giocare sempre sui campi veloci lo aveva portato ad essere un giocatore offensivo, con colpi potenti ma rischiosi. Tuttavia il padre Courtney, interessatosi al tennis per dare un supporto concreto al suo ragazzo, vedeva alcuni tennisti attuare un tipo di gioco diverso, basato sul top spin. Inoltre, leggendo un libro su Roger Federer, scoprì che il campione svizzero si allenava spesso sulla terra battuta e arrivò alla conclusione che anche per il figlio potesse essere utile affinare il suo gioco su quella superficie. Invece di seguire il percorso convenzionale, iscrivendosi al programma di sviluppo dei giovani talenti della USTA, Jared si allenò per due anni sulla terra rossa di Buenos Aires sotto la supervisione dell’ex giocatore Pablo Bianchi; fu un’esperienza che segnò nel profondo Donaldson soprattutto sotto il punto di vista della mentalità, aspetto sempre molto curato dai coach argentini.

Al ritorno negli USA, Donaldson fece un’altra scelta coraggiosa rifiutando un’ offerta della NCAA (organizzazione attraverso cui le università partecipano ad eventi sportivi nazionali), per tuffarsi fin da subito nel tennis professionistico. Tuttavia se l’esperienza in Argentina lo aveva fortificato dal punto di vista caratteriale, tecnicamente Jared aveva ancora alcune lacune da colmare, su tutte il servizio e il gioco di volo, aspetti che spesso vengono accantonati quando ci si specializza sulla terra battuta. Ancora una volta intervenne papà Courtney, che prese contatto con lo specialista del serve and volley Taylor Dent, esattamente il profilo che Jared stava cercando. Sotto la guida di Dent, Donaldson raggiunse i primi risultati importanti a livello professionistico: dai tre tornei Futures vinti nel 2014 all’exploit dello scorso anno agli US Open, quando raggiunse il terzo turno dopo le vittorie altisonanti su Viktor Troicki e David Goffin: risultato che gli permise di entrare nella top 100. Proprio alla fine del 2016 arrivò la dolorosa separazione da Taylor Dent, che per via di un suo nuovo progetto in Texas non avrebbe potuto seguire Donaldson nel circuito. Per rimpiazzarlo Jared optò per la coppia formata dai due ex tennisti statunitensi Jan Michael Gambill e Mardy Fish, quest’ultimo per la prima volta nelle vesti di coach.

La scelta è stata con il senno di poi decisamente azzeccata, visto che i due ex tennisti statunitensi sono riusciti a dare continuità al lavoro svolto da Dent, senza snaturare il gioco di Donaldson. Nonostante un ottobre negativo, con quattro sconfitte al primo turno negli ultimi cinque tornei, il 2017 è stato l’anno che ha proiettato JD tra i grandi del tennis mondiale, con l’ingresso ad ottobre nella top 50: quinto giocatore della “Next Gen” a riuscirci dopo i più blasonati Zverev, Khachanov, Rublev e Shapovalov. In un’intervista rilasciata al sito degli US Open, Jared ha dichiarato di essere molto fortunato a lavorare con Fish e Gambill, spiegando come entrambi lo stiano aiutando soprattutto off-court, aspetto fondamentale per un giovane professionista. È proprio in questo ambito che Donaldson eccelle rispetto ai suoi coetanei, come dimostra il suo intervento al termine del match perso contro Pouille a New York: in quell’occasione ammise che nonostante fosse deluso, il suo pensiero era già rivolto al giorno successivo, in cui sarebbe tornato ad allenarsi per migliorare il suo gioco. È chiaro che in questo senso è stata fondamentale l‘esperienza in Argentina, che gli ha fatto capire quanto sia imprescindibile il sacrificio e il duro lavoro per poter competere con i più forti del mondo, soprattutto quando non si dispone di qualità tecniche fuori dal comune. È per questo motivo che sbirciando nella sua vita privata, emerge ancora di più la sua normalità: nel tempo libero infatti ama uscire con i suoi amici, giocare ai video games e, come mostrano le numerose foto presenti sul suo profilo Instagram, passare del tempo con la sua fidanzatina Danielle Willson, anche lei tennista.

Per quanto riguarda la sua partecipazione alle prime Next Gen Finals, unico statunitense in grado di qualificarsi, Jared si è dichiarato orgoglioso e onorato di far parte di un gruppo di giovani tennisti così forti. Nonostante non possa essere annoverato tra i favoriti per la vittoria finale, il ragazzo di Rhode Island sbarcherà a Milano con l’intento di stupire tutti. E se non dovesse andare bene, la lezione ormai l’ha appresa: il tennis fornisce sempre un’altra occasione.

Sognando Milano

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