Avanza Goffin. È la rivincita dell'uomo normale (Crivelli). Bravo Sock, la variabile impazzita (Bertoucci). "Piacere Sock. Perché sono qui?" (Marcotti). Federer, il futuro è nella tradizione (Azzolini)

Rassegna stampa

Avanza Goffin. È la rivincita dell’uomo normale (Crivelli). Bravo Sock, la variabile impazzita (Bertoucci). “Piacere Sock. Perché sono qui?” (Marcotti). Federer, il futuro è nella tradizione (Azzolini)

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Avanza Goffin. E’ la rivincita dell’uomo normale (Riccardo Crivelli)

Allora un altro mondo è possibile. Tra supermen muscolari, bombardieri e cannonieri che allungano prepotentemente i loro tentacoli sul tennis del presente (Federer permettendo), David Goffin è l’eccezione che conforta l’uomo qualunque, la normalità che si appropria di un ragazzo umile e intelligente e ne fa l’antagonista dei marcantoni che tirano a 200 all’ora. Le sue misure, all’apparenza, sono stridenti rispetto alla fisicità che richiede il gioco odierno, 1.80 per 68 chili, il più leggero top ten dai tempi di Gilles Simon. RISCATTO Eppure, disegnando gli angoli del campo con il suo stupendo rovescio bimane, affidandosi a gambe di caucciù e sfruttando le eccellenti doti di anticipo, cioè le armi che da sempre oppone a chi è più grosso e potente di lui, David si è preso l’ultimo posto per le semifinali del Masters, stoppando l’eterno incompiuto Thiem nello scontro diretto. Figlio di un maestro di tennis di Liegi e quindi nato in pratica con la racchetta in mano, Goffin a Londra (dove l’anno scorso debuttò da riserva, perdendo un match ininfluente con Djokovic) era già diventato lunedì il primo giocatore di sempre del suo paese a battere un numero uno del mondo (l’acciaccato Nadal di questi tempi), dopo esserne stato il primo a raggiungere la top ten a febbraio. Il riscatto dopo una stagione interrotta il 2 giugno al Roland Garros da un infortunio incredibile nella genesi ma insidiosissimo nelle conseguenze, una scivolata sui teloni che servono a coprire i campi con distorsione della caviglia destra, piegatasi in modo innaturale. Prima, c’erano state due finali perse, a Sofia e a Rotterdam, corredate dalla gaffe in Olanda durante la premiazione, quando ancora stremato per la fatica ha ringraziato le fidanzate al suo angolo, creando un po’ di imbarazzo nell’unica che invece frequenta; e ancora l’episodio della palla contestata nella semifinale di Montecarlo, una chiamata errata del giudice di sedia che in pratica lo ha fatto uscire da un match che stava conducendo alla pari contro il più forte interprete della storia sulla terra. NIENTE DA PERDERE Ma da formichina operosa e laboriosa, con serietà e determinazione, l’attuale numero 8 del mondo è passato oltre la malasorte e nella campagna asiatica di ottobre ha infilato i successi consecutivi di Shenzen e Tokyo, tornando a vincere un torneo dopo tre anni e scacciando finalmente la fama di bravo eppur perdente. Quei trionfi sono stati la spinta verso la qualificazione alle Finals, dove non si è preoccupato, come immaginava qualche malpensante, dell’incombente finale di Davis contro la Francia (settimana prossima, in trasferta), la seconda occasione per diventare un eroe immortale in Belgio dopo la sconfitta contro la Gran Bretagna di Murray del 2015. Solo che adesso gli tocca Federer (che è 15-0 nei precedenti con gli altri semifinalisti), l’idolo dell’adolescenza, dei cui poster aveva tappezzato la cameretta e che incrociò la prima volta nel 2012 al Roland Garros, quando da lucky loser si issò fino agli ottavi e Roger gli concesse alla fine di tenere la conferenza stampa congiunta in campo. David fu sconfitto allora e poi è stato sconfitto sempre, sei volte, l’ultima a Basilea tre settimane fa, con appena tre game ottenuti: “Ma non avrò nulla da perdere, come sempre. Anche se fin qui non ho mai trovato la chiave per batterlo. Sinceramente, non so cosa mi inventerò questa volta, magari proverò qualcosa di diverso, ma lui è un giocatore speciale e sta benissimo’. Le preoccupazioni di un uomo normale.

 

 

Bravo Sock, la variabile impazzita (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Mi cospargo il capo di cenere. Non avevo infatti previsto l’ingresso nella fase finale di Goffin, ma mai avrei pensato di vedere Sock in semifinale. E’ arrivato fin qui con pieno merito sfruttando quel frullatore di dritto che ha destabilizzato gli avversari insieme alla condotta tattica da autentico giamburrasca. Questa sera affronterà Dimitrov, forse il giocatore più caldo del momento. Il bulgaro farà leva sulla superiore tecnica e su una più ampia gamma di soluzioni ma l’americano, che vola sull’entusiasmo, cercherà di sparigliare le carte basandosi sulla potenza e, per non dare punti di riferimento, sull’intermittenza del proprio gioco. Molto meno equilibrata la sfida tra Federer e Goffin. Lo svizzero non ha entusiasmato, ma ha sempre dato l’impressione di controllare le partite con disinvoltura. E’ di livello superiore e, fino a questo momento, non ha avuto bisogno di sbattersi più di tanto. Goffin rischia di pagare a caro prezzo la cilindrata inferiore.

 

“Piacere, Sock. Perché sono qui?” (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

E stato l’ ultimo ad acquistare il biglietto per Londra. Merito di una vittoria, quella di Paris-Bercy, inattesa quanto fortunosa. Il primo Masters 1000 in carriera. Ad ammetterlo, con la schiettezza che lo contraddistingue, è Jack Sock «A Parigi ho giocato alla grande sia la semifinale che la finale, ma nel primo turno contro Edmund non c’è dubbio che meritassi di perdere. Non so ancora come abbia fatto a vincere». DIECI ANNI DI  BUIO. A distanza di qualche giorno  si ritrova in semifinale nelle Finals. Il primo americano a raggiungerla dopo dieci anni di assenza. L’ultimo era stato Andy Roddick «Significa che il Nebraska è la terra del tennis negli Stati Uniti (anche Sock è nato in quello stato, a Lincoln, ndr). Mi fa piacere, ma nello stesso tempo mi dispiace perché significa che non riusciamo a esprimere tennisti di alto livello. Una nazione come la nostra dovrebbe avere semifinalisti in questo torneo ogni anno». A interrompere il digiuno ha pensato Sock, ancora più sorpreso dopo aver battuto Zverev. «Davvero non si sa mai cosa attendersi dalla vita. Non avrei mai pensato di giocare le Finals, e ancor meno di arrivare in semifinale. Significa che ho trovato la mia strada nella seconda parte della stagione. Parigi ha rappresentato un passaggio importante, ora questa possibilità contro Dimitrov mi darà nuova fiducia». Anche perché le possibilità che domani raggiunga la finale sono tutt’altro che remote, considerati i precedenti tra i due. Perso il primo confronto nel lontano 2014, ha vinto i successivi tre match. Compreso la scorsa estate, a Indian Wells. «Ma Dimitrov sembra aver trovato finalmente il suo tennis, è migliorato molto. Gioca profondo e ha grande fiducia nel suo gioco. Io comunque scenderò in campo senza lasciarmi schiacciare dalla pressione». SMARRITO. Evitando di ripetere l’errore di marzo quando – dopo un avvio d’anno fulmineo (due vittorie, ad Auckland e Delrey Beach) – si era creato da solo troppe aspettative. Finendo per smarrirsi nella fase centrale della stagione. «Dopo New York mi sono confrontato con il mio coach Berger. Gli ho promesso che sarei tornato a divertirmi in campo, senza pensare ad altro. E i risultati si sono visti. Giocare con la costante paura di perdere non aiuta mai». Sock ne è la prova lampante. Disteso e sorridente, davanti ai taccuini come in campo, quando tenta colpi impossibili con la naturalezza di chi non si prende mai troppo sul serio. Così liquida con una battuta chi gli ricorda che, nell’edizione 2005 di Shanghai, l’ultimo arrivato David Nalbandian aveva poi vinto il torneo dei Maestri. «Nella vita può succedere davvero tutto, ma senza esagerare”, ride di gusto l’americano

 

Federer, il futuro è nella tradizione (Daniele Azzolini, Tuttosport)

È l’ora dei racconti intorno al caminetto, per Roger Federei: Vi approdano tutti coloro che hanno l’età per farlo. È il mito che rinnova se stesso, si pasce di nuovi colori, si corrobora di nuovi spunti. Forse inconsapevolmente. Lui sembra aver messo da parte le remore di una volta, i pudori che sconsigliavano di percorrere certe strade a cuor leggero, le corazze del politicamente corretto che lo proteggevano. C’è più serenità nel mostrarsi per ciò che è diventato. C’è più voglia di descriversi. La voce ha toni più maturi di una volta, e anche il corpo appare più rilassato. ll vecchio Federer ha qualcosa di nuovo. Il ragazzo su cui punta è Zverev, che non sarà fra i finalisti del Master. Federer lo sostiene, perché ha le caratteristiche giuste, non solo i colpi che fanno male. «Ha un buon team», dice, calando subito la prima pausa. «Gente che ci sa fare, che ha passione, che lo segue nel modo giusto, senza forzare una crescita che comunque è già un bel pezzo avanti». È stato fatto un investimento, sul ragazzo, «un bravissimo ragazzo», ed è questo che sembra colpire Federer, e lo convince sulle sue possibilità future. II rinnovamento ha sempre un nome e cognome, perché viene dai giocatori, da quello che sapranno dare e dal ruolo che sapranno interpretare. Ecco un’altra perla lanciata sul tavolo in questi giorni, in deciso contrasto con gli scenari futuristici disegnati dalle finali Next Gen di Milano. L’umanità più delle regole… « Non sento il bisogno che il tennis cambi per forza di cose. Alcuni degli esperimenti condotti nelle finali dei più giovani mi sono sembrati interessanti, non tutto però. Ho seri dubbi sul punteggio corto dei set, perché il tennis ha bisogno di maggior tempo per determinare l’approdo di una partita e le svolte che servono». Teme, Federer, che in questo modo finiranno per pesare sulla bilancia dei match gli elementi utili a raggiungere in fretta la meta. Potrebbe bastare il solo servizio a fare la differenza. «Ho l’impressione che il tennis stia bene così, e non mi piace l’idea che si cambi tanto per cambiare. Spero che calma e raziocinio faranno da spirito guida». Le “aperture” di Roger sono condivise dal consiglio di amministrazione della sua azienda, e tranne Ljubicic, che fa sapere che parlerà solo quando Federer avrà smesso di giocare («nel 2044», la battuta), gli altri ci hanno data dentro. Mamma Lynette ricorda il bimbo che ha sempre mostrato buone qualità, ma che in campo implodeva e andava in mille pezzi. «Mai dato uno scappellotto, quand’era piccolo, ma ci ha fatto fare delle figure, a me e a suo padre, che ci vergognavamo per settimane». Paganini, curatore dei muscoli ormai promosso geriatra, considera Roger una macchina ancora adatta al tennis. «Ma la scelta dei rallentamenti, dei riposi, delle alternanze fra i periodi più intensi e quelli di svago completa è stata decisa, calcolata a tavolino, giorno per giorno, momento per momento». Ed è stata essenziale nell’anno del Gran Ritorno. Vincerà questo Master, Federer, lo dicono tutti. E sarà l’8° successo di una stagione che lo ha visto perdere fin qui solo 4 partite, 2 col match point a disposizione. E invece i pericoli ci sono, anche se la semifinale contro Goffin sembra un facile scoglio da aggirare. Sock e Dimitrov giocano il loro miglior tennis, e sono tutti debuttanti a questi livelli. C’è del nuovo intorno al vecchio campione. Sembra la risposta del tennis adulto alle finali della Next Gen

 

 

 

 

 

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