Rassegna a cura di Daniele Flavi
Mi manda lo zio
Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 15.01.2018
Grazie, Zio. Rafa Nadal debutta stamattina agli Australian Open contro il veterano dominicano Victor Estrella Burgos (diretta Eurosport alle 9) e perla prima volta nel suo box non ci sarà Zio Toni, il parente coach più famoso del mondo. O meglio come ha spiegato il numero 1, «perla prima volta mio zio non sarà il mio coach ufficiale. Ma di tornei ne ho giocati già tanti senza di lui». Difficile spiegare, a chi non li ha mai visti insieme, il rapporto fra l’unico Zio con la maiuscola della storia del tennis e l’eccelso nipote. Pu papà Sebastian ad affidare al fratello Nadal in campo senza Toni: «Non è più il mio coach ufficiale, ma resta il mio riferimento» il Rafa ancora cucciolo, è stato Toni a togliere il biberon di mano al bimbo, e a sostituirlo prima con La racchetta, poi con una moltitudine di trofei. A spiegargli che le racchette non si rompono perché significa mancare di rispetto a chi fatica a trovare i soldi per comprarsene una. PARENTI. Nel tennis del resto i congiunti più o meno prossimi sono sempre stati importanti, nel bene e nel male. Non avremmo avuto una Monica Seles senza papà Karoly, né un Connors senza la nonna e mamma Gloria, e oggi tutti i più forti, dal Patriarca Federer a Djokovic e Murray non fanno che insistere sull’importanza della famiglia «Certo per me è un grande cambiamento», dice Rafa. «Senza Toni non sarei qui. Non so se mi sentirò strano, per ora con il mio team, con Carlos Moya e Francisco Roig va bene. Poi è stato Toni a decidere di occuparsi più dell’Academy di Manacot E’ un’evoluzione naturale». Rafia non è più un Niño. Non ha più bisogno da tempo dei rimproveri seriali di Toni, uomo dolce ma deciso, burbero per necessità professionale, che per anni è stato il primo a scartavetrare quel fenomeno del nipote se sgarrava di un centimetro. «Se ho bisogno di chiedere qualcosa, continuerò a chiederla a lui. Non so come dirvelo: il nostro non è un rapporto di lavoro, ma familiare. Ci vogliamo bene, capite?». METICOLOSO. Per prepararsi meglio al primo Slam della stagione, del quale ha vinto una memorabile edizione nel 2009, il 31enne Rafa si è preso una pausa più lunga: «II 2017 è stato un armo bello ma faticoso, avevo bisogno di ricominciare con calma per essere più fresco mentalmente e fisicamente». Così ha rinunciato ad Abu Dhabi e Brisbane, giocato un paio di esibizioni a Melbourne, più una simulazione di match con Thiem nella Rod Iaver Arena: niente pubblico, ma le luci, i raccattapalle, il punteggio come si trattasse del torneo vero e proprio. Da anni predica che servirebbe un ranking diverso, che tenga conto dei risultati di due anni, per limitare lo stress e gli infortuni («anche se io di problemi ne ho sempre avuti, mica h scopro adesso»), ma quando gli chiedono se le motivazioni sono sempre le stesse, non ha dubbi: «se non sei motivato al 100% per giocare un torneo come questo, vuol dire che non ami il tennis». Zio Toni non avrebbe cambiato neanche una parola.
Roger e gli scongiuri
Daniele Azzolini, tuttosport del 15.01.2018
Quando tutti ti vedono favorito, un problema c’è. Il postulato è tratto direttamente dal grande libro della malia, cui attingono gli scaramantici di tutto il mondo salmodiando accorati di agli e fravagli, di corna e bicorna, di uocchi e maluocchi. A buon intenditor… Sciò sciò, ducciuvè! Ma dite, i campioni trentaseienni che ne hanno viste di tutti i colori, sono anch’essi perseguitati da quel senso di disorientamento, da quell’inquieto sentore di freddo, da quel vago malessere senza un perché, che coglie ineluttabile i troppo favoriti? Chissà… Ma ugualmente farebbe meglio, Roger Federer, a procedere con cautela, in questo Slam d’inizio anno che in molti gli hanno già consegnato, convinti che non possa esserci altro vincitore all’infuori di lui. Sono questi – dia retta – i momenti giusti per le filastrocche scaramantiche, a base di aglio e fravaglio, e di fattura ca nun quaglia! Alle pressioni si è abituato. Lo dice, ammettendo di averle subite e mal sopportate. «La mia prima vita da tennista, dai sei ai ventidue anni, l’ho condotta battagliando contro il peso delle aspettative che avvertivo su di me», ha raccontato nei giorni scorsi. «Ma tutto si è dissolto con il primo successo nello Slam». Magari, tutto tutto no, come sa bene chi lo ha seguito per i successivi, vittoriosi quindici anni, e conosce il disagio del Più Grande contro gli avversari-ribelli, coloro che si sono dimostrati insensibili al seducente canto del suo tennis. Ma di fatto ha vinto, «così tanto che ancora oggi mi provoca un senso di incredulità», dunque è giusto che la racconti come meglio crede. La Storia, in fondo, non la scrivono i vincitori? Non ha mai desiderato, Roger, una vita esagerata, una vita come Steve McQueen, ma ugualmente l’ha vissuta, la sta ancora vivendo, simile a quella degli anni ruggenti per le vittorie, che sono state sette nella stagione appena archiviata (con due Slam e tre Masters 1000), meno per l’età e gli impegni personali intervenuti. Ma sono questi ultimi a infondergli coraggio «Da ragazzo volevo vincere, pensavo al torneo di Basilea, magari a Wimbledon, e speravo di poter raggiungere almeno una volta il podio più alto». E a 19 titoli dello Slam, a 302 settimane da primatista, a 110 milioni di dollari in montepremi. Ha quattro figli. La sua valvola per dare sfogo alla pressione sono loca «Di sicuro non avrei mai pensato di giocare a tennis con quattro bambini che mi aspettano». Ma la pressione ci sarà, un filo appena magari, ma ci sarà. I Australian Open 2017 fu uno spettacolo, e c’erano tutti, Djokovic e Murray compresi. Federer era la testa di serie numero 17, Nadal la nona. In finale Rafa condusse 4-1 nel quinto set, e Federer recuperò trovandoli la forza per battere quattro volte Nadal nel corso della stagione, senza subire sconfitte. «Pensavo che avrei perso, prima o poi. Nei quarti, e contro Djokovic, o Murray. Non successe, invece, e non successe neanche conto Rafa. Credo sia stata una delle più belle vittorie della mia carriera, di sicuro la più inaspettata». Era lo Slam numero diciotto, poi venne Wimbledon, e oggi tutti aspettano il ventesimo titolo. Il peso delle aspettative torna a farsi sentire. Tanto più in un torneo che troppe incognite presenta. Non si sa a quali livelli di gioco possano attingere Nadal (un solo match di esibizione, perduto), Djokovic (anche lui una esibizione, ma vinta alla grande contro Thiem), Wawrinka che proprio ieri ha rotto gli indugi e deciso di provarci. Non c’è Murray (operato all’anca, tornerà a Wimbledon dopo un anno di stop e chissà quanto gli occorrerà per essere competitivo), non c’è Nishikori, forse nemmeno contro l’Italia in Davis a febbraio. Torna a Melbourne invece Del Potro. C’è una generazione di mezzo pronta a dire la sua: Dimitrov fu semifinalista un anno fa, Goffin ha chiuso il 2017 con le finali al Master e in Davis. C’è una generazione futura che scalpita, con Zverev ormai vicino ai più forti malgrado non sia ancora andato oltre i quarti nel Grand Slam. Potrebbe rivelarsi tutta una grande illusione, allora è possibile che Federer (annunciato in forma) prenda il largo e raggiunga agevolmente il suo ventesimo titolo. Oppure no, gli infortunati avranno tempo per crescere, qualcuno di loro potrebbe entrare rapidamente in forma. Djokovic, ai bei tempi, aveva bisogno appena di accendere il motore, il resto veniva da sé. Federer lo sa. Lo immagina. «Credo che saranno tutti più competitivi di quanto non si dica», avverte. Lui non si tira indietro. «Credetemi, vincere è la cosa più divertente che possa capitare». vittorie nei tornei del Grande Slam, mai nessuno aveva vinto quanto lui 5 volte a segno in 3 tornei diversi (Melbourne, Wimbledon e US Open) 4 figli: le gemelle Myla Rose e Charlene Riva, i gemelli Leo e Lenny
Parola di Wilander: “Scommetto su Zverev ma Federer vincerà Slam fino a 40anni”
Gaia Piccardi, il corriere della sera del 15.01.2018
Le gambe più belle degli anni Ottanta — e più veloci: tre quarti di Grande Slam nell’88, quando gli è sfuggito solo Wimbledon —, sono diventate la voce meno banale del tennis contemporaneo. Mats Wilander da Växjö, profondo Sud della Svezia, 53 anni, cinque figli (uno, Erik, è un bambino-farfalla: è affetto, cioè, da epidermolisi bollosa) e sette titoli Slam dall’82 («II Roland Garros a 17 anni fu il mio passaggio all’età adulta: arrivai a Parigi ragazzo, ripartii uomo») avrebbe potuto implodere sotto il peso dell’eredità di Borg oppure sotto il senso di colpa per essere scampato all’attentato aereo di Lockerbie (aveva una prenotazione sul volo Pan Am 103; non s’imbarcò), invece ha dato vita a una grande rivalità (tra gli altri) con Ivan Lendl, il suo destino ceco. Prima di mettersi al microfono di Eurosport, Wilander getta uno sguardo sulla nuova stagione, scattata nella notte italiana a Melbourne. Mats, è normale considerare uno svizzero quasi 37enne, per quanto atipico, favorito dell’Australian Open? «Ma è Federer! Io vedo Roger al livello dell’anno scorso: quando gioca così, nessuno può batterlo. Nadal e gli altri. A Parigi neIl’82 diventai adulto, in Australia il mio ultimo Slam Fognini giocherà da osservato speciale: ha un coach serio, saprà migliorare dovranno avere pazienza: su questo livello non durerà in eterno. Non so se Federer sta giocando il miglior tennis della vita, di certo è il più efficace. La sua tattica, grazie a coach Ljubicic, è migliorata: Ivan, secondo me, gli ha allungato la carriera di 3-4 anni. Oggi Roger fa giocare male l’avversario ed è più aggressivo. Quindi, più temibile». Se lei fosse coach di Federer, cosa gli consiglierebbe? «Di giocare sempre meno tornei. Roger non ha bisogno di tennis nel braccio per vincere un Major, l’unica cosa che per lui conta. Non gli servono match di riscaldamento. Io penso che sarà competitivo a livello Slam fino a 4o anni». Chi dobbiamo tenere d’occhio quest’anno a Melbourne? Ci dia qualche dritta. «Alexander Zverev è molto cresciuto: se si presenterà l’occasione di conquistare il primo Slam, credo non se la farà sfuggire. A me piace molto David Goffin, il giocatore più sottovalutato tra i top players: ha fatto progressi enormi in breve tempo. Gli altri? Djokovic sta invecchiando, Dimitrov non mi sembra pronto, Kyrgios non riesce a tenere insieme un intero Slam, ma come livello assoluto Nick è fenomenale». Infortuni, ritiri, Big Five dalla forma incerta… È un inizio di stagione in salita. «Non credo ci sia niente che si possa fare per evitare gli infortuni, quando la stagione va da gennaio alla fine di novembre: credo che il tennis sia l’unico sport a girare a pieno regime per undici mesi all’anno… Se non modifichiamo il calendario (e non succederà) sarà un problema con cui avremo a che fare sempre». Sono già trascorsi trent’anni dal suo ultimo titolo a Melbourne, Mats. «Bellissimo ricordo, però mi fa sentire vecchio». II figlio adolescente di Bjorn Borg, Leo, sembra un talento promettente: lo conosce? «Ci ho giocato in doppio e mi ci sono allenato mezzoretta lo scorso settembre. E vero: è un buon talento, umile, riservato come il padre. Se saprà gestire la pressione del confronto, credo potrà diventare un buon professionista. Per la Svezia sarebbe una notizia enorme: Leo farebbe conoscere il tennis ai bambini, come Bjorn lo fece scoprire a me davanti agli unici due canali della tv pubblica». Fabio Fognini, dopo l’espulsione dall’Open Usa, giocherà da sorvegliato speciale: cosa si aspetta? «Ha un coach serio, Franco Davin. E mi pare più controllato di un tempo, al di là di certe esplosioni. Non penso abbia espresso tutto il potenziale, fin qui. Gli altri giocatori lo rispettano di più di un tempo, mi pare: è un buon punto di partenza». Chi allenerebbe, oggi? «Vivo negli Usa, a Hailey, nell’Idaho, con mia moglie e i miei figli. Viaggio in camper per dare lezioni di tennis e giro il mondo con il mio programma. Perché cambiare?».
Shapovalov-Tsitsipras non uno scioglilingua ma l’alba del nuovo tennis
Marco Lombardo, il giornale del 15.01.2018
Dicono che a volte ci sia di mezzo il destino, e allora non è un caso forse che la manina che ha sorteggiato il tabellone degli Australian Open abbia messo uno di fronte all’altro al primo turno Dennis Shapovalov e Stefanos Tsitsipras. Ovvero il nuovo tennis che comincia. Già, perché vent’anni dopo siamo ancora qui a parlare di Federer, di come riuscirà a difendere il suo incredibile titolo del 2017, dei suoi rivali assenti o incerottati. Oppure di come ci manchi Serena Williams, ormai più mamma che tennista. Siamo qui a sperare che il torneo cominciato stanotte non cambi i suoi eroi. E nonostante il Divino Roger, se questo succede è perché il tennis ha un disperato bisogno di gente come i due ragazzi di cui sopra. Che un match come Shapovalov-Tsitsipras non sia solo uno scioglilingua, ma che diventi davvero una rivalità del futuro. Anzi, del presente. Questo di Melbourne, insomma, è il primo passo di uno sport che esce da un dominio probabilmente mai visto prima. Anni in cui Federer, Nadal, Djokovic e Murray si sono spartiti Slam e passione senza lasciare molto al resto del mondo. Così ora l’appassionato resta aggrappato a Roger, pimpante come non mai, che ammette di essere comunque a mezzo servizio: «Alla mia età non posso più allenarmi come una volta, è giusto rendersene conto. Così sto in campo al mattino, mentre al pomeriggio faccio il papà. Ed è bellissimo». Oppure trema per il ginocchio di Nadal e il gomito di Djokovic, entrambi arrivati Down Under con un grosso punto interrogativo sopra la testa. O ancora trema per la sorte di Murray, le cui ultime foto arrivano da un letto d’ospedale con l’anca rimessa a nuovo. Eroi immortali, ma non più infiniti. Eppure non ancora sostituiti. Il tennis insomma si aspetta di scoprire che la pallina continuerà a rotolare, come è giusto che sia. Vuole trovare nuovi campioni a cui affidare la propria magia, anche se purtroppo ciò che è stato visto finora non ha ancora acceso la scintilla. Ci sono sì le follie di Nick Kyrgyos, ma il suo talento ancora non ha trovato la strada giusta. Così come c’è la solida predestinazione di Sasha Zverev, che però non riesce ancora a fare simpatia. È dunque il Momento, ma nessuno riesce a capire cosa potrà succedere. Se è vero che lo stesso Federer ammette che sì, «dicono che io sia favorito. Però non credo che uno di 36 anni possa essere considerato il probabile vincitore di un torneo così. Poi, con in tabellone giocatori come Rafa, con l’anno straordinario che ha avuto, e Novak che, per quanto le sue condizioni siano un rebus, ha vinto qui sei volte, è difficile dire chi possa essere il favorito. Di sicuro però dovrebbe essere qualcun’altro». Il problema, per il tennis, è che per adesso non ce ne sono. Magari il sole d’Australia accenderà la luce.
Australian Open, tocca sempre a loro: Federer contro Nadal
Angelo Mancuso, il messaggero del 15.01.2018
Il torneo delle incertezze. Diverse assenze pesanti e tanti punti interrogativi: gli Australian Open che hanno preso il via nella notte italiana nascono nel segno degli acciacchi e dei dubbi. Si è adeguato persino l’immenso complesso di Melbourne Park che ospita il primo Slam della stagione: rispetto a un anno fa sono cambiate tante cose nel segno dell’ampliamento del site e allo stato attuale il torneo in pratica si gioca in un cantiere con la scritta lavori in corso. La sala stampa, ad esempio, è stata spostata dalla Rod Laver Arena al quarto piano di una palazzina adiacente il centrale. Ci sarà da trottare di più per raggiungere i vari campi. Non ci sono Murray (si è operato all’anca qualche giorno fa) e Nishikori (polso), mentre restano una incognita le condizioni di Djokovic (gomito) e Wawrinka (ginocchio). Per entrambi il primo Slam della stagione segna il rientro dopo mesi di stop. Il serbo ha trionfato 6 volte a Melbourne, ma il sorteggio non gli ha dato una mano: dopo l’esordio con Young, potrebbe trovare già un rivale pericoloso come Monfils, vincitore a Doha. Non è andata meglio a Wawrinka, campione nel 2014, che al terzo turno potrebbe incrociare Bautista Agut, reduce dal successo a Auckland. Chi sembra aver ritrovato una condizione accettabile è il n.1 Nadal: a vederlo in allenamento il ginocchio è ok, come ha confermato lui stesso. Certo un conto è allenarsi e giocare in esibizione, un altro affrontare match veri: oggi lo attende comunque un esordio soft contro il 37enne Estrella Burgos. ETERNO ROGER In tutto questo clima di incertezza chi se la ride è King Roger: debutto domani contro Bedene e nessun ostacolo serio sul suo cammino nella prima settimana. Il fenomeno mette prudentemente le mani avanti: «Sto bene, ma so che difficilmente il 2018 potrà essere ricco di vittorie come il 2017». Intanto, nonostante i 36 anni, è l’unico big in perfetta forma, i campi sono rapidi ed è il favorito. La sua vittoria (sarebbe il titolo Slam n.20) è pagata dai bookmaker a 2.87, una quota da dominatore se si pensa che solo 12 mesi fa era dato a 15. II 2017 è stato l’anno della restaurazione (basti pensare alla finale di Melbourne tra lo svizzero e Nadal), ma a un occhio attento non può sfuggire che siamo vicini a un ricambio generazionale, con i Next Gen che spingono, Zverev e Kyrgios in prima fila. Ogni Slam potrebbe essere quello buono. L’assenza di mamma Serena Williams che ha deciso posticipare il rientro a marzo, rende incerto il torneo femminile. Potrebbe essere l’occasione buona per la n.1 I Ialep di conquistare il titolo che continua a sfuggirle. La concorrenza è nutrita: Wozniacki, Muguruza, Svitolina, V. Williams, Pliskova, Ostapenko, Konta, Vandeweghe. ITALIANI AL VIA Sono 9, 7 uomini e 2 donne. A Fognini, Lorenzi, Seppi e Fabbiano si sono aggiunti nel torneo maschile i giovani Lorenzo Sonego, Salvatore Caruso, che hanno superato le qualificazioni, e Matteo Berrettini, ripescato come lucky loser. Per tutti e tre è la prima volta nel tabellone principale di uno Slam. E’ andata male alla Errani, battuta nel turno decisivo delle qualificazioni (era già uscita di scena al debutto la Vinci). In gara la Giorgi e la Schiavone.