Di John Isner, di rovesci (non più) imbarazzanti e di grandi occasioni

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Di John Isner, di rovesci (non più) imbarazzanti e di grandi occasioni

Ricordate il rovescio di John Isner nel 2007? E oggi vince un ‘1000’, tirando persino qualche passante vincente. È un momento in cui le occasioni arrivano per tutti

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Quando John Isner ha iniziato a giocare a tennis non era molto più che uno spolveratore seriale della ‘T’ del servizio, tanto abile in questa pratica da avere a disposizione diverse volte in una partita la possibilità di andare a segno con il dritto, ad avversario ormai destabilizzato. Quando c’era da spingere con quel colpo di rimbalzo Long John non si tirava indietro, come non si tira indietro ora; qualche difficoltà in più in fase di manovra o in quella difensiva, ma quando la palla capitava sul suo lato sinistro, specie in risposta, peggio mi sento: esecuzione mai fluida, quasi spezzata in due, e una preoccupante tendenza a far insaccare la palla in rete specie a seguito di rincorse laterali. 208 centimetri non te li porti a spasso mica facilmente, è innegabile, ma il rovescio reca l’immancabile marchio dei tennisti statunitensi, storicamente avvezzi a preferire il dritto al rovescio quasi fosse un difetto di fabbrica.

A guardarlo oggi respingere il tennis coriaceo di Sascha Zverev, tirando anche molti più rovesci vincenti (7-1) del tedesco che avrebbe in quel colpo il suo punto di forza, si fatica a credere che John Isner sia lo stesso giocatore. Non che il suo rovescio sia diventato un colpo in grado di fare male tout court, ma è perlomeno una valida stampella nelle situazioni in cui non può proprio esimersi dal tirarlo, poiché la ricerca ossessiva del diritto anomalo, della quale l’indiscusso maestro è Milos Raonic, non è certo sparita. La chiave è in alcune risposte aggressive, o addirittura in certi cambi di ritmo in lungolinea che si sono rivelati preziosi diversivi contro uno Zverev comunque troppo testardo nell’accettare come norma gli scambi sulla diagonale di dritto.

Per i più scettici sulle possibilità di migliorare un colpo dalla resa quasi risibile – e per quelli che non ricordano come colpiva il rovescio Roddick a inizio e a fine carriera – è consigliabile la visione della finale del Legg Mason Tennis Classic 2007, oggi meglio noto come Citi Open di Washington. Si affrontavano uno sconosciutissimo John Isner, 22enne wild card dell’ultima ora capace da numero 416 del mondo di vincere cinque partite di fila al tie-break decisivo – primo nella storia del tennis – e Andy Roddick, numero 5 del mondo. Nella riproposizione quasi integrale di quella partita, che rimane comunque sconsigliata per chi abbia a cuore quel colpo a rimbalzo, si può apprezzare il quasi totale disagio di Isner nello scambio e in particolar modo quando le circostanze lo portano a colpire di rovescio. Come ha ribadito più volte in telecronaca su SKY Filippo Volandri, ricordando di averlo visto in campo a Miami nell’edizione 2008, all’epoca John Isner ‘non teneva il campo’: come a Washington nel 2007 poteva tirare 144 ace in sei partite e rendersi ingiocabile, ma non era realmente capace di utilizzare i colpi di rimbalzo per costruirsi il punto, se non a seguito immediato del servizio. Un dato: la finale di Washington arrivava per John a poco più di due mesi dalla finale NCAA, anche quella persa contro l’indiano Somdev Devvarman. Tennis da college, per capirci, lo stesso terreno di crescita di Danielle Collins.

Nell’arco di una carriera comunque di buon livello, che ha portato lo statunitense una volta ai quarti slam e in tre diverse stagioni in top 10 – 2012, 2014 e 2018, proprio da questo lunedì – i miglioramenti globali sono stati evidenti. Certo per l’acuto di Miami è stata d’aiuto l’eliminazione prematura di Federer, senza considerare le assenze effettive di Nadal e Murray e quella virtuale di Djokovic; ma le vittorie ai danni di Cilic (numero 3 ATP e nella Race), Chung (n. 19 ATP e n.4 nella Race), del Potro (n.6 ATP e n.2 nella Race, nonché campione a Indian Wells) e Zverev (n.4 ATP e n.7 nella Race) testimoniano in modo inequivocabile come Isner abbia di fatto battuto i giocatori più pericolosi presenti in tabellone. Una settimana perfetta, seppur favorita dalle circostanze, rimane una settimana perfetta. 

IL SEGNO DEL TEMPO

La bella vittoria di Isner, colta dopo tre finali perse nei Masters 1000, rappresenta anche la pietra tombale sui valori di forza del circuito ATP come li conoscevamo pochi mesi fa. Primo ‘1000’ da tempo immemore senza vittorie per i Fab 4, Miami è stato il terzo torneo di categoria consecutivo vinto da giocatori extra-europei, dopo Sock a Bercy e del Potro a Indian Wells. Sembra un dato qualunque se si omette di considerare che tra Miami 2010 (vittoria di Roddick) e Bercy 2017 ci sono state ben 69 vittorie consecutive di tennisti europei, praticamente tutte (61) ad opera dei soliti quattro più una manciata di incursioni a nome Soderling, Ferrer, Tsonga, Wawrinka, Cilic e Dimitrov-Zverev, queste ultime quando ormai il castello era prossimo a crollare. Ormai le chance ci sono per tutti: piccini (Zverev), adulti (Dimitrov) e adulti un po’ più grandi (Isner).

La speranza è che questo terreno sensibile a ‘nuove coltivazioni’ possa favorire altri germogli di gioventù oltre a quello ormai conclamato di Sascha Zverev. Si guarda con particolare interesse a Shapovalov, Chung e Coric, tutti e tre tra il buono (Shapo) e l’ottimo (Coric) nel marzo statunitense. S’è smesso di attendere Kyrgios, che quando vorrà ci troverà pronti ad applaudirlo, mentre s’è iniziato a guardare con maggiore interesse i casi di Tiafoe, De Minaur e Tsitsipas, forse ancora lontani dal livello dei tre sopraccitati ma ai quali comunque consigliamo di tenersi sull’attenti perché, come detto, lo spazio è oggi molto maggiore di un anno fa e ancor più di due anni fa. No, non abbiamo dimenticato Rublev rispetto al quale siamo sicuri che vincerà, magari non è dato sapere quando, ma con quell’arsenale da dietro si tratta soltanto di mettere insieme i pezzi. Mesi o anni, chissà, così come su quale superficie: a Montpellier ci ha confessato che neanche lui sa dove gioca meglio. Intanto adesso si avvicina il rosso e tra tutti sembra opportuno puntare il dito su Chung e Coric, i più strutturati per la superficie più dispendiosa. Ancora un pizzico meno di Dominic Thiem, che adesso non ha più dita che possano nasconderlo: ogni briciola che Nadal avrà il buon gusto di lasciare dovrà essere sua. Altrimenti rischia di Nishikorizzarsi.

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