La Piccola Biblioteca. Democrazia rotonda: la genesi del calcio totale

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La Piccola Biblioteca. Democrazia rotonda: la genesi del calcio totale

Recensiamo il libro che ripercorre tutta la vicenda di Cruijff e degli Orange. Una squadra che non ha vinto nulla. Che ha cambiato il calcio. Che ha cambiato il mondo

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Winner D., Brilliant orange, Il genio nevrotico del calcio olandese, Minimum Fax editore, 2017

Una delle più belle storie mai raccontate dal pallone che rotola, resa unica dalla mancanza del lieto fine. E per questo indimenticabile.

Germania, estate 1974. Si giocano i mondiali di calcio e dal nulla sbuca fuori una nazionale brillante come l’arancione delle sue divise che domina il torneo, abbatte il Brasile campione e si presenta in finale contro i padroni di casa guidati da Franz Beckenbauer. Quell’Olanda giocava un calcio mai visto, terzini che diventavano ali, movimento continuo, difesa altissima. Il tutto guidato da un Pitagora in scarpini di nome Johann Cruijff. Il resto è storia. Calcio d’inizio, la Germania non tocca mai la palla nell’ubriacante valzer di passaggi fino a quando Johann entra in area alla velocità della luce e viene steso. Neeskens spara in porta il rigore ed è 1-0. Poi il mistero. L’Olanda domina la partita per quasi mezz’ora ma inspiegabilmente non affonda i colpi, vuole umiliare i tedeschi. Ma a giocare col fuoco ci si scotta, pareggio su altro rigore dubbio e gol mondiale del fenomeno Gerd Muller prima del riposo. Secondo tempo, nella metà campo olandese si organizzano pic nic mentre l’incontro prosegue a senso unico e il portiere Sepp Maier difende la coppa con le sue manone.

L’Olanda perderà altre due finali, entrambe ai supplementari contro l’Argentina nel 1978 e la Spagna nel 2010. Ma il totaalvoetebal non ha bisogno di quella vittoria per conquistare il mondo. Da quando vidi per la prima volta lo splendido documentario “Il profeta del gol”, Johan Cruijff è stato il mio preferito. La maglia Ajax numero 14, quel corpo lungo sempre in elegante movimento, gli occhi ispirati che guardano lontano e mai la palla. Il tutto reso magico dalle voci di Ferruccio Amendola e Sandro Ciotti. Ma da dove erano saltati fuori questi olandesi, pressoché sconosciuti fino ai trionfi in Coppa Campioni di Feyenoord e Ajax nella prima metà degli anni ’70? Perché proprio in quel piccolo paese, che di tradizione calcistica ne aveva poca o punta, nacque il concetto moderno di calcio?

David Winner deve aver subito un’infatuazione peggiore della mia perché ha esteso il suo sguardo ben oltre Cruijff, innamorandosi attraverso il suo genio dell’Olanda tutta. Ed ecco che tramite viaggi e ricerche pluriennali, interviste nei pub di Amsterdam o nella sala d’attesa di un aeroporto, prende forma un libro che attraverso la lente privilegiata del calcio scava in profondità nei segreti di un popolo unico al mondo. Il binario centrale è costituito da quel periodo di 15 anni circa che portò una sconosciuta e semiprofessionistica squadra di Amsterdam a incarnare la maggior rivoluzione che il gioco abbia avuto. Servendosi di un approccio interdisciplinare l’autore cerca le radici di un modo di vedere la realtà tutto particolare nella storia, nell’arte e nella politica, mostrando poi come quelle caratteristiche si siano incarnate nella rivoluzione del calcio totale.

Il concetto chiave è lo spazio, qualcosa che gli olandesi nella loro storia hanno dovuto prima strappare al mare attraverso bonifiche e dighe e poi difendere nella guerra contro la Spagna di Filippo II allagandolo di nuovo. L’autore vede le tracce di tutto questo nella novità del calcio proposto da Ajax e Feyenoord nel decennio che va dal 1965 al 1975. Guadagnare spazio in attacco con l’interscambio continuo dei giocatori, toglierlo in difesa alzando la linea del fuorigioco fino a metà campo. Ma non basta. Avendo tanto lottato per conquistarlo, gli olandesi sono fra i migliori al mondo nell’organizzare lo spazio con rigore scientifico. Ed ecco l’esempio di Saenredam. Pieter Jansz Saenredam morì ad Haarlem nel 1665 e fu un pittore i cui soggetti preferiti erano gli interni delle chiese. Per i suoi dipinti sceglieva sempre punti di vista estremi e passava mesi a prendere misure precise sdraiato sul pavimento o in cima a traballanti scale. Tutto lo studio veniva poi trasposto su tele che se non sono fotografie poco ci manca.

La stessa precisione di Saenredam nello studiare e riprodurre lo spazio si può ritrovare secondo Winner nel modo scientifico col quale Rinus Michels, il creatore del grande Ajax, e Cruijff organizzavano il gioco e la conquista del campo durante le partite. Niente era lasciato al caso, tutto era progettato nei minimi particolari “… parlavamo sempre di spazio e del modo in cui occuparlo nel modo migliore” racconta all’autore Barry Hulshoff, gran difensore e cultore del rock più duro. Poi la collaborazione, quella che servì nei secoli scorsi fra gli olandesi tutti per la creazione e la difesa dei Polder e nella quale affondano le radici profonde della democrazia in quella terra. Cristallina agli occhi dell’autore la corrispondenza con la disponibilità costante dei giocatori olandesi a venire in aiuto della squadra occupando immediatamente la zona lasciata sguarnita da un compagno lanciatosi all’attacco.

All’inizio della stagione 1973 nel ritiro dell’Ajax si vota, com’è tradizione, per l’elezione del capitano. I pareri su quel che successe, ben documentati nel libro, sono discordanti. Sta di fatto che Cruijff prende la miseria di quattro voti e mezz’ora dopo è al telefono con Cor Coster, suo suocero e agente. “Chiama il Barcellona e portami via di qui” urla nella cornetta. Così sarà. Democrazia a tutti i costi dunque, anche se a cadere è la testa del re.

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