Seppi più forte dell’anca, batte il “nipote” di Perry (Clerici). Monte-Italia (Semeraro). “Il tennis va veloce e può stressare, ma Djokovic tornerà a vincere” (Semeraro). Coric: "Caro Novak, ti copio per batterti" (Crivelli). Garbin, capitana indomita: "Loro forti, daremo tutto" (Arrichiello)

Rassegna stampa

Seppi più forte dell’anca, batte il “nipote” di Perry (Clerici). Monte-Italia (Semeraro). “Il tennis va veloce e può stressare, ma Djokovic tornerà a vincere” (Semeraro). Coric: “Caro Novak, ti copio per batterti” (Crivelli). Garbin, capitana indomita: “Loro forti, daremo tutto” (Arrichiello)

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Seppi più forte dell’anca, batte il “nipote” di Perry (Gianni Clerici, La Repubblica)

Fabio Fognini ha dato una spiegazione di come ci si ritrovi a “giocare in casa”. Non è come essere sostenuti dal tifo in uno stadio di calcio. «È sentirsi a casa, con tanti amici intorno. È sentirsi sostenuti da gente che ti conosce, che ti ha visto crescere. Gente che non ti giudica male se commetti uno sbaglio. A Montecarlo son venuto mille volte, da Arma di Taggia. Mi trovo a casa». Sarebbe ingeneroso, in una giornata felice, ricordare la volta in cui Fabio si spinse ad eccessi contrari, arrivò a insulti con una panchina in cui si agitavano furenti alcuni suoi familiari. Forse la firma finale, alla nonna, sul vetro della telecamera, voleva dire che ricordi simili sono cancellati, che un Fognini amico di tutti può diventare realtà. Lo segnalo, in questa giornata felice per gli italiani, che ha trovato altri due giocatori capaci non solo di vittorie, ma di comportamenti positivi, Seppi e Cecchinato. Quest’ultimo al primo successo in un Master 1000 contro il bosniaco Dzumhur. Ma l’avversario più difficile da superare era sicuramente quello di Andreas Seppi che,  giunto a 34 anni, soffre anche di un’anca malata che lo costringe a infiltrazioni medicinali. Ad Andreas si opponeva il migliore dei nostri tre avversari, quel Kyle Edmund che, se non ha ottenuto l’eredità di Fred Perry o di Andy Murray, rappresenta sempre un paese di nipoti di Wimbledon. Edmund,  che possiede uno dei diritti più arruffati e potenti del circuito, tornava giusto da un torneo vinto, quel Marrakesh in cui bisogna saper palleggiare e resistere al caldo. Andreas ha trovato nella regolarità del primo set un handicap favorevole, ha perso il secondo set nel quale ha subìto il furore dell’avversario nei due games decisivi, e ha trovato nella propria esperienza, regolarità e lunghezza di colpi, un aiuto per il successo con due inattesi break nel set decisivo, contro un avversario di 11 anni più giovane.


Monte-Italia (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

L’ultimo italiano a vincere a Monte-Carlo è stato Nicola Pietrangeli, per tre volte, la più recente nel 1968. Altri tempi. Per il momento accontentiamoci del fatto che ieri in un giorno solo abbiano vinto tre italiani: Marco Checchinato, Fabio Fognini e Andreas Seppi. Il successo più ricco è quello di Andreas, che in tre set (6-2 5-7 6-2) ha sconfitto l’inglese Kyle Edmund, numero 23 del mondo, arrivato fresco fresco in Costa Azzurra dal Marocco, dove domenica ha perso la finale di Marrakech. E infatti Kyle, dopo aver fatto leva a lungo sul servizio, è crollato alla distanza. Bene per Andreas, che al prossimo turno affronterà il numero 68 Guillermo Garcia-Lopez, ripescato come lucky loser dopo aver perso nelle qualificazioni contro Cecchinato. «Prima della Davis avevo fatto un’infiltrazione all’anca e mi ero preso un po’ di vacanza in Colorado» spiega Andreas, che oggi vive con la moglie vicino a Denver. «In campo a Genova sentivo di essere un po’ lento negli spostamenti, oggi andava meglio». Cecchinato, 25enne palermitano, si è ormai lasciato alle spalle da un anno la brutta vicenda della squalifica di 18 mesi per scommesse (poi estinta per un vizio di forma), e ieri ha vinto il suo primo match in un Masters 1000 battendo in due set (6-3 6-2) un cliente solitamente scomodo come il bosniaco Dzumhur a cui rende 69 posti Atp (100 contro 31). Partenza lenta, con Dzumhur avanti 3-0, poi una serie di sei game vinti da Marco. Nel secondo set, con il bosniaco sgonfiato dalla rimonta, non c’è stata storia. Al secondo turno Cecchinato dovrà vedersela con Milos Raonic, ex n.4 ATP (oggi è 22), che lo ha già battuto due volte, proprio a Montecarlo e a Roma. «Il primo controbreak mi ha sbloccato, da lì sono riuscito a fare il mio gioco», ha spiegato Marco. «Il resto lo ha fatto il pubblico. Raonic? Ho dei buoni ricordi, vediamo». Infine l’enfant du pays, o quasi, considerato che Fabio Fognini, nato a Sanremo e cresciuto ad Arma di Taggia, su questi campi è di casa. Per lui c’era l’avversario in teoria più facile – il bielorusso Ilya Ivashka, n.122 mondiale, uscito dalle qualificazioni – ma il Fogna, testa di serie numero 13, ha dovuto comunque impegnarsi. Nel primo set si è fatto rimontare due volte, e all’inizio del secondo si è trovato lui ad inseguire da 0-3, e 2-5, con tanto di volo della racchetta, prima di prendere in mano la partita. Al secondo turno gli tocca il tedesco Jan-Lennard Struff (n.61 del mondo). «Oggi colpivo bene con il diritto, il servizio andava e veniva, ma i primi turni sono sempre difficili. Struff l’ho battuto due anni fa a Monaco, ma è migliorato, dovrò essere aggressivo, non fargli prendere l’iniziativa. Di buono c’è che su questi campi gioco da quando ero bambino. Al Country Club conosco tante persone, qui mi sento più a casa che a Roma».


“Il tennis va veloce e può stressare, ma Djokovic tornerà a vincere” (Stefano Semeraro, La Stampa)

«Djokovic? Sarei stupito se non vincesse ancora». Riccardo Piatti è stato il coach dell’ex numero 1 quando il serbo aveva 18 anni e il loro rapporto è rimasto amichevole. Quest’inverno Nole si è allenato alla nuova academy di Riccardo, il Piatti Tennis Center a Bordighera, ma oggi a Montecarlo se lo ritroverà davanti come avversario del suo allievo attuale, Borna Coric.

Che idea si è fatto della crisi di Djokovic?
Nole ha vinto tanto: 30 Masters 1000, che per me sono ancora più difficili di uno Slam. Parte tutto dalla testa: se hai motivazioni, vinci. Se hai altro nella testa è difficile.

Ha appena liquidato Agassi: ma un coach serve davvero a campioni come lui?
Il coach serve a mettere ordine, a trovare la chiave per estrarre il massimo del talento. Deve lavorare su tutto: tecnica, fisico e testa. Ma alla fine sono i giocatori che fanno la differenza. Oggi il fisico conta, ma per andare lontano devi saper giocare a tennis. Inizia tutto da come colpisci la palla. Noi a Bordighera lavoriamo con Playsight, un sistema che grazie a 10 telecamere consente di analizzare in tempo reale quello che fai in campo.

Lei è tra i coach più apprezzati, chi sono i colleghi che teme di più?
Il mio ex giocatore Ivan Ljubicic: con Federer sta facendo un grande lavoro. Poi Gunther Bresnik, Xavier Duarte, Ivan Lendl. Ho imparato anche da John McEnroe. E uno che semplifica: per John già dal primo colpo devi pensare a fare punto.

Il tennis dove sta andando?
Sta andando in fretta. E in una direzione che mi preoccupa. Oggi già da bambini si stressano pensando a vincere, a firmare i contratti con i genitori sul collo. Il tennis è un gioco. Lo stiamo complicando troppo.

C’è Ljubicic dietro la rinascita di Federer?
Sì, perché è intelligente, ha grande personalità e conosce benissimo il tennis. Se si fossero incontrati prima, Federer avrebbe vinto più Slam.

Dopo Roger, il diluvio?
Qualcuno arriverà. La nuova generazione sembra faticare, in realtà uno come Shapovalov è più avanti di Murray e Djokovic alla sua età.

Da dove verrà il futuro n.1?
Non so, però fra i top 100 ci sono tanti europei: crescono sulla terra, che ti insegna a manovrare la palla e a gestire il fisico. Tanti sono balcanici, ma per diventare forti devono andare all’estero. I nostri il talento ce l’hanno, ma spesso non vogliono viaggiare, mettersi alla prova.

Rimpianti o rimorsi?
Avrei voluto giocare bene io, non insegnare agli altri a farlo. Ma è tardi.


Coric: «Caro Novak, ti copio per batterti» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Borna, un secondo turno contro Novak è un ottimo test per valutare la crescita dopo le belle prestazioni in America.
Affronto uno dei più forti giocatori di sempre, magari lo trovo in un momento particolare, ma non devo credere che questo renda la partita più facile. Sono curioso e molto carico.

Tra l’altro, fin da quando lei ha mosso i primi passi sul circuito, sono scattate le similitudini sul vostro tipo di gioco.
È un onore essere paragonato a Novak, ma devo vincere tante partite e stare al top tanti anni per poter anche solo essere avvicinato a lui. E’ vero però che come giocatore ha caratteristiche che mi piacciono molto e che provo ad applicare, ad esempio il modo di attaccare la palla e di muoversi sul campo.

Da novembre si allena con Riccardo Piatti a Bordighera e i risultati sembrano confortare la scelta.
Sono molto soddisfatto, sto facendo un ottimo lavoro. Nel suo Centro c’è la possibilità di curare tutti gli aspetti del tennis, con un’applicazione maniacale per ogni dettaglio. E poi è un ambiente ideale, senza distrazioni esterne.

Secondo Piatti, lei potrà vincere i grandi tornei nel giro di due o tre anni.
Se lo dice lui, concordo. Ci metto la firma se davvero avrò bisogno di così poco tempo.

Ma è così difficile scalzare la generazione dei Fab Four?
Stiamo parlando forse dei più forti giocatori della storia. Per batterli, oltre al talento e alle capacità, servono qualità che si possono acquisire solo con il tempo. Penso alla continuità di rendimento, anche mentale, cioè la forza di stare concentrati a lungo, e all’esperienza per gestire i tanti momenti delicati che ti capitano durante una partita e durante un torneo. Il nostro è però un bel gruppo di giovani che devono imparare tanto ma che possono crescere molto. E ci farà bene la rivalità tra di noi, ci spingerà a dare il meglio e a vincere partite importanti. Ci sono già giocatori molto forti: Sascha Zverev ha già dimostrato il suo valore, ormai è un top player, Shapovalov ha un talento infinito, ma credo siano in parecchi a possedere le qualità per emergere. La Next Gen è veramente forte, credetemi.

A settembre c’è anche la semifinale di Coppa Davis, in cui sfidate in casa gli Stati Uniti. Dopo la sconfitta di due anni fa, la sente come un traguardo?
Sicuramente, abbiamo l’occasione di raggiungere un’altra finale, siamo una squadra compatta e Marin (Cilic) è uno dei più forti al mondo. Faremo di tutto per centrare l’obiettivo.

Quando la generazione dei Coric sarà pronta a scalzare dal trono i Federer e i Nadal?
Probabilmente quando si ritireranno…


Garbin, capitana indomita: «Loro forti, daremo tutto» (Valerio Arrichiello, Il Secolo XIX)

Dopo la Davis, Genova ospita la Fed Cup e si prepara a vivere un nuovo weekend di grande tennis. Ieri mattina le azzurre, guidate da Sara Errani, hanno assaggiato la terra rossa di Valletta Cambiaso. La sfida tra Italia e Belgio, valevole come playoff/promozione per il World Group 2019, si avvicina. La classifica è a favore di Mertens e compagne. Ma nei 7 precedenti ha sempre vinto l’Italia. L’ultimo risale a 12 anni fa e ha un sapore speciale: 16 e 17 settembre 2006, sul veloce di Charleroi, l’Italia di Barazzutti vince la sua prima Fed Cup. In campo, Schiavone, Pennetta, Santangelo e Vinci. Sugli spalti, una tifosa speciale: Tathiana Garbin, oggi capitana della squadra di Fed Cup. «Sì, in Belgio, c’ero pure io. Non dovevo giocare ma volevo essere lì per sostenere le mie compagne. Ora voglio ricreare un gruppo così: forte, coeso. Lo spirito di squadra è fondamentale».

Come sono le prime sensazioni genovesi?
Ottime. Abbiamo lavorato molto bene la mattina a Valletta Cambiaso, peccato per la pioggia nel pomeriggio. Il campo ci piace moltissimo, cercheremo di mettere le azzurre in condizione di giocare al meglio, contro avversarie molto forti.

Anche la Spagna era favorita ma l’avete battuta: col Belgio sarà più o meno dura?
Sulla carta sono molto più forti loro, ma la Nazionale dà energie che in altri tornei non si trovano. Vogliamo dimostrare quanto siamo attaccate alla maglia azzurra, onorarla. E il sostegno del pubblico sarà decisivo. So che Genova ama il tennis, mi aspetto un grande tifo.

I precedenti sono tutti a nostro favore…
Ricordo Charleroi, la prima delle 4 Fed Cup vinte dell’Italia. Quel gruppo ha fatto la storia. Ora siamo in fase di ricambio generazionale ma mi piace vedere la voglia delle ragazze: è una bella base per ricostruire e tornare ai livelli del passato. Giocare in Nazionale, da protagoniste, è una grande occasione per affrontare rivali di livello altissimo. Anche stavolta troveremo due avversarie top 50. La Mertens viaggia forte. Ma per le nostre è una grande chance per crescere. Sarà molto importante l’esperienza di Sara Errani. È la nostra punta di diamante, il punto di riferimento della squadra. Chiesa, Paolini e Pieri sono giovani, avere una compagna come Sara è importantissimo. Oltretutto vive un periodo di grande forma: il suo apporto sarà fondamentale per provare a battere il Belgio.

Ha scelto chi sarà l’altra singolarista?
Non ancora, valuterò la forma delle nostre e mi regolerò anche in base alle avversarie. Abbiamo giocatrici con caratteristiche diverse, metterò in campo quella più adatta per sfidare le belghe. E anche per il doppio non dico ancora nulla.

Per motivare Deborah Chiesa, nel match decisivo con la Spagna, le ha detto: “Come vuoi essere ricordata? Come una leonessa, o no?”. Quanto conta l’aspetto psicologico?
Da capitana, provo a dare motivazioni, voglio che le ragazze credano in se stesse, trasmetto le mie esperienze. Vorrei che, oltre che grandi tenniste, diventino soprattutto grandi donne. A volte rischi di non sapere cosa sia la vita fuori dal tennis, invece bisogna essere consapevoli, saper fare delle scelte, avere grandi valori. Dietro una grande tennista c’è una grande persona: è la verità.

La capitana ruggisce già…
Sì. Alle ragazze chiedo di non regalare nulla. Dobbiamo dare tutto, ma proprio tutto, è la cosa su cui premo di più.

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