Djokovic solo sorrisi. Nadal, solito rullo (Crivelli). Risalita Djokovic, ma per Coric c'è un futuro da Top Ten (Clerici). Zverev: quando la crescita parte dalla testa (Bertolucci). Nadal e il fantasma di Federer. Doppia sfida per restare numero 1 (Semeraro)

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Djokovic solo sorrisi. Nadal, solito rullo (Crivelli). Risalita Djokovic, ma per Coric c’è un futuro da Top Ten (Clerici). Zverev: quando la crescita parte dalla testa (Bertolucci). Nadal e il fantasma di Federer. Doppia sfida per restare numero 1 (Semeraro)

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Djokovic solo sorrisi. Nadal, solito rullo (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Dice il saggio: goditi il successo e non preoccuparti di come è maturato. Se Djokovic era alla ricerca dell’illuminazione dopo dieci mesi di oscuri tormenti, l’avventuroso pellegrinaggio contro il Next Gen Colic, il giocatore più simile al Novak originale, gli schiude finalmente un lembo di sole. E rileva poco, per l’avvio della tanto attesa e sospirata resurrezione, che il giovin croato di fronte a lui abbia manifestato il braccino di chi soffre l’atmosfera e pure il carisma del rivale, se non addirittura il peso del favorito, dopo la splendida campagna sul cemento americano che l’aveva portato alla miglior classifica di sempre, numero 28 (adesso è 39), per la gioia di coach Piatti. Non affonda la sciabola, l’ineffabile Borna, quando si ritrova con due palle break per andare a servire sul 6-5 del primo set, si scioglie nel successivo tie break e poi, in un incredibile ottovolante di prodezze, sciocchezze e mani che tremano, si fa strappare di nuovo il servizio nell’11° orribile game del terzo set dopo essere risalito da 3-5 e soprattutto aver annullato nove match point all’ex numero uno d’improvviso carente della qualità che ne ha fatto un eroe, l’istinto da killer sportivo. E ovviamente, con l’occasione che ricapita, il Djoker stavolta lo azzanna, cogliendo la vittoria più importante da Wimbledon, per il valore del contendente e la pressione con cui inevitabilmente deve convivere da quando non si ritrova: «È vero, avrei potuto portarla a casa prima, ma è stato grandioso essere di nuovo faccia a faccia con questo tipo di emozioni. Il match perfetto per fortificare la mia mente». La semplice conta dei gratuiti, 36 per lui e 41 per Coric, a fronte di 33 vincenti complessivi, testimonia che si è viaggiato sul filo dei nervi, più che sulla qualità del gioco. Non mettere la sfida in ghiaccio pur avendo così tante opportunità è un minus per Djokovic, insieme a una condizione fisica migliore rispetto al disastro degli Stati Uniti, ma ancora lontana da quella dirompente dei tempi d’oro, specie nei recuperi laterali che erano il marchio di fabbrica. Eppure, a sprazzi, si è finalmente rivista l’anima del campionissimo, che ora sarà messa alla prova da Thiem, in particolare nell’efficacia del dritto (12 vincenti) e nella metabolizzazione del nuovo movimento del servizio, soprattutto da destra: «Adesso uso anche una racchetta meno pesante per non sforzare il gomito, è giusto provare ogni dettaglio: perché non sarei qui se non pensassi di poter rivincere gli Slam e tornare numero uno, anche se non ho più vent’anni». Il numero uno con il crisma della classifica inizia invece la rincorsa all’11° successo nel Principato con un’agevole passeggiata sullo sloveno Bedene: diavolo d’un Nadal, negli ultimi 28 set sulla terra nessuno gli ha strappato più di 5 game. Rafa vede rosso e da tradizione gonfia il petto: «Partenza positiva, è importante per me vincere partite e soprattutto giocarne tante, ho bisogno di stare sul campo». Ecco perché dal suo vocabolario la parola programmazione è stata momentaneamente cassata: «Non posso predire il futuro e quello che farò, quando diventi vecchio devi aggiustare qualcosa, ma per me è difficile pensare di non giocare apposta qualche torneo»[SEGUE].


Risalita Djokovic, ma per Coric c’è un futuro da Top Ten (Gianni Clerici, Repubblica)

Tra le mie molte conoscenze tennistiche non è mai rientrata quella che associasse, nella stessa persona, uno psichiatra a un coach. Me ne dolevo confrontando un giocatore quale Nole Djokovic numero uno del mondo, al Djokovic attuale, non soltanto vittima di tre sconfitte consecutive, dall’inizio dell’anno, ma incapace di chiedersene le cause. Aveva sì recuperato quello che si può a volte apparentare allo psichiatra, il suo vecchio Marian Vajda, aveva sempre con se Dodo Artaldi, il suo amministratore. Ma non credo che il denaro entrasse in qualche modo nella sua crisi attuale. Il suo match odierno non era certo semplice come avrebbe potuto sembrare, perché non somigliava certo ai primi turni abituali di un grande torneo. Infatti, così come avevo conosciuto Nole diciottenne in casa del mio amico comacino Riccardo Piatti, l’avversario odierno usciva anch’esso dall’Accademia che Riccardo aveva appena aperto, Borna presente, vicino a Montecarlo, a Bordighera. Tra le ragioni più evidenti dell’involuzione di Nole, una ce n’era che non necessitava del giudizio dello psichiatra, ma piuttosto del chirurgo: l’operazione al gomito sinistro, un tempo fulcro dello straordinario rovescio bimane che non permetteva agli avversari del serbo di avvicinarsi alle rete senza una percentuale di rischio eccessiva. Riccardo Piatti è uomo troppo cauto per sottolineare le qualità dei suoi assistiti. A proposito di Coric mi aveva soltanto anticipato: «Lo vedrai da te». Ho visto oggi la solidità atletica, gli ottimi rimbalzi, soprattutto di rovescio, di un giovane che, penso, terminerà l’anno tra i primi dieci del mondo e che ha sorpreso tutti gli spettatori, compresi i miei vecchi Nicola Pietrangeli in tribuna, e Paolo Bertolucci, nella sua cabina televisiva. Un giovane in grado di riapparigliarsi a un Nole a tratti simile a sé stesso risalendo da 1-4 al primo sino a raggiungere il tie-break e di recuperare nel secondo da 1-3, 3-5, e infine qualcosa come 10 match point, tanti da far per qualche minuto temere che i troppi vantaggi di Nole si trasformassero in futuri svantaggi. Mi rileggo, e ne traggo l’occasione per concludere. Non so dire – non sono psichiatra – se Nole ritornerà se stesso. Credo invece alla Profezia di Borna tra i Primi Dieci.


Zverev: quando la crescita parte dalla testa (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

La classifica ATP e i due Masters 1000 vinti nel 2017 indicano Alexander Zverev come il giovane più vicino e pronto a raccogliere la pesante eredità dei soliti noti. L’anno scorso aveva bucato le prove degli Slam e per migliorare la gestione sulla lunga distanza si era affidato all’esperienza di Juan Carlos Ferrero. Il sodalizio, dopo le prime, deludenti prove, è finito in pochi mesi, ma il ritorno al vecchio team, Miami a parte, non ha prodotto gli effetti desiderati. Non può essere certo un problema tecnico per uno con un bagaglio di prima classe e che con il lavoro fisico fatto è in grado di non temere gli spostamenti sul breve. Il servizio, penetrante e vario, necessita di una correzione solo in termini di percentuali e la personalità non può certo averlo lasciato a piedi. Rimane dunque la testa, essenziale per raggiungere il top. Non è appagamento e ancor meno di rifiuto del sacrificio. Credo piuttosto si tratti di una tassa da pagare nel lungo e difficile tragitto di crescita… [SEGUE].


Nadal e il fantasma di Federer. Doppia sfida per restare numero 1 (Stefano Semeraro, Stampa)

A Montecarlo Rafa Nadal è signore e padrone, due giorni fa gli hanno anche intitolato una suite del Montecarlo Bay Hotel e Resort, l’hotel ufficiale del torneo, 92 metri quadri vista Mediterraneo addobbata con suoi feticci: maglietta, scarpe, molte foto tratte dai 10 trionfi, una racchetta (si spera assicurata). Al Country Club gioca da socio, ieri ci ha vinto la 65a partita; dal 2003, l’anno del suo esordio a Roquebrune, ne ha perse solo 4. La vittima di turno era Aljaz Bedene (battuto 6-1 6-3), simpatico slovacco e finto britannico per questioni di Davis, ma il suo vero avversario da qui al Roland Garros, quello contro cui si batterà virtualmente anche a Barcellona, Madrid e Roma, non era in campo. Meglio: c’era in figura di fantasma, visibile dai più attenti, con la bandana e un sorriso che svanisce nell’aria come il gatto di Alice nel Paese delle Meraviglie. Il fantasma di Roger Federer. Il rivale ombra, pronto a scippargli il trono senza nemmeno giocare, proprio come Rafa ha fatto dopo la sconfitta di Roger a Miami. Se vuole rimanere n.1 Nadal è condannato a vincere, sempre e comunque: oggi contro Karen Khachanov, nei quarti forse, eventualmente, contro Novak Djokovic. Sempre che Nole, vittorioso ieri su Borna Coric, riesca a passare oggi l’esame Thiem. Se non riconquisterà il torneo il Cannibale scivolerà al secondo posto; e cosi sarà anche a Barcellona e a Madrid, mentre a Roma gli basterà pareggiare i quarti raggiunti l’anno scorso. La classifica mondiale funziona con un algoritmo che guarda indietro, è una nostalgia di punti che sfollano se non ti confermi all’altezza dite stesso. Un problema, se ti chiami Nadal e sulla terra sei da anni il Più Forte. Sia Rafa sia Federer ripetono da tempo che la classifica ormai a loro importa relativamente, eppure appena a Rotterdam si è aperta una finestra buona Roger ci si è infilato dentro, appropriandosi del record che custodiva Agassi, quello di più vecchio numero 1 della storia. Come certi ladri interpretati da Cary Grant si muove invisibile, silenzioso. Sulla terra da due anni è contumace, vive di rendita in attesa di colpire sul verde, quindi non ha conti aperti con il ranking. A Rafa invece tocca faticare… [SEGUE]. Aumenta l’età, diminuiscono le chance di vederli battersi l’uno contro l’altro. Per ora dobbiamo accontentarci di questo confronto a distanza, di una lotta per il numero 1 che rischia di smentire il vecchio adagio di Giulio Andreotti, perché qui il potere alla fine logora chi ce l’ha.


Djokovic, Novak vita (Angelo Mancuso, Messaggero Sport)

Se il nuovo non funziona, allora tanto vale tornare all’usato sicuro. È la strada intrapresa da Djokovic. In Australia aveva salutato già agli ottavi, poi il piccolo intervento al gomito e la scelta di giocare a tutti i costi Indian Wells e Miami dove era apparso l’ombra di se stesso uscendo subito di scena. In preda a una crisi profonda, la peggiore della sua carriera, dopo l’addio ad Agassi e Stepanek, si è rifugiato in Marian Vajda. Il porto sicuro, il coach storico che lo ha accompagnato nella lunga scalata al vertice del ranking stando al suo fianco per ben 11 anni fino a metà 2017. È a lui che si è affidato per provare a ricostruire quell’armonia interiore e quella fame di vittorie che sono sempre state fra i segreti del suo dominio. È ancora presto per capire le reali condizioni del trentenne campione di Belgrado, ma i segnali che arrivano dalla terra rossa di Monte Carlo sono incoraggianti. Se la facile vittoria (6-0 6-1) contro il connazionale Lajovic aveva detto poco o nulla vista la consistenza dell’avversario, il successo al secondo turno per 7-6 (2) 7-5 sull’emergente Borna Coric vale molto di più. Il 21enne croato sta finalmente giocando all’altezza del suo talento: ha sfiorato la finale a Indian Wells e dà importanti segnali di crescita. È stata una partita vera e spettacolare, in cui Djokovic ha avuto bisogno di 10 match point per mettere ko il più giovane rivale: oltre due ore di battaglia in cui Nole e Coric hanno giocato a specchio, come ha raccontato lo stesso serbo a fine partita. A tratti si è rivista quelle rabbia, quel furore agonistico che per un paio di stagioni lo avevano reso praticamente imbattibile, come forse nessun altro negli ultimi 20 anni. Il tabellone monegasco ora alza ancora l’asticella e oggi negli ottavi Djokovic sfiderà l’austriaco Thiem, n.7 del mondo: è avanti 5-1, ma ha perso l’ultimo match la scorsa primavera nei quarti al Roland Garros. Dovesse superare l’ostacolo Thiem, nei quarti ci sarebbe Nadal, che dal canto suo ha passeggiato contro lo sloveno Bedene. E quello potrebbe essere per Nole il test definitivo… [SEGUE].


Seppi, rimonta che vale Nishikori (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Andreas Seppi è scappato in fretta dal torneo di Marrakech («Terribile, non so perché lo organizzano ancora») per andare a giocare le qualificazioni a Montecarlo, e ha fatto bene. Dopo aver seccato Kyle Edmund al primo turno, Andreas – 32 anni, numero 62 del mondo, un’anca un po’ sbilenca che periodicamente ha bisogno di infiltrazioni e lo obbliga a due-tre settimane di stop – al secondo turno ha superato in 2h23′ e tre set anche Guillermo Garcia Lopez, ritrovando smalto e la grinta nei match di (mezza) maratona. «Ho alternato momenti di scarsa reattività ad altri di grande energia. Ogni tanto capitano, giornate così, però sono sempre pronto a reagire, a combattere. Difficilmente mollo, anche se può succedere di non aver troppa voglia. Stavolta è andata bene». Negli ottavi al Country Club ci era arrivato solo un’altra volta, nel 2014, schiantandosi contra Rafa Nadal. Stavolta gli tocca Kei Nishikori, ex Top Ten in risalita (è n. 36) dopo l’operazione al polso: i precedenti sono in equilibrio (2-2) ma sarà il loro prima tete-a-tete sulla terra. Difficile, non impossibile. Purtroppo Seppi è rimasto l’unico italiano in gara. Al secondo turno sono caduti in due set sia Marco Cecchinato, che comunque contro le martellate di servizio di Milos Raonic, ex n. 3 del mondo, aveva una strada in forte salita, sia soprattutto Fabio Fognini, che invece partiva favorito contra il tedesco Jan Lennard Struff. Invece Fabio, complice un fastidio al ginocchio destro per cui ha chiesto l’intervento del fisioterapista, si è arreso in un’ora, 6-4 6-2, soffocato da una giornata di scarsa vena… [SEGUE]. E nel finale si è beccato anche un warning per lancio di racchetta.


La Giovane Italia: “Belgio favorito ma si può fare…” (Claudio Paglieri, Secolo XIX)

A vederle così piccole e minute sembrano quasi delle ragazze in gita scolastica. Ma la divisa non è quella della scuola, ha la scritta “Italia” sulla manica e pesa parecchio, a dispetto del tessuto leggero. L’età, l’entusiasmo, l’equilibrio tra grinta e spensieratezza che si spera trovino in partita saranno le armi di Jasmine Paolini (22 anni), Deborah Chiesa (21) e Jessica Pieri (20), tre quarti della Giovine Italia di Fed Cup che sabato e domenica affronta a Genova, sulla terra rossa di Valletta Cambiaso, un Belgio decisamente favorito per restare nel World Group. A guidare le ragazzine terribili, la strategia in panchina di Tathiana Garbin e l’esperienza in campo della trentenne Sara Errani, unica superstite della generazione dorata che ha conquistato quattro volte il trofeo grazie a Pennetta, Vinci e Schiavone. Errani «ha grande esperienza ed è un punto di riferimento per le altre», dice Garbin che così descrive le ragazze: Jasmine Paolini «potente ed esplosiva», la «combattiva» Deborah Chiesa, e la «piccola Jessica Pieri che ha un “tempo” meraviglioso sulla palla». Ma dall’altra parte ci sono la numero 17 del mondo Elise Mertens, la numero 50 Alison Van Uytvanck, la doppista veterana Kirsten Flipkens. Il loro capitano, Ivo van Aken, è ottimista: «Siamo favoriti, sì. Ma sulla terra rossa l’Italia ha esperienza e quel modo di giocare…». Quale, scusi? «Sanno difendersi bene, allungare lo scambio… ma le nostre sono aggressive , sapranno creargli problemi». Noi faremo catenaccio, insomma, mentre loro cercheranno di sfondare. «Dite che siamo sfavorite? – sorride Garbin – il mio motto è rispettare tutti e non avere paura di nessuno. Le mie ragazze quando indossano la maglia azzurra sanno dare qualcosa in più». «Non è un match facile ma ci proveremo – conferma Errani, intervenendo con le compagne a una pre-inaugurazione di Euroflora, ne leggete in cronaca – siamo tutte in forma, io mi sento bene, mi piace anche l’atmosfera del gruppo. E il ricordo della vittoria con la Spagna è fresco…». In quell’occasione Sara aveva portato due punti, il terzo era arrivato a sorpresa grazie alla Chiesa, che lottò da leonessa con la Arruabarrena annullandole anche un match point: «Sara è il nostro punto di riferimento – dice l’allieva dei fratelli Piccari – è molto disponibile con tutte noi». Per il singolare è in ballottaggio con la Paolini, una che non molla un centimetro: «Daremo il massimo» assicura, mentre la mascotte Jessica Pieri si dice già «contenta per questa convocazione, la maglia azzurra resterà un ricordo bellissimo». La Garbin non ha lasciato niente al caso: «Ho studiato le avversarie in televisione e al torneo di Lugano (vinto dalla loro numero 1 Elise Mertens, ndr). Sappiamo quali sono i loro punti deboli e quali i loro punti di forza». L’Italia ha scelto la terra rossa, delle «palle abbastanza leggere per favorire la presa delle rotazioni», e potrebbe cambiare la formazione in corsa: «Non è detto che chi gioca la prima giornata giochi anche la seconda – spiega la capitana – deciderò in base alla forma ma anche alle caratteristiche delle avversarie»[SEGUE]. «Il tifo sarà fondamentale» è l’ultimo appello di Garbin, e a Valletta Cambiaso tutto è pronto per vendicare il ko in Davis con la Francia. I posti “infelici” sulle tribune che hanno creato malumori non saranno messi in vendita, e chi li aveva sarà riposizionato. Forse non ci sarà il pienone, ma i belgi saranno pochi… [SEGUE].


Italdonne tutta nuova (Marco Bisacchi, Tuttosport)

L’orchidea – rivela Sara Errani – “è il mio fiore preferito, spero sia il fiore della speranza per battere il Belgio”. La 30enne tennista bolognese ha il ruolo – stavolta più che mai – di guida della nazionale femminile di tennis, a caccia della promozione in serie A nella sfida di Genova contro il Belgio in Fed Cup, sabato e domenica. Sotto la Lanterna, nei giorni di Euroflora, le ragazze di Tathiana Garbin sono chiamate ad un’impresa non facile… [SEGUE]«Non sarà assolutamente facile ma ci proveremo – taglia corto Sara Errani – daremo il massimo. Siamo contentissime di essere qui. Ci stiamo allenando bene. Le belghe sono tutte giocatrici forti. Suppongo giocheranno la Mertens e la Van Uytvanck nei singolari. Sono forti, ripeto, ma ce la metteremo tutta. Io sono in forma, mi diverto e sto bene con questo gruppo di ragazze». Di certo le azzurre inseguono un altro sogno, dopo la bella vittoria con la Spagna. «Con le spagnole era stato un fine settimana pazzesco – continua la Errani – siamo qui per riprovarci»… [SEGUE]. Occhio alle chanches di mettersi in evidenza per Deborah Chiesa, 21 anni. «Sara è la nostra guida, ci carica sempre. Spero di giocare, ma anche se non dovessi scendere in campo inciterò la squadra. Sulla terra rossa me la cavo bene. Coi fiori invece me la cavo meno, ma mi piacciono i ciclamini…». Un’Italia che è ripartita, dopo i fasti del recente passato, da una nazionale giovane ed entusiasta. Al netto dell’assenza (ormai non è una novità) di una certa Camila Giorgi. La capitana azzurra Tathiana Garbin è ottimista perla sfida col Belgio a Valletta Cambiaso, dove solo due settimane fa erano stati battuti dalla Francia gli azzurri di Davis. «Da parte nostra c’è il massimo rispetto ma non abbiamo paura di nessuno. Tutto è possibile. Sarà molto importante partire forte, e poi finire bene. La squadra è rinnovata e giovane, ma non dovrebbe essere un problema. La maglia azzurra ti porta sempre qualcosa in più». Jessica Pieri, 20 anni, non nasconde l’emozione: «È la mia prima volta in Fed Cup. Sono molto contenta ed onorata di poter vestire la maglia azzurra». Jasmine Paolini, 22 anni, parla a petto in fuori: «Sarà dura, il Belgio è forte. Ma ci troviamo con loro allo stesso turno. Anche l’altra volta non eravamo sfavoriti e siamo riusciti a vincere».

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