Becker: "La rottura Djokovic-Agassi? Non si allena via mail". E Clerici non si spiega Nadal

Rassegna stampa

Becker: “La rottura Djokovic-Agassi? Non si allena via mail”. E Clerici non si spiega Nadal

Boris Becker alla Gazzetta dello Sport parla di cosa è andato storto tra Novak e Agassi. Anche lo scriba è a corto di aggettivi per descrivere il mancino di Rafa

Pubblicato

il

 

Becker: “La rottura Djokovic-Agassi? Non si allena via mail” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

In mezzo al Centrale, troneggiante come quando era Bum Bum. Boris Becker riceve l’anello della Hall of Fame dopo la fatica perdente dell’ex pupillo Djokovic. Boris, l’ha sorpresa rivedere Vajda accanto a Nole? «No. Dopo le sconfitte in America, ho immaginato che sarebbe stato necessario un cambiamento e Marian è il meglio per lui: è un allenatore che conosce davvero il gioco ed è stato vicino a Novak per anni. Io penso che un coach debba adattarsi a un giocatore e non viceversa: Vajda è perfetto in questo». Secondo lei, perché non ha funzionato con Agassi? «Lo sanno solo Novak e Andre. Non ha aiutato il fatto che Nole sia stato fermo a lungo senza potersi allenare e quindi senza scambiare informazioni. Tutti pensano che Djokovic sia un robot, ma innanzitutto è un uomo con una personalità molto indipendente che ama il confronto: è molto intelligente e tu devi convincerlo giorno per giorno dell’importanza di quello che stai facendo». Sembra una bocciatura della figura degli ex supercampioni che diventano allenatori… «Sono contrario a quelli che allenano dal divano o mandano le mail coi programmi. Un coach deve stare vicino al giocatore, respirare l’odore degli spogliatoi, dirgli cose che non vorrebbe sentire. Poco importa quanto grande tu sia stato. Come consideriamo Moya? È stato un grande giocatore? Certamente: eppure segue Nadal passo passo. E anche Lendl, soprattutto nella prima fase con Murray, era molto presente». Quindi la rivedremo allenare? «Io ho avuto offerte da giocatori e giocatrici, ma per il momento non sono interessato, le mie attività mi portano via tempo e mi rendono felice. Tra l’altro sono responsabile delle nazionali tedesche, incarico che mi piace: mi consente di studiare i talenti del futuro e mi dà il tempo di fare anche altro». In questa veste lei ha contatti quotidiani con Alex Zverev, di cui si diceva potesse anche diventare allenatore. Quanto gli manca per vincere uno Slam? «Intanto è il ventenne più forte del mondo e non mi sembra poco. Poi i tornei dello Slam sono eventi molto complicati. Non parlo di stile di gioco o di qualità del tennis, ma di tutto ciò che c’è intorno. Devi restare tre settimane nello stesso posto, devi affrontare per giorni e giorni la stessa routine e non c’è mai una partita uguale a un’altra. Quando Sascha imparerà a gestire le pressioni esterne, soprattutto mentali, di un torneo dello Slam, lo vincerà. E ci arriverà molto presto». Lei ha ottenuto alcune delle sue vittorie più emozionanti in Coppa Davis. Cosa pensa della possibile riforma? «Pensiamo al match di Valencia: anche se la mia Germania ha perso, siamo sicuri di voler rinunciare a un ambiente del genere, con Nadal a trascinare la sua gente? In campo neutro non accadrebbe. I più forti non vogliono giocare la Davis? Invece di cambiare la formula, proviamo a cambiare le date». In campo, si notano sempre più spesso atteggiamenti aggressivi, in particolare dei più giovani. È qualcosa che la preoccupa? «Molto. In Formula 1, se non ci sono sorpassi, si dice che è noiosa, ma se fanno un incidente alla prima curva si esalta lo spettacolo. Non vorrei che il tennis finisse su quella strada, non si possono superare i limiti. Qui ho visto Donaldson aggredire l’arbitro, ha passato il segno: se l’avesse fatto a me non l’avrebbe passata liscia. Io ho portato le mie emozioni in campo, sempre con rispetto. Molti giovani non si prendono cura di questo: né cuore né anima». Come va con i guai finanziari? «È un argomento di cui non parlo, ma mi sembra che il fuoco si stia spegnendo». Cos’è la popolarità per Becker? «Un amico mi ha detto: Boris, potresti girare con una maschera che ti copre il viso, ma ti riconoscerebbero da come cammini. Va bene, vuol dire che ho fatto qualcosa di buono».


Nadal, la voce del padrone. Che lezione a Thiem (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Avanti un altro. Come alle fiere di paese di una volta, quando il forzuto si metteva al centro della piazza e aspettava con ansia chi osasse sfidarlo per qualche moneta. Nadal sta li, bello dritto e nerboruto, così a suo agio in un torneo che ha già domato dieci volte, attendendo il prossimo rivale da prendere a schiaffi. Ci ha provato Thiem, uno che l’anno scorso arrivò a batterlo sulla sacra terra di Roma, e ha dovuto far passare 51 avvilenti minuti, approfittando del primo calo di ferocia di Rafa, per restituirgli almeno un buffetto conquistando il primo game dell’incontro. Però il satanasso di Manacor era già 6-0 3-0. Un ciclone. Sotto con il prossimo. Toccherà al signorino Dimitrov, mai semifinalista a Montecarlo prima d’ora, quasi che la fresca residenza nel Principato (pure lui) gli abbia gonfiato il petto di motivazioni extra. I precedenti non lo confortano, è dietro 10-1, ma le ultime tre sfide hanno almeno regalato equilibrio. E poi c’è il ricordo del 2013, quando Grisha incrociò Nadal nei quarti proprio qui e per due set tenne fede al pesante soprannome di Baby Federer che ancora lo accompagnava, lasciando in ambasce lo spagnolo col suo tennis fluido e raffinato, cui continuano a mancare un po’ di punch pugilistico e un po’ di testa nei momenti caldi per raggiungere il paradiso oltre il trionfo alle Finals 2017. Il bulgaro è reduce da un virus che l’ha disturbato per un mese, è ancora discontinuo specialmente al servizio, ma nella rivincita di quel pomeriggio londinese con Goffin mostra tempra e volontà, recuperando da 5-1 sotto nel 2° set. Tra episodi di sincero rispetto: per due volte, restituisce a David un punto contestato. Del resto fu un suo dritto, steccato in volée dall’altro, a spedire la pallina nell’occhio sinistro del belga a Rotterdam a febbraio, procurandogli seri guai alla vista: dall’episodio è nata una cordiale amicizia. Certo, con il diavolo di Maiorca l’altalena di rendimento non sarà consentita: «La terra è casa sua, questo torneo è casa sua, ma non sono d’accordo quando definite Rafa terribile o impressionante: se avessi paura dei miei avversari, non giocherei a tennis». Dall’altra parte, senza alzare la voce come è suo costume, Nishikori si proietta fuori dal tunnel di un polso che non gli ha dato tregua per 5 mesi irretendo con il suo gioco percentuale un Cilic troppo alterno e troppo legato alle spingardate col servizio, mentre Zverev spegne in gola l’urlo a Gasquet, che sperava di tornare in semifinale dopo 13 anni. Sascha, il fico più maturo della cesta della Next Gen, è stato il primo dopo Nadal a vincere un Masters 1000 a vent’anni non ancor compiuti (Roma 2017) e nei suoi alti e bassi si conferma un eccellente purosangue buono per tutte le corse. Ma qui a casa Rafa la pista è più in salita che altrove.


Provaci Italia. Ostacolo Belgio per tornare in A (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Poco più di due mesi fa, l’impresa. A Chieti le azzurre di Tathiana Garbin erano riuscite a fermare la Spagna di Carla Suarez Navarro con un finale da brivido di Deborah Chiesa contro Lara Arruabarrena. Un piccolo miracolo, frutto della voglia di sudare sangue azzurro. Una grinta che ha salvato l’Italia dallo spareggio per non retrocedere in serie C. Stavolta Sara Errani, Jasmine Paolini, Deborah Chiesa e Jessica Pieri, nel caldo ventoso di Genova, avranno a che fare col Belgio per un playoff che potrebbe riportare l’Italia nell’elite mondiale. Un’impresa complicata ma, come abbiamo visto a Chieti, nulla è scontato in Fed Cup. Tathiana Garbin, capitano delle azzurre sa che Mertens, Van Uytvanck e compagne sono tecnicamente forti e di esperienza, ma nella squadra belga c’è qualche crepa dovuta alle polemiche sul cambio della guida tecnica. Dominique Monami è stata deposta a sorpresa pochi giorni prima di partire per l’Italia. Una vera rivoluzione, a detta dell’ex tennista e capitana belga, voluta da Van Uytvanck e Kirsten Flipkens che si sarebbero ammutinate trascinando le altre, Mertens compresa, a chiedere la testa della Monami. Tutt’altro clima si respira in casa Italia, dove gli allenamenti al Valletta Cambiaso sono intensi, ma sempre conditi dal sorriso. «Siamo un bel gruppo — ha detto il capitano —, e le ragazze tra loro sono molto unite. Sara è il punto di riferimento, è vista come un mito e lei è sempre la prima a creare gruppo e dare una mano o un consiglio». Dopo l’exploit di Chieti la squadra arriva a Genova con animo più leggero, forse meno pressione visto che il compito più arduo, salvarsi dal rischio di sprofondare in C, è stato compiuto: «Le ragazze sanno che il Belgio è una squadra molto forte, ma sono anche consapevoli del loro valore. La vittoria di Chieti ha dimostrato loro che con l’impegno e la voglia di dare tutto si possono ottenere grandi risultati. Magari bastasse solo questo, ma credo che questo gruppo stia crescendo bene e che le più giovani si stiano affacciando al professionismo con lo spirito giusto». Chissà che non sia di buon auspicio l’apertura delle danze ancora una volta affidata dal sorteggio a Jasmine Paolini. L’azzurra ha centrato a Bogotà pochi giorni fa il primo match vinto nel tabellone principale di un torneo Wta, una bella iniezione di fiducia in vista del match con la Mertens che, invece, arriva dalla vittoria del torneo di Lugano domenica scorsa. «Giocare il primo match non mi infastidisce — commenta la Paolini —. Conosco la Mertens dai tempi del circuito junior, è cresciuta tanto, è in un grande periodo di forma, io cercherò di dare il massimo». Seguirà poi il match della Errani con Alison Van Uytvanck, mentre Deborah Chiesa, l’eroina di Chieti, al momento è prevista solo per il doppio di domenica in coppia con Jessica Pieri. Non è detto però che possa essere impiegata a sorpresa come con la Spagna: «Deborah vive questo fine settimana in maniera diversa dall’esordio con la Spagna. Sa che non deve dimostrare niente a nessuno se non a se stessa perché quello che ha fatto resta nella storia». La storia siamo noi.


Thiem affondato, ora c’è Dimitrov (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Il Cannibale contro il playboy, il più grande agonista di sempre contro Mr Incostanza: la semifinale nobile del Master 1000 di Montecarlo se la giocheranno loro, Rafa Nadal e Grigor Dimitrov. Nadal, negli occhi e nelle gambe la furia dei bei tempi, ha cancellato dal campo Dominic Thiem, che dovrebbe essere l’alternativa asburgica al regno di Rafa sulla terra – così vasto che non ci tramonta mai il sole – ma stavolta ha fatto la figura della wiener schnitzel. Letteralmente divorato per i primi 52 minuti (9 game a 0), ha provato a evitare la scorpacciata dell’avversario, ma ha rimediato appena due game. Se la concorrenza è questa, Re Rafa può dormire a lungo sonni tranquilli: «Difficile giocare meglio di cosi», ha ammesso il Number One. Attorno gli è ricresciuta l’aura di invincibilità, è al 90/95 per cento della condizione e oggi giocherà la sua 13° semifinale al Country Club, dove ha già vinto 10 volte: chi può fermarlo? Forse, probabilmente nessuno, ma tocca comunque al bel Grisha provarci. Il bulgaro da parte sua è alla sua prima semifinale monegasca, che si è conquistato battendo il suo compagno di doppio del torneo, David Goffin. Due set sudati, con in mezzo un buco di concentrazione a inizio del secondo, come tradizione della casa. Splendore e agonia, Dimitrov è fatto così. Ormai ha 26 anni ma continua a portarsi dietro l’etichetta del campione incompleto, del “baby Federer” mai davvero cresciuto fino a riempire le aspettative di tutti. Il suo tennis incanta, il carattere latita. A novembre pareva finalmente aver rotto il muro del sonno (tennistico) conquistando il Masters e toccando il numero 3 del ranking (oggi è 5) ma i suoi decolli sono sempre seguiti da atterraggi d’emergenza e lunghe latitanze, gli era già successo nel 2014 dopo la prima semifinale Slam a Wimbledon (ne ha giocata un’altra nel 2107 agli Australian Open). Figlio di un maestro di tennis e di una giocatrice di pallavolo, fisico da supereroe e sorriso da Hollywood, Grisha ama bruciare i coach – Mouratoglou, Rasheed, Norman, Davin, Vallverdu… – e collezionare love story da copertina. È stato conteso da Serena Williams e Maria Sharapova, ora si accompagna a Nicole Scherzinger, la cantante delle Pussycat Dolls ex fidanzata di Lewis Hamilton. Sul rosso di Montecarlo cerca una relazione stabile con le proprie ambizioni, il problema è che per riuscirci deve far girare la testa a Nadal, contro cui ha perso 10 volte su 11 (unico centro nel 2016 sul cemento di Pechino). «Ma l’errore quando giochi con Rafa è proprio preoccuparsi troppo di quello che fa lui», ha spiegato ieri. «L’importante invece è pensare alla struttura del proprio gioco, e a come lo si mette in pratica. Contro Goffin ho giocato meglio, soprattutto con il servizio, sulla terra però tutto può cambiare in un attimo. Certo, il favorito è lui, contro Thiem lo abbiamo visto ancora al suo meglio, ma Rafa non mi spaventa. Sfidarlo è durissimo, eppure sono proprio questi i match che cerco. Mal che vada imparerò una lezione che mi servirà per il resto della carriera». Gli esami, si sa, non finiscono mai. Ma ogni tanto bisogna anche passarli.


Pronte a ritornare nel mondo che conta (Marco Bisacchi, Tuttosport)

Subito Jasmine Paolini contro Elisa Mertens, quindi spazio a Sara Errani di fronte ad Alison Van Uytvanck. Questo l’ordine delle prime due gare che – oggi dalle 13,30 – apriranno la sfida tra Italia e Belgio per accedere alla serie A della Fed Cup (cui l’Italia 4 volte vincitrice manca da due anni), sulla terra rossa di Genova. La nazionale femminile di tennis sogna – dopo la vittoria sulla Spagna – un’altra impresa, visto che le belghe partono coi favori del pronostico. «Forse è meglio giocare per prima, così so anche a che ora toccherà a me – sorride Jasmine Paolini – la Mertens è fortissima, ma ce la metterò tutta. Sono contentissima che la capitana mi abbia dato fiducia, per me l’importante è poter far parte di questo bellissimo gruppo azzurro». Già, la capitana azzurra Tathiana Garbin sa bene di avere a disposizione un gruppo di talento ma che, ad eccezione di Sara Errani, non ha certo esperienza. Il duello tra Jasmine, 22 anni, e la coetanea Mertens sembra quasi una sfida tra Davide e Golia, dando un’occhiata al ranking WTA: la toscana è la numero 145 del mondo, mentre la sua avversaria è al numero 17 e ha appena conquistato il torneo di Lugano. Attenzione pero a pensare già a risultati scontati: la magia della Fed Cup e dei duelli tra nazionali – un po’ come capita anche in Coppa Davis tra gli uomini – è pure quella di riuscire a ribaltare i pronostici. Nell’unico precedente, la Mertens riuscì a battere la Paolini, l’anno scorso ad Istanbul (sempre sulla terra), soltanto al terzo set. «Credo che ci vorranno almeno un paio d’anni per vedere i risultati che ci aspettiamo da queste ragazze – spiega la Garbin – questa è una nazionale molto giovane, con meno esperienza rispetto ad altre squadre. Ma avere meno esperienza vuol dire avere più coraggio. E bisogna crederci sempre. Il Belgio sulla carta è più forte di noi. Ma la maglia azzurra sa dare emozioni e forze che pensi di non avere. Il fattore pubblico, col suo calore, può darci qualcosa in più». Di sicuro Valletta Cambiaso è pronta a stringersi attorno alle azzurre della racchetta. Grande attesa per la veterana Sara Errani, la vera guida della squadra, già vincitrice di questa manifestazione nel 2009, 2010 e 2013. La Van Uytvanck – numero 50 del mondo – è un avversario complicato ma non imbattibile, per la bolognese. «Per me è sempre un orgoglio difendere i colori dell’Italia – spiega Sara Errani – mi piace questa nazionale in cui sono affiancata da tante giovani compagne. Il Belgio è favorito, ma abbiamo le nostre chances». Le avversarie, dal canto loro, non si tirano indietro. «Arriviamo a questo appuntamento in grande stato di forma – dice il neo capitano del Belgio, Ivo Van Aken – ma può succedere di tutto e dobbiamo stare molto attenti, perché sulla terra rossa Sara Errani e le sue compagne possono essere molto pericolose. La Mertens però è in grande crescita, può arrivare tra le prime dieci, mentre la Val Uytvanck gioca un tennis secondo me superiore alla sua classifica attuale».


Quelle torsioni di Nadal che Thiem non sa capire (Gianni Clerici, La Repubblica)

La volta che, un paio di anni fa, Benito Perez Barbadillo mi invitò all’Accademia di Nadal, a Manacor, commisi un errore del quale mi sono reso conto solo oggi, ringraziandolo senza accettare. Avrei domandato allo zio Toni il perché. Un perché non ancora risolto, e che probabilmente non risolverò mai. Una domanda che anche un ottimo tennista quale Dominic Thiem ha mostrato questa mattina di non aver capito, perdendo a causa della miopia nonostante – sempre senza capire – avesse battuto Rafa lo scorso anno. Forse l’aveva capito lo zio, impostando da mancino un destro, quasi fosse uno schermidore dei tempi andati. Forse necessitava un braccio particolare, non soltanto forte, ma in grado di torcersi come nessun altro e, alla fine di quel braccio, una mano insolita, della quale sarebbe bene ottenere la radiografia che ci facesse sapere qualcosa in più. Così come di tutto il gesto, che oggi un giocatore come Thiem ha spesso perso di vista, così come la palla da quel gesto proiettata, un cosiddetto diritto, primo nella storia ad uscire dal centrocampo verso la sua sinistra, o da destra a sinistra, un cosiddetto diritto chiamato – non so se in dialetto o in spagnolo – la “Nadalata”. Contro un giocatore capace di non sbagliare mai – dico mai – qualcosa di non sbagliabile, il povero Thiem è parso una controfigura del Thiem, numero 7 del mondo. Ho raccolto le sue spoglie, sino a esserne stufo, o meglio a provare pena per lui. Primo game, rovescio cross di Rafa, tagliato  meno insolito del diritto, ma anch’esso particolare), 15-0. Rovescio errato di Thiem 30-0. Diritto da destra a sinistra di Nadal 40-0, Nadalata dal centro a sinistra, game. Sono seguiti altri due game di Nadal per 8 punti a 3, e in quella ho smesso di annotare, ricordando il suggerimento del mio amico Tommasi «non è il tuo mestiere, Gianni». Ricordo tuttavia che dall’iniziale 0-6, Thiem si è tratto in qualche modo, arrivando a far suoi, nel secondo, ben 2 games, ottenuti come un pugile sulla soglia del knock-out può ottenerne grazie alla disperazione. Prima di vincere un altro torneo, di portare a un numero superiore le 69 vittorie consecutive, rimane a Rafa una vittoria su Dimitrov vittorioso oggi su Goffin con il quale nel pomeriggio ha fatto coppia in doppio. Un’altra prova che questo sport insegna ad essere per bene più di altri.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement