Un super Berrettini doma Gulbis a Parigi (Vidovich). Parigi è terra azzurra (Crivelli). Fognini può puntare in alto (Bertolucci). Scegliere il rovescio a una mano (Rossi)

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Un super Berrettini doma Gulbis a Parigi (Vidovich). Parigi è terra azzurra (Crivelli). Fognini può puntare in alto (Bertolucci). Scegliere il rovescio a una mano (Rossi)

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Un super Berrettini doma Gulbis a Parigi (Ilvio Vidovich, Giorno-Carlino-Nazione Sport)

Un anno fa solo Fognini raggiunse il terzo turno del Roland Garros dei 9 italiani all’avvio. Stiamo già meglio quest’anno, ancora prima degli odierni duelli Fognini-Ymer (ore 11) e Fabbiano-Coric, perché ieri Cecchinato sull’argentino Trungelliti (61 76 61 1h e 58m) e Berrettini sul lettone Gulbis (62 36 64 63 2h e 45m) hanno ottenuto due convincenti vittorie. Idem Camila Giorgi, 60 63 sulla colombiana Duque Marino. Cecchinato e Giorgi erano favoriti, Berrettini non tanto, un po’ perché è il più giovane dei nostri, 22 anni, e poi perché Gulbis è un cavallo di razza, ex n.10 del mondo, una semifinale qui al Roland Garros nel 2014 quando batté Federer e Berdych. Djokovic ha dominato Munar, mentre Dimitrov, 10-8 al quinto, è stato a 2 punti dal k.o con l’americano Donaldson “incrampato” e costretto a servire dal sotto come Chang con Lendl nell’89. Solo al 5° ha vinto anche Zverev con Lajovic.


Cecchinato-Berrettini, Parigi è terra azzurra (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Polvere di stelle. Sono già passati dieci anni da quando un Gulbis imberbe si palesò a Montecatini per un match di Coppa Davis accompagnato dalla fama di fenomeno abbagliante dentro e fuori dal campo. Tra jet personali, donne meravigliose e follie al casinò, Ernests il bello e dannato ha dato un’interpretazione del tutto personale alla carriera, ma il 10° posto in classifica del 2014, che seguiva di pochi giorni la semifinale raggiunta qui a Parigi, testimonia che il ragazzo si accompagna a un talento per pochi. Oggi, con moglie e figlio a carico e le follie giovanili riposte in un cassetto, il lettone prova l’ennesima resurrezione a quasi 30 anni, l’età in cui ha detto che traccerà un bilancio definitivo. Sceso al numero 160 e approdato in tabellone dalle qualificazioni, resta comunque un avversario complicato per carisma, imprevedibilità e qualità tecniche, soprattutto per chi si è avvicinato da poco al piano superiore. Perciò, tralasciando la classifica attuale, il successo di Berrettini (96 del mondo) merita il calore degli applausi più sentiti. Una vittoria di testa, ecco perché conta sicuramente di più del valore un po’ stinto del rivale: Matteo, nel terzo set, serve sul 5-3 per chiudere il parziale e l’altro gli gioca almeno tre risposte da campione, ottenendo il controbreak. Ma nel game successivo, aiutato anche dal doppio fallo d’acchito di Gulbis, il romano si riprende il maltolto e da lì non si volterà più indietro, verso un 3° turno preziosissimo: «Altre volte non sarei stato capace di reagire, in quegli attimi sono stato bravo a rimanere nel match, e poi a gestire bene il 4° set senza farlo rientrare. Perché ero stanco, mentalmente: ho affrontato un avversario di enorme livello». Piegato con 32 vincenti e lo schema servizio-dritto che è già da top player, in attesa che anche il rovescio, comunque assai migliorato, aumenti di consistenza. Tante volte si sono levati peana per eroi italiani durati lo spazio di un mattino, ma Berrettini ha doti che lo possono portare in alto e a lungo: disposizione al sacrificio, voglia di imparare, un team affiatato guidato da coach Santopadre. Ora il pericolo è solo la fretta di voler arrivare: «Non penso di correre questo rischio, la politica del passo per volta mi ha portato fin qui e sono consapevole di avere un potenziale che va coltivato con calma. E poi durante le partite mi basta guardare Vincenzo (l’allenatore, ndr) per rendermi conto di dove sono partito a 14 anni, alto quasi due metri e magro da spavento e con poche idee su cosa fosse davvero il tennis». È la nuova alba tricolore, che si illumina pure dei freschi successi di Cecchinato, giustiziere della favola del viaggiatore Trungelliti con una prova di sostanza e tre set point annullati d’autorità nel 2° set, concluso da un alterco con arbitro e avversario: «Su una palla buona il primo non ha avuto coraggio di controllare il segno e l’altro non mi ha concesso il punto come sarebbe stato corretto». Poco male, il terzo turno (contro Carreno Busta, numero 11 del mondo) amplia le prospettive di Ceck, proiettato in una dimensione da protagonista: «Adesso so di poter essere competitivo con qualsiasi avversario, compreso lo spagnolo. Ho giocato 2 match da favorito e ho maneggiato bene la pressione, sono maturato a 25 anni. Non è mai troppo tardi»… [SEGUE].


Profondità e cambi di ritmo, Fognini può puntare in alto (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

[…] Un passo alla volta, però, perché per Fabio non tutti i giorni sono uguali e il carattere ombroso non aiuta a capire le altalenanti prestazioni, gli errori e i colpi di genio. Gioca un tennis di livello in un’altalena di emozioni, ma non sempre riesce a gestirle all’interno della partita. Il personaggio cattura proprio per la sua imperfezione, ma non è facile scucirsi di dosso un vestito così ingombrante. Sotto la guida di Davin i progressi sono continui e quando il braccio ritrova la profondità dei colpi oltre ai cambi di ritmo o alle morbide esecuzioni anche i palati più fini vengono accontentati. Ho fiducia in Fabio, nel suo talento e nella sua voglia di scrivere qualcosa di importante.


Ecco l’altra Italia (Daniele Azzolini, Tuttosport)

È la ribellione dei ragazzi che non c’erano, la rivolta dei “senza tennis” di dodici mesi fa, la sollevazione delle nuove leve di cui a lungo si è dubitato. L’Italia che vince al Roland Garros nessuno la conosce, nemmeno gli avversari. Quei ragazzi, semplicemente, non c’erano. Non esistevano. Ma ora sono ai piani alti, e sembra che ci siano sempre stati. Appaiono sicuri dei loro mezzi, certi che vi siano ancora pagine da scrivere, e sono pronti a farlo, rivelando in prima persona che cosa gli sia scattato dentro, e quando, se da un giorno all’altro oppure un po’ alla volta, accumulando esperienze e acido lattico. In due al terzo turno, giunti fin lì senza spintarelle, senza facili promozioni, senza raccomandazioni. Un approdo insperato, che vale da solo un torneo. La Giovane Italia ha messo il cappello sul torneo. In fondo, non ci si chiama Berrettini per caso. Matteo è uno. L’altro è il Ceck, Marco Cecchinato. Navigavano entrambi controvento, ma hanno azzeccato i bordi vincenti, bolinando stretti sul filo dei refoli che ancora una volta hanno smentito i meteorologi, tenendo a distanza le nubi più nere. Cecchinato giocava contro Trungelliti, e fra i due sembrava fosse l’argentino quello con il vento in poppa. Due volte fortunato perdente, meglio perderli che trovarli tipi del genere. Aveva perso al terzo turno delle qualificazioni da un polacco con un cognome da censura, Hurkaz, e se n’era andato in cerca di qualche challenger. Ma il giorno dopo nessuno si è presentato a firmare la lista dei sostituti degli eventuali infortunati, e allora gli organizzatori hanno cominciato a telefonare qui e là. Lui l’hanno trovato a Barcellona. Prima Tomic, poi Gulbis. Non c’è stata partita Neanche nel secondo set, chiuso al tie break: sette punti il nostro, uno appena l’argentino. Ma non si è trattato di una dimostrazione di forza, non è nello stile del Cede. Piuttosto, una lezione di sapienza tennistica. «Mai giocato così bene come nel primo set», dice Marco. Sembrava quasi che sapesse in anticipo che cosa Trungelliti stesse pensando, e dove volesse andare a parare. E gli ha chiuso a doppia mandata tutte le porte. Ora Carreno Busta, numero dieci del seeding. Non è il bel tennista scattante e svelto dell’anno scorso, ma uno ormai da tempo a contatto con i più forti. Forse, il bel percorso di Marco Cecchinato è giunto al termine, comunque si vedrà. Gli stessi pensieri è probabile che stiano sfiorando Matteo Berrettini, che pure il battesimo di fuoco, contro un avversario strampalato finché si vuole, ma di nobile stirpe, l’ha già avuto, e l’ha superato con una forza d’animo che non conoscevamo e che può fornirgli un salvacondotto per le zone alte del nostro sport «Non è mai facile affrontare uno come Emests Gulbis, ha troppi alti e bassi, è dura stargli dietro», dice Matteo. Tipo matto il lettone, lo sapete, a volte disinteressato al tennis, forse perché miliardario di famiglia (il padre è il massimo azionista del gasdotto che viene dalla Siberia) o forse perché troppo condizionato dal suo talento. Uno che tira colpi che sembrano schioppi di spingarda: con il dritto, con il servizio. Uno che mette in soggezione quando gioca bene. E quando non è in gran giornata, ti aspetti da un momento all’altro che ti sbatta in un angolo e prenda in mano il match. Non con Berrettini, pero. Ai colpi di spingarda Matteo ha risposto con bordate di obice, ed è stato bravo a prendere sempre il tempo al lettone testa calda… [SEGUE].


Scegliere il rovescio a una mano, Thiem e i giovani controcorrente (Paolo Rossi, Repubblica)

Entrano in campo solo alle 19, sul campo numero 18: la periferia del Roland Garros. Dominic Thiem e Stefanos Tsitsipas. Suona come uno sgarbo, ma forse non c’è malafede. Si affrontano due ragazzi d’oro, che condividono qualcosa, un gesto tecnico: il rovescio effettuato con una sola mano. Il colpo che ha contraddistinto gente come Laver, e poi Sampras. E oggi Federer e Wawrinka. Il colpo che è stato dato per morto ma che, improvvisamente, viene scelto da qualche Next Gen: Tsitsipas, l’abbiamo detto. E poi Shapovalov. Ma ci sono anche Dimitrov, e Gasquet. E qualche altro meno noto, come Bolelli che ha ottenuto l’applauso da Nadal, l’altro giorno, per le sue accelerazioni. Oggi la maggioranza dei tennisti gioca il rovescio con entrambe le mani, ma ci ricordiamo però i colpi della Navratilova, della Schiavone, della Vinci, della Henin. Bellezza pura. Il campo 18, nonostante fosse una sorta di banlieue del torneo, era strapieno di gente vogliosa di godere le “sbracciate” dell’austriaco e del greco. «Belli da vedere, esteticamente, ma resteranno animali in via di estinzione» dice senza dubbi Davide Sanguinetti, ex azzurro e oggi coach. Come fosse una sorta di evoluzione darwiniana del tennis. Eppure proprio Francesca Schiavone, nel 2010, vinceva Parigi. E tre anni dopo sembrava che il vecchio gioco si stesse risvegliando, con la metà dei giocatori giunti agli ottavi maschili del Roland Garros dotati di rovescio a una mano. Poi neppure uno ha raggiunto le semifinali, e Wimbledon successivamente ha confermato la tendenza: non c’era un solo giocatore nei quarti – femminile e maschile – che usasse il rovescio a una mano. La fine. Craig O’Shannessy, noto analista delle cose tennistiche, ha motivato il declino del colpo più creativo con l’impazienza dell’educazione: «L’obiettivo di vincere fin dalla più tenera età, avere un successo immediato è più importante che persistere con una sola mano, con cui inizialmente si potrebbe non avere lo stesso successo». Un pensiero sposato anche da Dan Weston, che ne aggiunge il rammarico: «Avere due mani sulla racchetta aiuta i bambini prodigio a guadagnare consistenza e puntare alla compattezza. Poiché la parte posteriore della spalla non è forte come quella anteriore, sono necessarie due mani, mentre solo una è necessaria per il dritto. Peccato perché il colpo con una sola mano porta varietà con lo slice, la smorzata e le volée. I pochi che lo usano tendono a raggiungere la cima». Dal 1970 al 1990 oltre il 60% dei vincitori degli Slam usava quel colpo. Negli ultimi dieci anni la tendenza è stata invertita. E se togliessimo Federer la percentuale scenderebbe sotto il 10%. C’è anche una ragione scientifica: lo ha dimostrato anni fa un medico, Jack Groppel. Analizzando la biomeccanica di entrambi gli scatti dei tennisti, concluse che per i colpitori con una sola mano il gioco fosse più difficile da padroneggiare: veniva richiesta maggiore sincronia tra fianchi, gambe, tronco, avambraccio e mano. Per dire, fu il piccolo Djokovic a chiedere al suo primo maestro, Jelena Gengic, di passare al rovescio bimane, perché con una sola si «sentiva debole». Nessuna speranza allora? Non è detto. Proprio il futuro potrebbe venire in soccorso del passato: il governo del tennis (ITF, ATP, WTA) tiene monitorato l’appeal dello sport nel mondo e sembra aver compreso che un eccesso di violenza (intesa come forza e ricerca dei colpi) possa trasformarsi in un boomerang… [SEGUE].


Cecchinato&Berrettini, vola la nouvelle vague (Stefano Semeraro, Secolo XIX)

Premiata ditta Marco&Matteo: Cecchinato e Berrettini, la fetta più vincente della nouvelle vague italiana, sono nei sedicesimi del Roland Garros. Marco il palermitano, 25 anni, n.72 del mondo, ha spento la favola di Trungelliti, il ripescato argentino che si era fatto 10 ore al volante da Barcellona a Parigi, con tanto di nonna 88enne a bordo, per giocare il primo turno al posto di Nick Kyrgios. Contro Tomic ce l’aveva fatta, contro il “Cech”, no: 6-1 7-6 6-1 e a casa (in auto, o magari stavolta in aereo). Per Marco il 2018 è finora un anno fatato: primo titolo ATP a Budapest, l’ingresso fra i primi 60, ora le prime due partite vinte in uno Slam. Nei sedicesimi gli tocca lo spagnolo Carreno-Busta, n.11 del mondo. Altri due azzurri Matteo, romano, 22 anni, n.96 ATP, ha invece respinto in quattro set (6-2 3-6 6-4 6-3) la nobiltà baltica un filo decaduta di Ernests Gulbis. Che non sarà magari più il top 10 di 4 anni fa (oggi è 160), capace di battere due volte Federer, semifinalista a Parigi nel 2008 e nel 2014, ma resta uno scalpo di prestigio che nelle qualificazioni aveva seccato i due azzurri Giannessi e Travaglia: vendetta è fatta… [SEGUE].

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