Focus
Lo psicodramma dell’incontro di tennis: a scuola dai professionisti
Franco Castelli sulla tecnica dello psicodramma applicata al tennis. Rivivere l’esperienza dei momenti difficili della partita, aiuta il giocatore a diventare consapevole delle emozioni in campo, a gestirle e trovare nuove soluzioni utilizzabili in futuro

Questo mese l’articolo della rubrica ISMCA è del medico, psichiatra e psicoterapeuta Franco Castelli. Coach GPTCA e membro ISMCA, docente di scuole di psicoterapia e psicodramma, Castelli allena come mental coach tennisti agonisti utilizzando un metodo psicosomatico direttamente sul campo da gioco.
INTRODUZIONE ALLO PSICODRAMMA – Lo psicodramma è una tecnica inventata da Jacob Levi Moreno ai primi del novecento. Medico, filosofo ed appassionato di teatro, Moreno (Bucarest 1889 – Beacon 1974) pensava che le emozioni, i problemi, le storie racchiuse dentro di noi che ci creano blocchi e difficoltà nel vivere quotidiano, potessero essere raccontate e messe in scena su un palcoscenico rappresentandole in prima persona come fossero un dramma o una commedia. Utilizzando la funzione catartica del teatro, già presente nelle tragedie del teatro greco, attori e spettatori vivono in prima persona drammi e conflitti rappresentati sul palcoscenico come fossero propri e così acquistano consapevolezza, se ne liberano e li risolvono nello spazio scenico del teatro.
Con la tecnica della visualizzazione si immaginano i momenti critici delle partite di tennis e questo aiuta poi, durante la partita, a viverli con meno tensione. Con lo psicodramma rappresento, interpreto e vivo in prima persona il momento critico della partita, rivivendolo sulla mia pelle e così, affrontandolo come fosse vero in un ambiente protetto, cerco di capire cosa mi ha messo in difficoltà e creato tensione e imparo a gestirlo diversamente, trovando un finale diverso alla storia della partita, nello spazio scenico del campo da tennis diventato palcoscenico.
I personaggi dello psicodramma, con l’aiuto del regista-terapeuta, sono scelti direttamente nel gruppo di lavoro dal tennista che racconta la storia della sua partita di tennis e possono essere: il tennista protagonista, l’avversario, il pubblico, il coach, ma anche la rete, la seconda palla di servizio, il match-point che diventano attori in scena con i quali confrontarsi, interagire e rivivere il momento critico della partita in prima persona. Al termine della sezione di psicodramma c’è un momento di restituzione nel quale i partecipanti al gruppo condividono insieme emozioni e vissuti, trovando chiavi nuove di letture e comprensione diretta dei problemi, avendoli vissuti in prima persona nello spazio scenico come esperienza diretta.
RELAZIONE TRA LO PSICODRAMMA E LA PARTITA DI TENNIS – Alcune partite di tennis potrebbero essere lette come storie, narrazioni di duelli tra due combattenti, dove colpi di scena, capovolgimenti di fronte, piccole tragedie, astuzie, possono cambiare il decorso e portare alla vittoria l’uno o l’altro dei due contendenti. Pensiamo a Ettore contro Achille, Ulisse e Polifemo, queste storie potrebbero essere raccontate come fossero delle partite di tennis, dove a volte vince il più forte, a volte il più astuto, a volte quello che sembra più debole, come è accaduto tra Roberta Vinci e Serena Williams all’US Open 2015, che fa rivivere la storia di Davide contro Golia. Pensiamo alla finale degli Internazionali di Roma 2017, dove l’incontro tra Zverev e Djokovic può essere letto come uno scontro generazionale o come l’allievo che batte il maestro. O pensiamo all’epico ed interminabile duello tra Federer e Nadal, che riaccende ogni volta la passione dei tifosi, come l’infinita battaglia tra Atene e Sparta.
Durante l’incontro di tennis accadono drammi, piccole tragedie, resurrezioni insospettate. Dei veri e propri psicodrammi possono essere messi in scena nel campo da tennis, dove il pubblico assiste come ad una commedia, e gli attori-giocatori danno vita a volte a vere proprie sceneggiate, scatti di rabbia e distruttività, vittorie e sconfitte, mai pareggi. È come se in questa dimensione venisse rappresentata l’idea del duello mortale, dove o si vince o si perde, dove o si vive, o si muore e si viene eliminati. Dove non c’è una possibilità intermedia, una via d’uscita che metta d’accordo tutti, una tregua, una pace, è sempre battaglia mortale, guerra all’ultimo sangue, dove chi perde viene eliminato, tagliato fuori dal gioco e non va avanti, non prosegue la propria vita nel torneo. Questa immagine forte pesa sull’incontro di tennis tra i due contendenti, che si stanno giocando il tutto per tutto in quel momento.
Considerare una partita di tennis come uno psicodramma, porta a pensare che i giocatori possono essere visti come attori e l’allenatore, il coach, come regista dello spettacolo, che non entra in scena, ma sta dietro le quinte. Il lungo lavoro di preparazione, le estenuanti prove per mettere in scena lo spettacolo, sono finalizzati al fatto che il suo attore protagonista dia il meglio di sé, che il suo tennista giochi al meglio delle sue capacità la partita.
Ma il nostro regista è regista di una commedia dell’arte, dove non c’è un testo già scritto, predefinito, ma un canovaccio, un canovaccio dal quale poi l’attore improvvisa. Il Canovaccio potrebbe essere inteso come le regole del gioco. La maestria dell’attore potrebbe essere intesa come la capacità tecniche del giocatore. Il teatro potrebbe essere rappresentato dal campo come palcoscenico e dalle tribune come la platea. Ma il tennis, come la commedia dell’arte, è uno sport situazionale, mai uguale a se stesso, dove ogni rappresentazione è diversa l’una dall’altra. Questo obbliga sia l’attore che il giocatore a stare in scena sempre attento a che cosa accade nel campo-palcoscenico, per trovare il modo di inserire una battuta, compiere un movimento inaspettato, esprimere con il corpo, con il gesto tecnico, qualcosa di sorprendente. Il che vuol dire restare sempre attenti a come arriva la palla, a come arriva la battuta dell’altro attore, per poter rispondere subito, sempre con un certo ritmo e in modo adeguato di volta in volta.
ESERCITAZIONI IN CAMPO – Ma come portare tutto questo in campo con esercitazioni o allenamenti da svolgere? Si propongono esercitazioni nelle quali si chiede al tennista di uscire dai propri schemi, diversificandoli e rendendoli flessibili di volta in volta in situazioni diverse utilizzando due modalità, illustrate nel seguito.
1) Cambiare registro. Allenare la flessibilità mentale ed emotiva
L’obiettivo di questi esercizi è allenare l’atleta ai cambi di situazione, ai cambi di vissuti emotivi, ai cambi di tensione presenti in campo durante la partita, ai momenti decisivi dell’incontro nei quali è particolarmente importante riuscire ad essere presenti a sé stessi e ad avere la capacità di modificare il proprio gioco, il proprio atteggiamento in relazione al momento, a cosa viene richiesto in quella fase di gioco.
Dopo le esercitazioni, che vengono proposte direttamente in campo al giocatore o al gruppo di giocatori, si propone una fase di riflessione, dove si analizzano i vissuti emersi durante il lavoro svolto, in modo tale che oltre al vissuto emotivo corporeo, di cui si è fatto esperienza durante l’esercitazione, ci sia anche una fase di mentalizzazione, dove si approfondisce la conoscenza di sé, la consapevolezza dei propri gesti e della capacità di gestire le proprie emozioni nei momenti difficili della partita di tennis, in modo tale da diventare padrone del proprio gioco. Ad esempio si propone all’allievo di giocare alcuni games contro uno sparring partner. Obbligando il nostro giocatore ad alcune condizioni limitanti rispetto l’avversario. Come un restringimento del campo dell’avversario o la possibilità di giocare una sola palla al servizio. Lasciando invece allo sparring la possibilità di giocare utilizzando tutto il campo di gioco del nostro allievo o le due palle di servizio.
Quali sono gli intenti di questa esercitazione? Sono quelli di: a) allenare la capacità di concentrazione, la precisione e profondità dei colpi; b) creare volutamente situazioni stressanti e sentimenti di frustrazione simili a quelli della partita vera; c) suscitare nell’allievo, giocando in condizioni svantaggiate rispetto all’avversario, irritazione, nervosismo, sentimenti di sconforto e svalutazione, tipici dei momenti critici.
A questo punto si chiede al giocatore di esplicitare che cosa prova, che emozioni sta vivendo, qual’è il vissuto personale. Partendo proprio da questi sentimenti negativi, si propone al giocatore di provare a trasformare questo sconforto in un vissuto emotivo differente. Ad esempio gli si chiede di non giocare più sconfortato, ma arrabbiato. Dicendogli: “Adesso non sei più triste e sconfortato. Ora sei arrabbiato. Come un animale ferito che lotta per la sopravvivenza“. Aiutandolo a trovare la postura, l’atteggiamento, lo sguardo che possa esprimere questo sentimento, anche scherzandoci sopra come fosse un gioco delle parti. Per poi in un secondo momento passare alla leggerezza e dirgli: “Adesso gioca come una farfalla. Attraversi il campo volando. Colpisci la palla come un battito d’ali. Per poi tornare a giocare sconfortato e poi magari velocissimo come un ghepardo.”
L’aver sperimentato la modificazione dei propri vissuti in allenamento, passando da uno stato emotivo ad un altro, consente la possibilità di trasformare i propri sentimenti di rabbia e frustrazione, anche nei momenti difficili della partita, in altre sensazioni e atteggiamenti più propositivi e produttivi. Il metodo teatrale ideato da Stanislavskij prevede che l’attore si immedesimi nei diversi personaggi, assumendo come fossero propri i suoi pensieri e atteggiamenti, le sue parole e posture. Tale metodo ha raccolto l’insegnamento dello Psicodramma di Moreno e può essere applicato al tennis, anche perché in questo modo la mentalizzazione e la consapevolezza di sé e del proprio gioco, non diventa un processo pesante e faticoso, ma si acquisisce su campo in una atmosfera ludica, dove sta alla capacità del mental coach la possibilità di alleggerire le dinamiche, utilizzando ironia, fantasia e creatività.
2) Psicodramma dei thriller point della partita di tennis
Cosa sono i thriller point? In analogia con i trigger point, sono quei punti della partita, che se vengono stimolati rievocati, suscitano stati d’animo di tensione, ansia, incertezza, una sorta di suspense come la sensazione di un pericolo imminente, caratterizzata dal timore che possa accadere qualcosa di grave, di negativo, che la palla possa finire in rete, la partita possa finire male.
A livello fisico i thriller point si manifestano con stati di tensione ed eccitazione che pervadono tutto l’organismo, sia mentalmente, sia fisicamente, che alcune volte hanno il potere paralizzante le normali funzioni motorie, facendo regredire in quel momento la motricità del tennista a schemi motori passati e grossolani. Pensate al braccio corto, all’impaccio muscolare che in alcuni momenti critici della partita prende il sopravvento facendo sbagliare al tennista colpi che abitualmente esegue senza problemi.
Per iniziare a mettere in scena lo psicodramma della partita di tennis si parte proprio dai thriller point e si chiede al giocatore di raccontare un episodio nel quale si è trovato in difficoltà durante una partita, o se ci sono situazioni critiche che si ripresentano spesso durante i suoi incontri. Potrebbe essere un tie-break che si è perso, l’essere stato sconfitto da un giocatore di più basso livello, un calo di concentrazione in un momento decisivo dell’incontro, ecc…
Partendo dalla storia raccontata dal giocatore, la si mette in scena, direttamente nel campo da tennis. Il giocatore sceglie i personaggi protagonisti della storia tra i componenti del proprio gruppo di lavoro o staff, aiutato nella scelta dalla figura del coach-regista, e affida loro i diversi ruoli. Quali sono questi ruoli? Si inizia con quello del giocatore stesso, che può essere affidato anche ad un altro membro dello staff con lo scopo di modificare l’abituale punto di vista del giocatore sulla sua partita, come avere la possibilità di vedersi da fuori mentre si sta giocando. L’avversario, che a volte può essere interpretato dal nostro giocatore per dargli la possibilità di entrare nel gioco, nella mente, nella psicologia dell’avversario che ha di fronte, di conoscerlo meglio ed in questo modo capire quali sono i suoi punti forti e quali sono i suoi punti deboli. Il coach, il giudice arbitro, il pubblico, sono altri personaggi che possono entrare in scena. I personaggi possono appartenere anche al mondo di relazione del giocatore, come i genitori, la fidanzata o il fidanzato, lo zio, il primo maestro, il dirigente della federazione, ma anche al mondo interno del paziente, come la sfiducia in se stesso, la paura di vincere, la rabbia per un punto perso. Oppure possono essere oggetti che entrano in gioco durante la partita, come la rete, la palla, racchetta, la linea del campo, che prendono forma ed entrano in scena svolgendo un ruolo a volte decisivo. In questo modo si rappresenta la scena iniziale ed ognuno comincia interpretare la propria parte, vivendola in prima persona come nella realtà. I personaggi in campo interagendo tra loro, spesso reinventano una nuova trama diversa da quella della partita persa e a volte trovano nuove soluzioni, proprio affrontando direttamente i conflitti nel palcoscenico del campo da tennis.
Dopo la messa in scena e alla fine della rappresentazione viene chiesto dal coach-regista una riflessione su quanto accaduto: quali emozioni ha suscitato il rivivere l’episodio, quali i vissuti hanno provato i diversi componenti dello psicodramma, quali sono stati cambiamenti della storia rispetto a quanto era accaduto durante la partita persa. La fase di mentalizzazione aiuta nuove conoscenze di sé, apre nuove possibilità e soluzioni, ma soprattutto l’aver vissuto, nello spazio protetto dello psicodramma, un copione diverso in prima persona come esperienza diretta, diventa un bagaglio personale che nel momento nel quale si presenta la stessa situazione già vissuta nello psicodramma, può essere utilizzato durante la partita vera per uscire da un momento di difficoltà e riprendere in mano il governo della partita guidandolo verso un nuovo finale.
Flash
Roland Garros: Fritz vince e zittisce il pubblico del Suzanne Lenglen. Anche in Francia si diffonde l’indisciplina sugli spalti
Uno scatenato Taylor Fritz, al termine del successo nel 2°T del suo torneo contro il francese Arthur Rinderknech, risponde al pubblico che era andato oltre le righe

Taylor Fritz ha sconfitto Arthur Rinderknech, l’ultimo tennista francese rimasto in gara considerando anche il tabellone femminile, con lo score di 2-6 6-4 6-3 6-4 ed eguagliando così il suo miglior risultato al Roland Garros.
Il giocatore statunitense, alla sua settima partecipazione allo Slam parigino, ha messo in campo il suo solito tennis composto di tante accelerazioni e ritmo elevato per ottenere in 2h50′, quella che per il californiano è stata la 31esima vittoria stagionale.
La nona testa di serie del singolare maschile, avanzata al 3°T dopo il successo sul 27enne di Gassin, adesso incrocerà la racchetta con l’argentino e tds n. 23 Francisco Cerundolo che da par suo ha superato il lucky loser tedesco Yannick Hanfmann per 6-3 6-3 6-4 (uno dei protagonisti della Rivoluzione dei Qualificatati materializzatasi nelle ultime settimane di Tour).
Ma la vera attrazione dell’intera sfida, in verità, non è stata rappresentata tanto dal canovaccio tattico e tecnico della partita, abbastanza lineare con le premesse della vigilia, quanto più da un epilogo scoppiettante sul piano emotivo e decisamente inaspettato. Infatti, al termine del match, sul Suzanne Lenglen è andato in scena un delirio inverecondo.
Il 25enne di San Diego, numero 8 del ranking ATP, è riuscito a venire a capo di uno scontro che l’aveva visto andare inizialmente in svantaggio perdendo il set inaugurale in malo modo, salvo poi portare a compimento la rimonta e centrare l’affermazione finale grazie allo spessore differente in termini di livello complessivo espresso che è stato capace di dimostrare rispetto al rivale. Un compito per nulla semplice sin dai primi scampoli di partita per l’americano, che l’ha costretto a dover far fronte in ogni singolo quindici allo sfrenato tifo del pubblico francese che gremiva le tribune del secondo Court di Porte d’Auteuil.
Un supporto incondizionato per il loro beniamino di casa, e pienamente avverso a colui che chiaramente invece era stato posto nelle vesti del nemico di serata: giocare in trasferta, con un clima tipicamente da Coppa Davis e perdipiù all’interno di un contesto di aficionados della racchetta tra più sciovinisti del panorama mondiale, non è per tutti; c’è chi si esalta in certi ambienti – chiedere per conferma a Lorenzo Sonego – e chi al contrario ne subisce il contraccolpo psicologico. Fritz è stato capace di soffrire in silenzio fino a giungere al tanto agognato momento della rivincita da servire rigorosamente fredda su di un bel vassoio d’argento. Difatti, dopo aver messo a segno il match point ed essersi esibito nella consueta stretta di mano, Taylor ha esultato provocatoriamente mimando il gesto del silenzio attraverso il movimento dell’indice della mano destra per zittire il pubblico transalpino e tra l’altro rivolgendosi – uno ad uno – verso ogni settore del Lenglen.
Dopodiché, non si è minimamente accontentato; anzi ha continuato ad aizzare la folla contro di sé prima invitando gli spalti ad aumentare il decibel del volume che scandiva a ritmo di sonori fischi, per poi rispondere dando ulteriore seguito alla diatriba mandando una serie di baci indirizzati alle tribune a mò dì sfottò.
La situazione, infine, è definitivamente degenerata nel momento in cui – non potendosi sottrarre da tale obbligo – il campione di Indian Wells 2022 ha dovuto presenziare in campo e prestarsi alla classica intervista post gara on-court: a questo punto, sommerso da fischi e anche da alcuni insulti, l’atleta a stelle e strisce dinanzi al microfono e all’evidente imbarazzo – accompagnato da altrettanto sconcerto – dell’intervistatrice Marion Bartoli ha nuovamente portato l’indice della mano verso la bocca rimanendo immobile e decidendo di non proferire alcuna parola sotto la coltre di sibili ingiuriosi nei propri riguardi.
La vicenda si è conclusa con, da un lato lo sguardo seccato e di disapprovazione per tutto quello che stava accadendo – e per una situazione irreale che si è protratta ancora per diversi minuiti – della vincitrice di Wimbledon 2013, e dall’altro con un Fritz che ha ribattuto agli applausi ironici dei francesi sulla stessa linea d’onda mediante un’affermazione che mai come in questo caso appare irriverente e del tutto depauperata del suo significato originario: “Vi amo“.
Editoriali del Direttore
Roland Garros: il knock down di Sinner non è un k.o. Si rialzerà. Basta non chiedergli troppo. E che non se lo chieda neppure lui
Settantacinque errori gratuiti con Altmaier fanno credere più a una eccezionale giornata negativa che a una regola. Nonostante il brutto ricordo di Cerundolo. Preoccupano maggiormente le difficoltà d’ordine tecnico e l’assenza del piano B

Ma allora quanto accaduto a Roma con Cerundolo non è stato un caso? Di certo la delusione procurataci dalla sconfitta di Jannik Sinner con il tedesco Altmaier, n.79 del mondo, è stata cocente.
Se Jannik avesse trasformato quel matchpoint, dei due avuti, in cui “Se potessi rigiocarmi il punto smeccerei dall’altra parte…”, e poi Altmaier è stato certamente fortunato a passare Jannik a rete con l’aiuto di un nastro beffardo…non avrei certo scritto che Jannik aveva giocato bene, e nemmeno che aveva dimostrato carattere uscendo vittorioso da un confronto con un avversario molto tosto e ieri molto ispirato. Perché la sua partita sarebbe rimasta comunque brutta. Certo non da meritare iperboli elogiative.
Settantacinque errori gratuiti non è roba da Sinner. Neppure se la terra rossa non è notoriamente la superficie sulla quale Jannik si esprime meglio –e tuttavia a Montecarlo aveva raggiunto la semifinale e perso di misura con Rune – , neppure se queste palle che diventano pesanti e grandi come gatti arrotolati certamente non si adattano al suo tipo di tennis basato sulla spinta progressiva dei suoi fondamentali.
Ora che ha perso un match maratona di 5 ore e 26 minuti, fallendo 15 pallebreak delle 21 conquistate per aver giocato troppi punti con il freno a mano tirato; ora che aveva recuperato il break di svantaggio nel quinto set proprio quando Altmaier serviva per il match e si era fatto però subito strappare nuovamente il servizio andando sotto 0-40; ora che aveva annullato anche i tre matchpoint consecutivi sul 6-5 40-0…per giocarsi malissimo le ultime tre pallebreak conquistate grazie al “braccino” che si era finalmente impadronito del tedesco, beh di maramaldeggiare infierendo su Sinner proprio non mi va. Io non credo che siamo di fronte a un k.o. che farà di Sinner un pugile suonato e irrecuperabile. Semmai un doloroso knock-down.
Vedo dai primi commenti inviati dai lettori di Ubitennis che tanti invece infieriscono, sottolineando l’illusorietà dedle aspirazioni dei fans di Sinner che gli attribuivano e ancora forse gli attribuiscono doti simili a quelle di Alcaraz Rune e prospettive di un Sinner campione Slam.
Tutte queste aspettative, dei suoi fan ma un po’ anche di noi tutti troppo a lungo a digiuno di campioni indigeni, hanno certamente pesato massicciamente sulle spalle di Jannik, irriconoscibile a Roma con Cerundolo e anche ieri con Altmaier.
Irriconoscibile non tanto perché abbia perso un match nel quale è stato a un centimetro dalla vittoria, ma perché ha subito quasi sempre il tennis giocato dal suo avversario. Nemmeno Altmaier fosse un Djokovic, un Alcaraz, uno Tsitsipas.
Allora adesso c’è chi parla di crisi di fiducia, chi di presunzione (di lui per primo quando si è sbilanciato nel ritenersi capace di centrare uno Slam quando per ora non ha ancora vinto un 1000, diversamente da Alcaraz e Rune), chi di fragilità mentale e invoca un mental coach ad hoc, quando fino a uno o due anni fa tutti magnificavano la sua testa forte e irriducibile, i suoi nervi a prova di bomba, il suo coraggio. E naturalmente c’è chi accusa il suo team allargato (Vagnozzi più Cahill) che lo confonderebbe e pretenderebbe il licenziamento in tronco di Vagnozzi…esattamente come quando qualche mese fa per le sconfitte in serie di Musetti c’erano i social che chiedevano la testa del bravo Tartarini.
Insomma sono tutte storie già vissute. Non leggo il norvegese – sorry! – ma mi chiedo quanti articoli saranno stati scritti sui giornali di Oslo, Trondheim e zone limitrofe ben ghiacciate, per dirne di tutti i colori su Casper Ruud che non vinceva più una partita. Anche Tsitsipas non ha sempre brillato, quest’anno. E i miei studi di greco al Classico non mi hanno aiutato a leggere che cosa ha scritto la stampa di Atene (oltre che di Sparta e Micene…).
Il disappunto per il k.o. parigino è cresciuto in modo esponenziale sia per come il k.o. è venuto, sia per la grande occasione mancata da Jannik in uno Slam in cui sembrava essersi spianata un po’ la strada verso le semifinali a seguito della sconfitta di Medvedev con Thiago Seyboth Wild.
Nessuno dei giocatori laggiù nel quarto basso del tabellone pareva essere irresistibile per un Sinner capace di esprimersi sui livelli di Montecarlo.
Sono i paragoni con i fenomeni di una volta, Nadal, Federer, Djokovic, a condurci sulla cattiva strada. Quella è gente che ha vinto 64 Slam, non uno solo come Alcaraz o come Medvedev, oppure nessuno come Tsitsipas e Rune. Quelli monopolizzavano 3 posti su 4 in tutti gli Slam, e i soli che riuscivano ogni tanto, ma proprio ogni tanto, a far sentire la loro voce erano i Murray e i Wawrinka.
Io non so se Sinner vincerà mai uno Slam, ma so che non l’avrebbe mai vinto se fosse capitato nell’era dei Fab Four, mentre oggi può capitare che il n.1 del mondo Alcaraz perda da un qualificato ungherese non compreso fra i primi 200 del mondo, che il n.4 ATP Ruud perda da Arnaldi che sta lottando per entrare fra i primi 100. E via dicendo.
E quindi può anche capitare che – come è successo improvvisamente a Camila Giorgi a un open del Canada – che pur senza avere il grandissimo talento dei “fenomeni” un giocatore come Sinner possa prima o poi indovinare tutta una serie di partite consecutive come gli è successo fra Indian Wells, Miami e Montecarlo e quindi vincere un grande torneo.
Tutto sta nel non dare per scontato che debba accadere, così come non si può escludere che accada. Perché oggi i fenomeni non ci sono più e chi li sostituirà in cima alle classifiche ATP, non sarà mai come loro.
Sinner non sarà mai un campione di quella portata, ma non è neppure un tennista così modesto che non potrà mai infilare una sequenza giusta un bel giorno e una bella settimana (o due) per vincere un grande torneo.
Se è n.5 nella race significa che una certa continuità ad alto livello è stato capace di tenerla. Non ha e non avrà mai l’eleganza stilistica di Roger, la intensità di Rafa, la determinazione di Nole, il talento straordinario di quei tre, ma con i giocatori con cui dovrà misurarsi da oggi in poi – sebbene sia Alcaraz sia Rune possano vantare un talento naturale oggettivamente diverso – Sinner potrà vincere prima o poi tornei importanti continuando anche a perdere partite da giocatori di classifica molto inferiore.
Ai tre fenomeni non succedeva. A Sinner succederà ancora. Potrebbe succedergli per esempio ancora a Wimbledon, e tocco ferro. Ma non è che per un solo torneo in cui se l’è cavata bene, adesso dobbiamo considerarlo un “erbivoro” e aspettarsi chissà che cosa.
Forse gli succederà un po’ meno quando né lui né il suo team eccederanno nelle aspettative, mettendosi tanta inutile pressione addosso. Questa non gioverà mai.
A un certo punto della sua carriera, fra i 23 e i 26 anni, Jannik e il suo team si renderanno meglio conto dei propri pregi e difetti. Lavoreranno sodo, perché Jannik di sicuro non demorderà, per correggere i difetti più macroscopici. E certamente lui migliorerà e ne conseguiranno risultati sempre migliori. Però non vivrà più come un dramma insormontabile una cattiva giornata. E magari imparerà anche a dotarsi di un piano B, che ieri non si è proprio vista. A differenza di Camila Giorgi che si è sempre intestardita a negare la necessità di studiare il famoso piano B (“Io devo fare il mio gioco, le altre non contano”) Jannik è consapevole del fatto che non si può giocare sempre allo stesso modo. Soprattutto contro chiunque. Che abbia un tennis di un tipo oppure di un altro.
Ieri mi è dispiaciuto vedere un Sinner poco reattivo, piatto, a tratti rassegnato a scontrarsi con l’aria del perdente a una giornata no, come se non si potesse reagire, come se quella situazione negativa lo schiacciasse in modo insuperabile, irrovesciabile.
Ecco i tre fenomeni erano anche campioni di (legittima) presunzione: erano convinti di poter sempre rovesciare una situazione negativa, e quella fiducia quasi sempre pagava.
Non erano mai rassegnati. Erano sempre irriducibili. “In tennis is never over until is over” è un detto che si sono sempre detti tutti i campioni per evitare di arrendersi.
Jannik non si arreso nemmeno ieri, tant’è che è risalito fino al 5 pari del quinto e dopo 5 ore di gioco insufficiente, però non aveva l’aria di crederci davvero, appariva perennemente in preda alla sconforto.
Ha pesanti limiti tecnici? Beh, forse non così pesanti se è arrivato a giocare alla pari per ore e ore con Alcaraz (all’US open, a Wimbledon e non solo), con Medvedev alle ATP Finals di Torino 2021, anche con Nadal per due set qui a Parigi.
Deve continuare a credere in se stesso, senza farsi influenzare dai critici del divano e delle tastiere social. Cercando di avvicinare il più possibile chi migliore di lui, senza sbilanciarsi in proclami avventurati.
E per quanto riguarda noi italiani,anziché gettargli la croce addosso ad ogni brutta sconfitta – e questa con Altmaier come quella con Cerundolo è stata certamente una brutta e inattesa sconfitta – cerchiamo di non dimenticare che per 40 anni non abbiamo avuto un top-ten e che Jannik lo è, e probabilmente lo sarà a lungo. Anche se magari ogni tanto ne uscirà e poi ci rientrerà. E non dimentichiamo che insieme a lui abbiamo altri due top-20 in Musetti e Berrettini, come possono vantare nel mondo solo gli USA e la Russia, con un bacino demografico molto più ampio.
Sinner al momento è in piena corsa per ritrovarsi alle ATP Finals di Torino fra i Magnifici Otto. Non roviniamoci tutto quel che abbiamo, per il gusto dell’autoflagellazione tipicamente italiana.
Qui a Parigi abbiamo, ad oggi, quattro tennisti ancora in gara al terzo turno, Musetti (che ha un ostacolo duro in Norrie), Sonego (che ha Rublev), Fognini che ha Ofner, e domani la Cocciaretto che può farcela con l’americana Pera da lei battuta nell’ultimo duello a Hobart in Tasmania,a gennaio.
I francesi che hanno una federazione con un migliaio di dipendenti e che dal Ronald Garros traggono profitti dieci volte quelli di Roma, da anni non vincono più nulla, non hanno un tennista maschio fra i primi 40 del mondo – anzi Humbert è proprio n.40 – e poi c’è Mannarino che è n. 47, ma ha 34 anni e il terzo è Gasquet, n.52 che di anni ne ha 36.
Come già nel 2021 al Roland Garros non c’è nemmeno un tennista francese fra uomini e donne – ed erano in 28 al via nei due tabelloni di singolare – che sia approdato al terzo turno.
Io ho visto giocare assai bene sia Arnaldi, contro Shapovalov, sia Zeppieri contro Ruud. E di ragazzi come loro, fra i 20 azzurri compresi fra i primi 200 ATP, ce ne sono diversi. Smettiamola allora di lamentarci, anche se Sinner ci ha un po’ tradito. Ma solo un po’, perché non dimentichiamo che prima di lui nessun aveva giocato tre semifinali di fila in un Masters 1000. Nemmeno Adriano Panatta.
Intanto fra le teste di serie saltate non c’è solo Sinner n.8. Jannik è in buona compagnia con altre 29 “vittime”, fra cui 5 top-10 (Medvedev, Sinner, Aliassime, Garcia e Sakkari)i:
tabellone maschile:
PRIMO TURNO
2 Medvedev ( Seyboth Wild)
10 Aliassime ( Fognini)
20 Evans ( Kokkinakis)
25 Van De Zandschulp ( Tirante)
30 Shelton ( Sonego)
31 Kecmanovic ( Vavassori)
32 Zapata Miralles (Schwartzman)
SECONDO TURNO
8 Sinner (Altmaier)
16 Paul (Jarry)
18 de Minaur (Etcheverry)
19 Bautista Agut (Varillas)
24 Korda ( Ofner)
tabellone femminile
PRIMO TURNO
8 Sakkari ( Muchova)
12 Bencic (Avanesyan)
13 Krejicikova (Tsurenko)
16 Pliskova ( Stephens)
18 Azarenka ( Andreescu)
21 Linette ( Fernandez)
25 Kalinina (Parry)
26 Trevisan (Svitolina)
29 Zhang (Frech)
30 Cirstea (Paolini)
31 Bouzkova (Wang)
32 Rogers (Martic)
SECONDO TURNO:
5 Garcia (Blinkova)
15 Samsonova (Pavlyuchenkova)
17 Ostapenko (Stearns)
19 Zheng ( Putintseva)
20 Keys (Day)
22 Vekic (Pera)
Flash
Roland Garros, da “Sprofondo rosso” a “La felicità perduta del giovane Jannik”: così i media italiani sul ko di Sinner
Vi proponiamo un resoconto di come alcuni dei principali quotidiani sportivi italiani hanno accolto e commentato l’eliminazione da Parigi di Jannik Sinner

Ecco di seguito una sequenza delle principali firme del giornalismo tennistico “nostrano”, in merito alla precoce eliminazione di Jannik Sinner dal Roland Garros 2023: giunta già al 2°T del torneo per mano del tedesco monomane Daniel Altmaier, per 7-5 al quinto set al termine di 5ore e 26minuti di grande battaglia agonistica con tanto di 2 match point non sfruttati.
Quello che è stato definito il Knock Down del n. 1 d’Italia, e tds n. 8 del tabellone parigino, dal Direttore di Ubitennis Ubaldo Scanagatta; è stato invece accolto e commentato nelle modalità sotto riportate da alcune delle più importanti testate sportive azzurre.
Vi proponiamo alcuni degli stralci più interessanti.
Per Riccardo Crivelli della Gazzetta dello Sport l’inaspettata uscita di scena dell’altoatesino, che ad onor di ranking avrebbe dovuto spingersi – quantomeno – sino ai quarti di finale del secondo Slam dell’anno senza neppure considerare nell’analisi che la forza del seeding più alta in quello spicchio di draw aveva abbandonato – anche lui – anzitempo la manifestazione, viene perfettamente raffigurata dall’immagine di una: “Terra bruciata. Come l’ambizione di spingersi fin verso il paradiso in quello spicchio di tabellone repentinamente orfano di Medvedev, il re di Roma. E invece la maledizione del pronostico colpisce ancora, inesorabile: quando l’orizzonte s’allarga, Sinner si restringe. Che botta, la sconfitta contro Altmaier, tedesco n. 79 Atp. Un capitombolo inatteso, che fa rumore, perché rischia di oscurare il cammino oggettivamente brillante che Jannik aveva tenuto da tre mesi a questa parte e che, abbinato al ko di Roma contro un altro avversario non irresistibile come Cerundolo, può instillare crepe pericolose nella delicata e continua ricerca dell’equilibrio perfetto“.
Gli obbiettivi personali non direttamente proporzionali alla realtà dei fatti
“Alla vigilia dello Slam parigino, la Volpe Rossa aveva rivelato con sincerità gli obiettivi di un ragazzo di 21 anni che ha già avvicinato le vette più alte del suo sport. Una visione lucida e coerente, che tuttavia continua a cozzare con la realtà quando il livello della pressione si alza e richiede un ultimo salto di qualità mentale e tecnico. Perché lo Jannik che entra sul Lenglen da favorito in una partita che dovrebbe rappresentare solo una tappa di avvicinamento alla seconda settimana, è in realtà un drago dalle ali tarpate, con il braccio bloccato dalla tensione, che si tiene a galla con il servizio ma non riesce mai a incidere davvero con l’aggressione da fondo campo, senza mai cercare altre strade tattiche per staccarsi definitivamente di dosso un rivale tignoso, bravo e diligente ad applicare suoi schemi di disinnesco delle armi azzurre, giocando il dritto con traiettorie più alte per non dare ritmo e il rovescio al centro per togliere angoli“.
Per Paolo Bertolucci, ex n. 6 del mondo ma anche Capitano di Coppa Davis dal 1997 al 2000 e apprezzata firma della Gazzetta, questo imprevisto sul cammino di Sinner nel Major rosso deve inevitabilmente portare alla luce legittimi dubbi sulla tenuta sottopressione del 21enne di San Candido vestendo uno status massimale negli equilibri del Tour.
“Non c’è dubbio che la sconfitta di Sinner al secondo turno del Roland Garros rappresenti una cocentissima delusione, certamente inattesa. Una battuta d’arresto che allunga ombre insidiose sulle qualità ad altissimo livello dell’altoatesino, piombato in un’improvvisa, piccola crisi dopo tre mesi di grandissimo spessore tecnico. Mentre nella parte alta del tabellone si ritrovano a battagliare Alcaraz, Djokovic, Tsitsipas e Rublev, nello spicchio occupato dall’azzurro la repentina eliminazione di Medvedev aveva spalancato un’autostrada verso gli appuntamenti nobilissimi del tabellone, con il solido ma non certo irresistibile Ruud e il terribile ma ancora incostante Rune come punti di riferimento e unici due giocatori con classifica migliore rispetto a Jannik. Se a Roma si poteva mettere in preventivo la tensione derivante dall’enorme attesa che il torneo e il pubblico riponevano su di lui, la sconfitta di Parigi è apparentemente senza motivazioni. Evidentemente, le aspettative montate dopo l’eliminazione di Medvedev hanno finito per svuotare il serbatoio mentale di Sinner, che fin dall’inizio del match contro Altmaier è sembrato fuori fase, bloccato, senza spinta sulla palla e perdi più in condizioni atletiche rivedibili. E così anche quelle che sono state le certezze che lo hanno accompagnato in questi mesi hanno finito per abbandonarlo: basti pensare al rovescio incrociato, per solito una sentenza e invece stavolta giocato sempre senza mordente”.
I limiti tecnici e tattici di un salto di qualità che stenta a decollare
Per Daniele Azzolini di Tuttosport le esternazioni emotive a fine partita esemplificano alla perfezione il vissuto dei due protagonisti nella sfida parigina, ma più in generale nella loro carriera: “Piange chi vince, e non è Sinner. Si chiama Daniel Altmaier ed è la prima volta che ottiene dal tennis qualcosa da ricordare, da raccontare, di cui, magari, vantarsi. Ha 24 anni, tedesco di Kempen, un paesino della Vestfalia, famosa per il trattato di pace che pose fine alla guerra dei trent’anni, e ora che ha vinto per una volta contro uno dei più forti, è lui a non trovare pace. Si blocca davanti al microfono e non smette di piangere. Ne avrebbe di cose da raccontare, di speranze inseguite e mai raggiunte, di tennis giocato e vissuto in periferia. Ha vinto con la volontà e un po’ di fortuna, ma anche con intelligenza, scegliendo momenti e modi per colpire. […] Avrebbe di che piangere anche Jannik Sinner, ma non lo fa, non ci riesce, ha consumato sudore e lacrime in un match senza senso, costruito per durare troppo a lungo, per generare stress dal nulla e andare a parare non si sa dove. È furioso, con se stesso e con il tennis, sport ingrato se ce n’è uno. Aveva vinto, in fondo. l primi due match point dell’incontro erano a suo favore, bastava coglierne uno e andare in terzo turno, rispettando il pronostico e conservando intatte le possibilità di sfruttare a dovere un tabellone che la sconfitta di Medvedev ha aperto a qualsiasi ipotesi. E Jannik sa bene di rappresentare, da qui al futuro, ben più di un’ipotesi. Si sarebbe scritto, beh, match bruttino, oltre modo sofferto, ma in fondo vinto, come nell’arco di uno Slam succede a tutti i finalisti. Ma le crisi vanno sapute superare, e Sinner c’è rimasto avviluppato dentro.
Come impregnarsi di felicità?
Per Vincenzo Martucci del Messaggero è una “Maratona Crudele” quella a cui è andato incontro Jannik, e che purtroppo lo esporrà a dover subire la consueta ondata di lapidarie opinioni delle cosiddette ‘bestie da social’ – quando non si degenera nell’insulto gratuito, situazione che ahi noi è piuttosto frequente – che lo dipingono come uno che in verità non possiede le stigmate del campione tanto decantate dai cantori del Pel di Carota e del suo sicuro avvenire ai massimi livelli del tennis mondiale.
“Adesso vaglielo a spiegare ai leoni da tastiera dei social che il numero 9 del mondo può perdere contro il 79, e subire a Parigi un’altra delusione dopo quella di Roma. Senza per questo dover passare sotto le Forche Caudine della vergogna ed essere targato a vita come un bluff. Jannik Sinner che ad appena 21 anni può inciampare al secondo ostacolo del Major più complicato contro il tedesco Daniel Altmaier che con coach Alberto Mancini sta imparando la regolarità da affiancare a rovescio e servizio di prima categoria”.