Rassegna a cura di Daniele Flavi
Il rinato Djokovic punta su New York
Gaia Piccardi, il corriere della sera del 27.08.2018
Little Italy è cresciuta, conquistando i quartieri di New York. Otto azzurri al via (due, Fognini e Cecchinato, testi di serie) nel tabellone dell’Open Usa non sono più singoli, sono un movimento. Rafa Nadal prova a sbancare perla quarta volta e l’eterno maestro Roger Federer tenta di annettersi dopo un digiuno americano che dura dal 2008 (i due rivali sono n. 1 e n. seeding: può incontrarsi solo in Finale), macchie d’azzurro colorano l’ultimo Slam della stagione, che ne decreterà il dominatore: il niño trionfatore per l’undicesima volta a Parigi, Federer re di Melbourne e poi improvvisamente vecchio a Wimbledon oppure Novak Djokovic, resuscitato dallo splendore dell’erba di Londra e gestito di centrare a Cincinnati l ‘ ultimo dei 9 tornei Master l000 che gli mancava? Sempre più ricco (53 milioni di di di montepremi, record, ai vincitori ne andranno 3.800.000), rumoroso, affollato, puzzolente di hot dog e pop corn al burro, l’Open Usa si scatta oggi con la ragionevole certezza che, ancora una volta, non sarà un prossimo il tuo nome nell’albo d’oro a meno che Sasha Zverev, il gigante tedesco che sul più bello si squaglia, non tragga vantaggio immediato dalla vicinanza di Ivan Lendl, chiamato al capezzale del virgulto che non sboccia dopo aver condotto Andy Murray (presente, tra l’altro, pur con anca sbilenca) a tre titoli Slam. Piccola Italia, dunque, manda subito in campo l’anziano Lorenzi (ottavi nel 2017, oggi schianto contro Edmund), l’acaro Seppi (con Querrey), il fortunato perdente Sonego (con Muller) e mister Berrettini, il prospetto più interessante del nostro tennis, alla prima presenza nel tabellone di New York, suo quarto maggiore consecutivo. II 22enne romano, che a Gstaad lo scorso luglio si è regalato il primo titolo Atp, trova lo yankee Kudla e poi, mannaggia, Del Potro. Domani debutto per Fognini (testa di serie n. 14, con il Next Gen made in Usa Mmoh), che deve cancellare la pessima figura dell’anno scorso, quando fu espulso dall’Us Open per insulti sessisti alla giudice di sedia, Cecchinato ( 22 con il semi-ritirato Benneteau), ho qualificato Travaglia e Gaio. L’unica azzurra in tabellone, Camila Giorgi riduci dai quarti a Wimbledon, passa oggi attraverso le forche caudine della 16enne americana Whitney Osuigwe, papà nigeriano (che la allena). Federer in rotta di collisione con Djokovic nei quarti fa temere il peggio alla setta di fedelissimi, Nadal viaggia sereno in autostrada fino alla possibile rivincita con lo struzzo Anderson, finalista 2oi7 a sorpresa e quest’anno a Wimbledon, come si dice: «A this Us Open non esistono favoriti ….». Sarà, però, l’inerzia presa dal Djoker ritrovato, 2011 e cinque volte finalista, fa paura: «Essere tornato a vincere è una bellissima bellezza» dice il serbo che apre la campagna newyorkese contro l’ungherese Fucsovics. E poi c’è lei, la più pantera di tutte, Serena Williams. Inguainata in un tutù disegnato dallo stilista Virgilio Abloh (chissà perché a New York bisogna sempre vestirsi da carnevale), Serenona cerca la vera se stessa dopo maternità, depressione, scoramenti vari. La trovasse, significherebbe 24 ° Slam.
Us Open, cinquant’anni dopo Ashe
Stefano Semeraro, la stampa del 27.08.2018
Arthur era un caro amico, << scherza spesso insieme in doppio >>, dice Tom Okker, mentre uno Schiphol aspetta di imbarcarsi sul volo che lo porterà a New York. «Dall’esterno gli arrivavano mille richieste, era sotto pressione, ma lui ha badare a giocare a tennis: perché solo vincere in campo sarebbe stato credibile fuori». Okker, l’olandese volante, oggi ha 74 anni. È stato numero 3 del mondo nel 1974 e numero 1 in doppio nel 1969. Contro il suo amico Ashe perse in cinque set la finale degli Us Open del 1968: la prima apertura ai professionisti, la prima di uno Slam vinta da un tennista di colore . Althea Gibson dodici anni prima, l’impresa di Arturo, che nel 1975 sarebbe diventato anche il primo nero a vincere il torneo di Wimbledon, capitò però in un anno particolare. La lettera di Martin Luther King Sette mesi prima di battere Okker a Forest Hills, con l’America incendiata dalle lotte studentesche e dagli scontri razziali, come aveva ricevuto una lettera da Martin Luther King. «La tua eccellenza nel mondo dello sport – ha scritto – ti conferisce una responsabilità e un’autorità ancora maggiori». Ashe era nata nel 1943 a Richmond, figlio di un poliziotto discendente da uno schiavo di Samuel Ashe, il primo governatore della Virginia. Walter, l’ex allenatore della Gibson, gli raccomandò: «Fra i ragazzi che ci sono da soli: tu chiama dentro tutte le palle che cadono a 10 centimetri dalla riga: perderai qualche partita, ma eviterai di farti osi del negro ladro di punti ». Nel clima torrido della metà degli anni 60 Arthur si era spesso rammaricato di non essere «in strada con gli altri, davanti agli idranti e alle pallottole della polizia». E anni dopo, da instancabile attivista dei diritti umani, gli capitò anche di essere arrestato. Ma in quel mese del 68la sua battaglia la vinse in campo. Morto di AIDS nel 1993 «Arthur era stato il primo nero a mettere piede al River Oaks Tennis Club di Houston, in Texas – ricorda Okker, figlio di un ebreo perseguitato dai nazisti -. E a quei tempi vecchi dei circoli, in America, dove un ebreo non poteva entrare. La finale la giocammo di lunedì, una causa della pioggia, con lo stadio mezzo vuoto. L’erba di Forest Hills (il torneo ha traslocato sul cemento di Flushing Meadows nel 1978, ndr) era pessima, i rimbalzi irregolari, togliere il servizio ad Arthur non era facile. Giocai un bel match, ma sempre indietro nel punteggio ». Dopo la finale Ashe telefonò a suo fratello Johnnie, che tornava da due anni in Vietnam con i Marines. «Ce l’hai fatta, fratello» gli disse Johnnie. «Ora sono un campione – Arthur Arthur – e la gente deve darmi retta». I meriti del Duca nero del tennis sono molti. «Nel 1971 io, lui, Riessen e Pasarell giocammo una serie di esibizioni in Africa – racconta Okker -. Ogni sera una città, i campi erano orribili, con ogni illuminazione, un passo passo schiacciavi un insetto. A Yaoundé, in Camerun, Arthur scambia qualche palla e regalò una racchetta a un giovane raccattapalle: si chiamava Yannick Noah ». Ashe è morto di AIDS nel 1993, infettato da una trasfusione di sangue durante un intervento chirurgico, il Centrale di Flushing Meadows dal 1997 porta il suo nome. È il miglior giovane americano in gara da oggi a noi Open è Frances Tiafoe, 20enne di colore, figlio di un carpentiere della Sierra Leone, che da ragazzino si fa affidamento alla racchetta dagli amici bianchi. È nero anche il canadese Felix Augier-Aliassime, 17 anni, il primo millennio a giocare in tabellone in uno Slam. Chissà se sa chi era Arthur Ashe.
L’America vuole Roger
Daniele Azzolini, tuttosport del 27.08.2018
Sostenere che Novak Djokovic è il preferito di Flushing Meadows è un obbligo, non un atto d’amore. Chi è un Wimbledon e il mese dopo conquista il primo Career Golden Masters, annettendo Cincinnati fra i 30 “Super Series” già vinti in passato, si pone da solo in testa al gruppo, piaccia o meno alla concorrenza e agli appassionati. Nadal, che non ha vinto Wimbledon ha fatto da padrone il torneo di Toronto, è ovviamente secondo. Federer, che ha buttato via i Campionati sul match point contro Anderson, poi ha giocato in modo orribile (sua la definizione) il finale di Cincinnati, è per forza di cose al terzo posto. Fin qui, tutto logico. Ma i desideri degli appassionati di tennis si fanno beffe della logica, le loro attenzioni si concentrano su Federer, Passano poi a Nadal e prima di giungere a Djokovic si rivolgono un film di successo, su Sascha Zverev che si è messo nelle mani di Ivan Lendl e su Stefanos Tsistsipas, già Next Champ più che Next Gen; indagano sullo stato mentale di Kyrgios e sui propositi di Isner (siamo in America, in fondo). Bene, questo è solo un soletto. Cosi, il passatempo della vigilia (si comincia oggi, 2 il ranking Atp attuale dello svizzero 11 n.7 è sempre il suo grande rivale Nodal. Djokovic occupa il n.6 1 () gli anni trascorsi dall’ultimo successo di Federer agli Us Open che risale al 2008 20 i titoli vinti dal campione Elevetico nei tornei del Grneo Slam alle 17 italiane) è chiaro che cosa passi per la testa di Federer, e non è facile davvero. Ha recuperato Ljubicic, che un Cincy non c’era, e questo sembra avergli portato in dote un pizzico di entusiasmo in più. Ma giungono ugualmente segnali contrastanti, e almeno due di questi si portano avanti inevitabili. Intanto si è noto che gli Open – che Roger ha vinto per cinque anni di seguito, dal 2004 al 2008 – erano al centro della sua stagione, cosa vieni i Campionati lo erano stati l’anno scorso. Lo dice lui, dunque non si può fare altro che credergli. «Tornare un vincere qui dopo dieci anni, significherebbe il mondo per me», ha fatto sapere con un’espressione insolita ma non priva di garbo. «Quest’anno ho fatto diverse diverse rispetto a un anno fa. Ho giocato da solo Cincinnati ed essere andato nel finale è comunque un ottimo risultato. La finale non è stata buona, ma nel grande schema delle cose non posso dire di non essere soddisfatto ». Eppure, la sicurezza con cui Djokovic ha tenuto gli scambi a Cincy, è l’errore tattico commesso da Federer che ha tentato di rompere l’avversario, invece di indurlo all’errore, gli hanno messo di traverso la vigilia degli Us Open. È passato l’intervento di Ljubicic a riportarlo su considerazioni meno negative. «Amo questa città, la sento mia. Giocherò un match alla volta e vedrò che cosa succede. L’importante è che mi sento bene, sono sano. Non vieni l’anno scorso ». Le dichiarazioni che insospettiscono esulano invece dagli Us Open. Una viene dallo stesso Federer. «La Laver Cup del 2019 si svolgerà a Ginevra. Spero di portarci tutti, da Rafa a Nole. Sarebbe una chiusura davvero degna ». Della stagione o della carriera? Altri sospetti sono giunti invece dalla presentazione del Masters 1000 di Shanghai, dove è stata confermata la presenza di Roger per il 2019, ma non per il 2020. Che dire … potrebbe essere davvero la prossima l’ultima stagione di Roger? In molti lo credono, ma il nuovo sponsor giapponese lo vuole ai Giochi di Tokyo nel 2020. Vedremo. Federer gioca per vincere e non smettere fino a quando si sentirà competitivo. Già, ma fino a quando? Di certo il tabellone più l’ho beccato lui. Secondo logica potrebbe ritrovarsi contro Paire in 2 ° turno, Kyrgios in terzo, Fognini o Chung in ottavi, Djokovic nei quarti, poi Cilic o Sascha Zverev in semifinale. Nadal ha Khachanov in terza divisione. Djokovic sta tranquillo fino al quarto con Federer. In campo vi sono otto italiani e una sola italiana. Il tabellone migliore ce l’ha Fognini (Mmoh, Millman, Chung), mentre Cecchinato potrebbe prendere uno slancio da una vittoria su Benneteau (poi Struff e Haase), gli altri sono tutti nei guai. La Giorgi è invece contro il più giovane, Osuigwe, nata nel 2002, per ogni alfanata venus, la più anziana fra tutte.
Murray Inno alla gioia dopo le lacrime
Massimo Lopes Pegna, la gazzetta dello sport del 27.08.2018
Marius Copil a Washington in tre lunghissimi serie ambientate tre giorni, Andy Murray si è seduto, ha abbracciato la faccia nell’asciugamano ed è scoppiato un piangere. Erano lacrime di felicità. O meglio, non lo sa lui lui. «Ero stravolto dalla stanchezza, il match era stato un saliscendi continuo. Era molto tempo che non mi trovavo in una situazione di questo tipo », ha detto lo scozzese l’altro ieri. Sul suo profilo Instagram, attivissimo in queste settimane, nell’immagine che lo ritrae un singhiozzare, ha scritto: «Annoiato, miserabile, senza personalità Però tanto amore», è il suo stato d’animo ‘animo. Ma ora è da quelle lacrime, di cui non si vergogna affatto, che Andy vuole risalire la china. IL VIAGGIO Era semplicemente lo sfogo di chi ha capito di essere tornato a livelli accettabili dopo mesi di dubbi, causa ennesimo infortunio, che ha minato le sue certezze. Perchè Murray si sente tuttora uno dei Fab 4, anche se questo è il poker dei Grandi da più di un anno, quando era ancora il numero uno della compagnia. Stavolta lo ha tradito un’anca. 1.:111timo match lo ha giocato nel 2017 nella sua Wimbledon (quarti di finale), che ha espugnato due volte (nel 2013 e nel 2016). Dopo quasi dodici mesi di assenza è ricomparso sull’erba nei tornei che precedono i Campionati. I118 giugno ha perso un Londra al primo turno ea Eastbourne al 2 ° con Edmund. Poi ha preferito evitare i prati del Santuario di Chiesa Strada perché non si sentiva pronto ad affrontare match da cinque set. Così è iscritto a Washington, appunto. Dopo quel pianto ha scelto di ritirarsi per il fisico non più abituato a questo tipo di impegni. Per poi cedere al primo turno a Cincinnati con il francese Lucas Pouille. Dal suo rientro ha disputato la miseria di sette match: quattro vittorie e tre sconfitte. Un bottino scarno, ma salvo un fargli tornare il sorriso. «Perché a Washington ho giocato lunghe, e il mio fisico ha recuperato. E negli Slam hai un giorno di riposo dopo ogni impegno », ha spiegato. MONTAGNE RUSSE Per dimostrare al mondo di aver ritrovato il buonumore è uscito spesso con Nick Kyrgios, collega così diverso da lui con cui perb non ci si annoia mai, e ha postato sui social un video in cui lui e l’australiano siedono l’uno accanto all’altro in un giro sulle montagne russe. Un’altra simbologia di cib che sono stati questi ultimi 12 mesi. Alti e bassi, ritorni e ricadute. Gioia e lacrime. «Ma ora sto bene, sono ottimista. E poi solo trovarmi qui in mezzo ai miei occhi e allenarmi con loro finalmente è guarita è una bellissima sensazione », ha detto con un bel sorriso dentro la pancia dell’Arthur Ashe Stadium. II cemento di Flushing è quello del suo grande balzo nella storia del tennis. Fu qui che nel 2012 esorcizza la macabra che lo aspetta nello Slam: un record di 0-4 nelle finali dei Major ribaltato contro Djokovic in cinque cruenti set. Una vittoria (ripresa poi dal primo Wimbledon del 2013) con un fianco Ivan Lendl, assunto un bel 2011 per non restare un incompiuto, e l’ingresso di prepotenza fra i Big 4 (fu quella l’ultima volta in cui Nadal, Federer e Djokovic vinsero i primi tre Major dell’anno). Divenne anche il primo inglese a conquistare uno Slam da Fred Perry nel 1936. Si era finalmente liberato della scimmia, anzi del gorilla, che da anni si portava sulle spalle larghe. Oggi non fa proclami: «Da 10 011 anni sono sempre venuto a New York per vincere. Forse quest’anno, la mia possibilità di successo è poco realistica », ha ammesso. Ma nessuno pensi che Andy mollerà facilmente. Sprofondato al n ° 839 del mondo, è risalito a 382 e molti preferirebbero non doverlo considerare nei primi turni. Intanto, sfoderando l’ennesimo sorriso, ha raccontato: «Sono arrivati qui anche i miei figli. Sono il lato positivo di questa storia, perché sono riuscito a trascorrere tempo con loro ». Bentornato papà. che da anni si portava sulle spalle larghe. Oggi non fa proclami: «Da 10 011 anni sono sempre venuto a New York per vincere. Forse quest’anno, la mia possibilità di successo è poco realistica », ha ammesso. Ma nessuno pensi che Andy mollerà facilmente. Sprofondato al n ° 839 del mondo, è risalito a 382 e molti preferirebbero non doverlo considerare nei primi turni. Intanto, sfoderando l’ennesimo sorriso, ha raccontato: «Sono arrivati qui anche i miei figli. Sono il lato positivo di questa storia, perché sono riuscito a trascorrere tempo con loro ». Bentornato papà. che da anni si portava sulle spalle larghe. Oggi non fa proclami: «Da 10 011 anni sono sempre venuto a New York per vincere. Forse quest’anno, la mia possibilità di successo è poco realistica », ha ammesso. Ma nessuno pensi che Andy mollerà facilmente. Sprofondato al n ° 839 del mondo, è risalito a 382 e molti preferirebbero non doverlo considerare nei primi turni. Intanto, sfoderando l’ennesimo sorriso, ha raccontato: «Sono arrivati qui anche i miei figli. Sono il lato positivo di questa storia, perché sono riuscito a trascorrere tempo con loro ». Bentornato papà. è risalito a 382 e molti preferirebbero non doverlo considerare nei primi turni. Intanto, sfoderando l’ennesimo sorriso, ha raccontato: «Sono arrivati qui anche i miei figli. Sono il lato positivo di questa storia, perché sono riuscito a trascorrere tempo con loro ». Bentornato papà. è risalito a 382 e molti preferirebbero non doverlo considerare nei primi turni. Intanto, sfoderando l’ennesimo sorriso, ha raccontato: «Sono arrivati qui anche i miei figli. Sono il lato positivo di questa storia, perché sono riuscito a trascorrere tempo con loro ». Bentornato papà.
I primi 50 anni dell’US Open Djokovic e Williams preferiti a New York
Ubaldo Scanagatta, il quotidiano nazionale del 27.08.2018
I 50 ANNI DELL’US Open, ei 40 dalla nascita del Centro Nazionale di Tennis a Prati Flosci (a due passi di di Guardia) dopo che i primi 10 si giocarono a Forest Hills, non passano certo sotto silenzio nella Grande Mela. Il fidanzato degli autobus, i murales ovunque e nelle stazioni delle metropoli, lo ricordano agli smemorati, insieme al faraonico montepremi, 53 milioni di giri, il più ricco di sempre nella storia del tennis, con 3,8 milioni per chi vince i singolari, ma anche io 54.000 dollari a chi perde al primo turno. Per gli otto tennisti italiani in tabellone nel maschile, Lorenzi, Seppi, Sonego e Berrettini – i primi tre sfavoriti con Edmund, Querrey e Muller in campo già oggi, mentre va considerato alla pari con Kudla Berrettini – e domani Fognini (Mmoh), Fabio Fognini di Cecchinato (Bennetau), Travaglia (Hurkasz) e Gaio (Goffin), oltre che per l’unica azzurra in gara Camila Giorgi (Osuigwe già oggi), significa essere già sicuri di non perdere soldi. Anche perché l’ospitalità è gratuita. Chi approda al secondo turno 96.000, al terzo 156.000. I tre Slam del 2018 (Australia, Parigi, Wimbledon) hanno avuto tre vincitori diversi nel femminile e Federer, Nadal e Djokovic, Wozniacki, Halep e Kerber. Chi farà il bis sarà probabilmente considerato il migliore dell’anno. Per i bookmaker i favoriti sono Nole Djokovic e Serena Williams, 36 Slam in bacheca (23 lei 13 lui) e 8 US Open trionfali, 6 di Serena e 2 di Nole. Wimbledon e Cincinnati l’unico Masters 1000 che mancava alla sua collezione, mamma Serena è ancora un digiuno: ha giocato solo 17 partite, ne ha perse 5 e “zero tituli”. Conquistasse il 24 ° Slam eguaglierebbe Margaret Court. La n.1 Halep, la campionessa in carica Stephens, la Kerber, meritano lo stesso credito. Fra gli uomini che insidiano Djokovic c’è il n.1 Nadal (17 Slam, 2 US it) che ha un buon tavolo e vanta 40 vittorie e 3 sole sconfitte nell’anno (Anderson e del Potro dai quarti in poi le mine vaganti ) e il trentasettenne Federer (20 Slam, 5 US Open, tutti di fila fra il 2004 e il 2008, poi in solo piazzamenti, un anno fa i quarti) che potrebbe trovare Djokovic nei quarti. Su www.ubitennis.com interviste, commenti, pubblicato sull’US Open e quanto accade nella notte italiana. Fra gli uomini che insidiano Djokovic c’è il n.1 Nadal (17 Slam, 2 US it) che ha un buon tavolo e vanta 40 vittorie e 3 sole sconfitte nell’anno (Anderson e del Potro dai quarti in poi le mine vaganti ) e il trentasettenne Federer (20 Slam, 5 US Open, tutti di fila fra il 2004 e il 2008, poi in solo piazzamenti, un anno fa i quarti) che potrebbe trovare Djokovic nei quarti. Su www.ubitennis.com interviste, commenti, pubblicato sull’US Open e quanto accade nella notte italiana. Fra gli uomini che insidiano Djokovic c’è il n.1 Nadal (17 Slam, 2 US it) che ha un buon tavolo e vanta 40 vittorie e 3 sole sconfitte nell’anno (Anderson e del Potro dai quarti in poi le mine vaganti ) e il trentasettenne Federer (20 Slam, 5 US Open, tutti di fila fra il 2004 e il 2008, poi in solo piazzamenti, un anno fa i quarti) che potrebbe trovare Djokovic nei quarti. Su www.ubitennis.com interviste, commenti, pubblicato sull’US Open e quanto accade nella notte italiana.
Tilden oltre i tabù quei gesti bianchi degni dello Slam
Gianni Clerici, la repubblica del 27.08.2018
Iniziano gli US Open, e mentre quasi tutti i colleghi si accaniscono a ripetere che Roger Federer è il più grande di tutti i tempi, da quando nel 1874 fu reinventato il prato tennis, io mi permetto di dir di no. Il più grande non è Federer, e credo di dimostrarlo, avendo riletto 15 libri sudi lui – l’ultimo è di Luca Bottazzi – e al contempo sottolineato American Colossus, di Allen Hornblum, 465 pagine, testo sin qui imbattibile per i riferimenti storici relativi ai 15 libri su Big Bill, tutti ospitati dalla mia libreria. La mia dimostrazione rileggo la data anagrafiche di Tilden, 1893 -1953, diciaro che non l’ho mai visto giocare in gara, ma solo una lezione a Hollywood nel 1951 a un ragazzo, dopo aver terminato quella con Ginger Rogers, famosa attrice e ballerina, alla quale non ho osato chiedere un autografo, così vieni a Bill. Ma devo riferirmi per prima cosa alla superiorità, che sta nel confronto dei fatti, non certo nel modo di giocare, che è cambiato, così come le racchette e le palle ei campi. Tilden ha infatti vinto i campionati americani negli anni da11920 al 1929 incluso (sette volte) più tre Wimbledon. Federer ha vinto cinque US Open e otto Wimbledon, un Campionato di Francia e sei Australian Open, nei quali Tilden non ha mai giocato perché era troppo lontana l’Australia, i quattro Slam non erano ancora così, perché così nominati nel 1933.1 a causa di Wimbledon di Tilden sono stati vinti su tre giocati, quelli di Federer otto su diciannove giocati. Io Roland Garros vinti da Federer uno su diciassette, zero da Tilden su tre. Se si accettano simili statistiche, una cura di Luca Marianantoni, l’erede di Rino Tommasi, vediamo che – sottratti un Federer i sei australiano – gli ospiti nove vittorie su quattordici, il che fa una media di 1,55, mentre Tilden, grazie alle sue dieci vittorie diviso cinque sconfitte ha una miglior percentuale, 2. Particolari su Tilden. Nasce da una famiglia che in Gran Bretagna fece parte della Upper Class, che chiamerei Nobili Borghesi, nel 1893. La famiglia si stanzia in un sobborgo chic, a sei miglia da Filadelfia, Germantown, dove ha sede un club che ospiterà i Campionati Usa, e colomba lo affligeranno la morte dei fratelli Willamina, Elisabeth e Harry, portata da quella della mamma Selina e, quando Bill sarà ventenne, dal padre William. Il pubblico è l’inizio di una passione per il gioco, sostituto della famiglia, e la successiva ricerca di affetto e desiderio di spiegare il gioco a bambini, poi ragazzi, poi giovanetti, in modo assoluto, che portano Bill ad una sorta di gratuito professionismo, e susciterà l’opposizione di una federazione di borghesi moralisti che sempre faticheranno un crederci. Bill inizia la sua carriera distruggendo dapprima la vetrata oltre la quale dorme suo padre, e rimontando la finale del singolo jr del suo club da 1-6, 0 -5. Dopo la morte del padre Bill resterà in pratica solo, perché il fratello rimastogli, Herbert, ha creato una sua famiglia, con due figli. Risultato, come egli scrive, «una buona performance è stata una falsa notizia. Nel 1915, questo è più che altro, si tratta di un caso in cui si tratta di un caso in cui si parla di Questo è un gioco da ragazzi, che è un gioco da ragazzi. Tilden, insieme un cib, inizia a studiare quello che chiamerà «la Scienza del Tennis» e lo farà insieme al suo primo pupillo di un certo nome, Carl Fisher, insieme a una nuova versione di una proverbio del gioco «Non cambiare mai una tattica vincente , cambiane sempre perdente ». Scartato per i piedi piatti nella sua visita militare, nei campionati d’America una Forest Hill perde in finale da un avversario precedentemente battuto due volte. Eccolo, alla fine della guerra, n. 2 americano, ed eccolo accusato una prima volta di professionismo causa una vendita di racchette. E, insieme, eccolo battuto da Little Johnston nella finale dei Campionati d’America, la seconda volta, e classificato di nuovo n. 2. Si trasferisce nel New England al solo scopo di passare l’inverno a «ricostruire il rovescio» e passa cinque o sei ore giornaliere con questo intento. I11920 è l’anno in cui gli Stati Uniti si spingeranno fino ad Auckland, in Nuova Zelanda, per un omaggio al grande Wilding morto in guerra, e per battere la cosiddetta Australasia (Australia più Nuova Zelanda) 5-0. Lo stesso anno, ecco il duplice successo di Bill a Wimbledon e ai Campionati d’America, più difficile contro Little Bill Johnston, che impersonava il tennis californiano con il suo diritto liftato. Fu, questa finale, resa luttuosa dalla caduta di un aereo che ha fotografare i giocatori, sul 3-1 per Bill nel terzo set. Partita drammatica, che ho dovuto trovare il coraggio di continuare e terminare. Da11922 al 1925 incluso, il nome di Tilden scompare tra i vincitori di Wimbledon, mentre resta tra quelli del campionato americano. Quel che era accaduto lo racconta lui stesso, nella sua biografia My Story. «Fingendo di immaginare che ha una resa privata, la Federazione decise di non tener conto delle mie spese oltre mille, e io non potei affrontare la trasferta europea». Sono cinque annidi vittorie americane, tutte fuorché una contro Little Bill Johnston, e altrettanti annidi di Wimbledon mancati. Figurando se le statistiche non sono usate aggiunti altri cinque Wimbledon. Intanto accade, nel 1926, il clamoroso primo passaggio al professionismo, ma di una donna, Suzanne Lenglen. Suzanne ha perso una sola partita nella sua vita, per un attacco di tosse canina, nell’unica sua trasferta americana, ma non so resistere all’offerta dell’organizzatore Pyle, detto Cash e Carry Pyle, e inizia un tour di trenta città americane. Big Bill, richiesto a sua volta, rifiuta. Nemmeno la perdita del dito, si tratta di uno scontro con un filo spinato di recinzione, ha nel contempo impedito un Tilden, dopo tre mesi di ospedale, di perdere la forma, mutando la presa di racchetta. Nel contempo, il tentativo da parte della Federazione di impedirgli le esibizioni benefiche in favore dei terremotati giapponesi naufraga, ma non gli evita la continuazione di un conflitto che conduce alla sua tentata esclusione dalla squadra di Coppa Davis contro la Francia dei vincitori di Wimbledon, in sua assenza, Borotra e Lacoste. Bisognerà attendere la conferma francese del 1927, el ‘ Wall Street Myers al numero 5 e in italiano con i moralisti della Federazione, per un nuovo viaggio in Europa. Qui Big Bill troverà i quattro Moschettieri francesi che già l’avevano ferito a New York, e che tennero la Coppa da11927 al 1932. La prima volta che qualcuno è riuscito a spassessare gli Usa sul suolo americano sarà dopo due infruttuosi, ma incredibilmente promettenti . Nel 1926 Big Bill era stato sconfitto da René Lacoste dopo sei annidi imbattibilità, e proprio a Davis, considerata sul 4 a 0. Tilden sarebbe poi caduto nei quarti, una Forest Hill, contro Cochet, e questo torneo, da11903 di proprietà americana, avrebbe visto ben tre francesi in semifinale. Con l’arrivo dei Moschettieri francesi, Bill tornerà in Europa, I Campionati di Francia, verrà mai cacciato dalla squadra prima della fine. Interzone con l’Italia e riammesso dal Dipartimento di Stato americano. Tutto ciò non è un consenso alla vittoria in Davis, ma un ritorno a Wimbledon nel 1930, vittorioso contro l’americano Wilmer Allison, in tre soli set. L’ultimo successo tra i dilettanti di un vero dilettante, di un uomo perseguitato da dirigenti che lo odiavano, e più tardi da giudici che è necessario ricorrere a un giudizio psichiatrico per meglio intendere il suo amore per i giovani allievi, scambiato infine per omosessualità. Il risultato sono due e otto mesi di lavori forzati, quasi si tratta di Oscar Wilde. Continuerà fino al 1953, la data della morte, il suo tennis, in una troupe con Don Budge,