Due ritiri, due abbracci. Un solo significato

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Due ritiri, due abbracci. Un solo significato

David Ferrer e Felix Auger-Aliassime non hanno potuto concludere il loro primo incontro a New York. Due storie così diverse confluite nello stesso gesto, che ci ha ricordato qualcosa

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Prendete centomila tennisti. Se non potete, almeno fate uno sforzo d’immaginazione. Bene, ora chiedete loro qual è il modo in cui non preferirebbero mai perdere una partita. Risponderebbero che è anche il modo in cui non vorrebbero mai vincerla: per ritiro. Ogni altro esito fa parte del tennis, quello sport che non è finito finché non si gioca l’ultimo punto. Lasciare tutto a metà invece fa uscire dal campo con una sensazione sbagliata, un rarissimo miscuglio di rimpianto e rimorso. “Match”, senza prima un “game e set”, non è davvero match.

La prima giornata degli US Open ha scattato per noi due fotografie identiche, a poche ore di distanza l’una dall’altra. Nella prima Felix Auger-Aliassime, costretto a fermarsi sul set pari per un problema cardiaco con cui combatte da qualche tempo, stringe forte in lacrime Denis Shapovalov, il suo migliore amico di sempre e il suo avversario per quel pomeriggio sul Grandstand. Nella seconda, David Ferrer appoggia l’asciugamano alla rete e dice al giudice di sedia che non ce la fa più a continuare, prendendosi una lunga pacca sulla schiena da quel Rafael Nadal che per un’intera carriera è stato, per lui forse più che per tutti gli altri, un termine di paragone irraggiungibile.

Per i due ragazzini, uno nato nel 1999 e l’altro addirittura quando gli anni iniziavano per 2, quella doveva essere la più importante delle loro infinite sfide tra campetti di allenamento, playstation, giochi per ammazzare il tempo nei viaggi in macchina tra un torneo junior e l’altro. È finita senza finire, con una resa al caldo asfissiante sul set pari. Torneremo e giocheremo la finale, ne giocheremo un sacco” dice Denis a Felix, tentando di tranquillizzarlo e di consolarlo perché sa benissimo come si sente e sa benissimo che si sentirebbe esattamente così anche lui, al suo posto.

Per David Ferrer è il primo ritiro a partita in corso in sessantatré tornei del Grande Slam. Arriva nell’ultimo match di sempre, in modo simbolico e forse non del tutto casuale. Un sorteggio crudele al limite del beffardo gli ha concesso almeno di chiudere sul campo da tennis più grande di tutti. Non potevano non concederlo allo spagnolo migliore, al giocatore su terra battuta migliore, forse al migliore e basta e quindi lo hanno concesso anche al suo scudiero, a uno che è riuscito ad essere campione anche quando per dieci anni gli hanno ricordato che sarebbe stato al massimo il numero due.

Eccoli, due abbracci. Uno è quello di chi deve tornare a casa per cena e salutare l’amico, che rivedrà già la mattina seguente, lo sanno tutti e due, ma è sempre un dramma perché quella che stanno vivendo è ogni volta la notte più divertente della loro vita. L’altro è quello di chi non ha più tutto quel tempo davanti, il tempo dei ragazzini, e lo sa. Guarda negli occhi qualcuno invecchiato insieme a lui, girando il mondo da Barcellona a New York a Londra a Melbourne a Shanghai, e pensa a quanto sono invecchiati, a quanto è il tempo da cui sono qui. Due abbracci che significano due cose del tutto diverse e allo stesso tempo la stessa.

Vai a casa Felix, è inutile che stai qui a farti più male, tanto ci vediamo domani e comunque ti battevo lo stesso

Vado a casa Denis. Ma che palle però. Questa era quella a cui tenevo di più, quella che sognavamo da sempre

Vado a casa Rafa, ho una moglie e un figlio e una caviglia che mi fa troppo male anche per tentare di difendere il primo break che riesco a farti in un sacco di anni

“Vai a casa Ferru. Prima o poi sarò messo come te anch’io

Hanno tutti gli occhi lucidi e lo sguardo chino e si abbracciano allo stesso modo, i due adolescenti e i due vecchietti – almeno per le strane età del tennis, che ti fanno sentire millenario quando nel mondo reale saresti ancora giovane e in formissima. Volevano l’unico finale davvero bello, quello che arriva proprio soltanto alla fine, e volevano esserci. Sul cemento blu di Flushing Meadows, che per qualcuno era il primo, per qualcuno l’ultimo. Se non vi sembra esagerato, diremo che questo è il ciclo della vita.

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