Venus eterna, solo rimpianti per Camila (Scanagatta). Un bravo a Sascha: la mossa è ambiziosa (Bertolucci). Zverev a nozze con Lendl: "Con lui vincerò gli Slam" (Lopes Pegna). Federer il bad boy: "Mi ritiro, anzi no" (Zanni). La rabbia di Camila (Azzolini). La rivolta dei tennisti: "Troppo caldo per giocare" (Semeraro)

Rassegna stampa

Venus eterna, solo rimpianti per Camila (Scanagatta). Un bravo a Sascha: la mossa è ambiziosa (Bertolucci). Zverev a nozze con Lendl: “Con lui vincerò gli Slam” (Lopes Pegna). Federer il bad boy: “Mi ritiro, anzi no” (Zanni). La rabbia di Camila (Azzolini). La rivolta dei tennisti: “Troppo caldo per giocare” (Semeraro)

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Venus eterna, solo rimpianti per Camila (Ubaldo Scanagatta, Giorno – Carlino – Nazione Sport)

Che peccato. Di sicuro anche a causa dei quasi 40 gradi all’ombra sull’Armstrong Stadium è stato il festival delle occasioni perdute per Camila Giorgi contro Venus Williams, più solida nei momenti importanti nonostante a metà del secondo set i 38 anni avessero cominciato a pesarle. Si muoveva poco e male. Ma Camila non ha saputo approfittarne. Avesse vinto avrebbe probabilmente sfidato Serena. Invece di allungare qualche scambio ha insistito nella sua tattica monocorde, uno-due colpi alla ricerca del vincente, e così alla fine ha perso 64 75 in un 1h e 51 m, scontando il fatto di aver saputo trasformare solo tre palle break su 12 e in particolare le cinque — di cui tre consecutive – sul 4 pari nel secondo. Fosse approdata al terzo set, in quelle condizioni atmosferiche “africane”, sarebbe diventata lei la favorita. Camila, che già in Australia tre anni e mezzo fa contro Venus aveva parecchi rimpianti (avanti un set e 4-2 nel secondo), è stata avanti 2-1 e break nel primo set, 2-0 e 3-1 nel secondo. Ha forse deciso il lunghissimo nono game, circa 8 minuti. La Giorgi era la nostra unica rappresentante. Ed è fuori già al secondo turno. Tre anni fa qui si giocò la finale Pennetta-Vinci. Nostalgia canaglia. Il caldo torrido dell’estate nuovayorkese, ritiri vari, svenimenti e conati di vomito (Novak Djokovic si è tuffato in una vasca ricolma di ghiaccio durante i 10 minuti di break) hanno costretto l’US Open ad adottare la “heat policy” finora applicata soltanto all’Australian Open. I match femminili che vanno al terzo set vengono interrotti per 10 minuti e così anche quelli maschili che vanno al quarto. Mai successo prima. Il nostro Travaglia, altro distrutto dalla fatica, si era lamentato martedì perché «le regole non sono uguali per tutti i match». Fognini, vittorioso in 4 set sull’americano Mmoh n.120 e oggi alle prese con l’australiano Millman n.55 si è invece espresso contro la sospensione del gioco all’inizio del quarto set.


Un bravo a Sascha: la mossa è ambiziosa (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)

Dopo la breve e burrascosa collaborazione con Ferrero e in vista di una stagione che avrebbe dovuto, se non incrementare, almeno confermare l’ottimo 2017, Alexander Zverev si era messo fin da subito alla caccia di un coach esperto e di livello assoluto. Il corteggiamento assiduo, portato avanti sotto traccia, ha prodotto il migliore dei risultati possibili e dalla vigilia degli Us Open è comparsa al suo fianco la figura carismatica di Ivan Lendl. Poco determinato e disattento nella lettura nei momenti più importanti, spesso ancorato sul campo in una posizione troppo attendista, riluttante a verticalizzare l’azione per cogliere i frutti del pressing, il tedesco non ha progredito, finendo per incartarsi e mettendo a nudo diverse lacune mentali… [SEGUE]. L’aver strappato a Murray il preparatore fisico e aver aggiunto al proprio team la ciliegina Lendl depone a suo favore e mostra a chiare lettere, al di là di un carattere alquanto presuntuoso, la voglia di voltare pagina e di voler puntare con tutte le forze al top. Le qualità non gli mancano.


Zverev a nozze con Lendl: “Con lui vincerò gli Slam” (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport)

Sul campo di allenamento dove spara servizi anche a duecento all’ora, le ragazzine (tante) se lo divorano con lo sguardo e gli smartphone: «Sascha, un selfie please». E quel ragazzone che sfiora i due metri, capelli biondi e spettinati con occhi azzurri tendenti al ghiaccio, è costretto ad abbassarsi. Eccolo Alexander Zverev, il futuro numero uno (su questo, pochi hanno dubbi) che ormai bussa alle porte del regno: arrivato a numero 3, ora è 4. Dopo un grande 2017 e due trionfi nei Masters 1000 di Roma e Montreal, quest’anno è andata in onda la replica: vittoria a Madrid, finale a Miami (persa con Isner), a Roma (sconfitta con Nadal) e successo a Washington (Atp 500). A 21 anni e 23 giorni era diventato il 5° più giovane a inanellare tre Masters 1000, ma soprattutto il quinto ad aver conquistato tre tornei di quel livello. Davanti, solo l’eccellenza: Nadal, Djokovic, Federer e Murray. Sì, i Fab 4: il club a cui aspira di ottenere presto l’iscrizione. Per dire, alla sua età Federer non aveva ancora vinto uno Slam e neppure tre Masters 1000. È il predestinato a scalzare quei campioni che lasciano le briciole? «Lo spero», replica con un sospiro. Aggiunge: «Sto facendo tutto il possibile». Da qualche giorno ha assunto un super coach come Ivan Lendl proprio per colmare le lacune più evidenti. Quali? Lo scarso rendimento negli Slam. Più che migliorare una tecnica già da fenomeno, serve la testa giusta. Così è arrivato Lendl, appunto. Perché non è possibile che con il suo talento sia riuscito a raggiungere i quarti di un Major solo a Parigi quest’anno (battuto da Thiem). Perché, a parte gli ottavi di Wimbledon, ha collezionato uscite al 1°, 2° e terzo turno. Ammette: «In particolare qui a New York ho sempre giocato male. L’anno passato ci sono arrivato bollito: troppe partite. E poi mi hanno fregato le altissime aspettative». Dopo aver litigato a inizio stagione con l’allenatore Juan Carlos Ferrero, si è fatto gestire da papà e fratello fino alla scelta dell’altro giorno. «C’erano due opzioni: Lendl o Becker. La ragione per cui ho assunto Ivan? Alcuni del mio team già hanno lavorato con profitto assieme a lui e sappiamo ciò che porta con sé. Più semplicemente, Ivan in questo momento ha una vita più tranquilla». L’ultima frase non è il massimo dell’eleganza nei confronti di uno dei suoi idoli di gioventù adesso in difficoltà finanziarie e personali: «Ma no, voglio bene a Boris, gli ho parlato prima di annunciare la decisione. Gli ho detto che magari collaboreremo in futuro»[SEGUE].


Federer il bad boy: “Mi ritiro, anzi no” (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Roger Federer mercoledì sera ha ammutolito il suo pubblico. «È quasi il tempo di ritirarsi, ma non ancora». Una frase pronunciata subito dopo aver celebrato il 18-0, i debutti vincenti agli US Open, questa volta contro il giapponese Yoshiito Nishioka travolto in tre set con un doppio 6-2 e un 6-4. Ma lo svizzero sta pensando davvero, a 37 anni, di lasciare il tennis? No, i suoi tifosi possono riprendere a respirare. «Volevo solo dire – ha spiegato – che non ho mai perso un match di apertura qui agli Open. E non voglio che succeda il prossimo anno. Ho detto che forse mi potrei ritirare adesso per proteggere le mie 18 vittorie. È stato soltanto uno scherzo». Ma non si è trattato dell’unico momento fuori dagli schemi del “solito” Federer. Infatti lo svizzero si è anche lamentato dei campi. «Mi sembra che siano gli US Open più lenti che abbiamo visto da anni, pare quasi di giocare sulla terra». Ma il meglio doveva ancora arrivare. E a creare un po’ di rivalità, nelle parole, aspetto che ora manca allo Slam di New York, ha pensato John McEnroe, che ha invitato Roger alla sua “tribuna” su Espn. Visto che il prossimo avversario di Federer è il francese Benoit Paire (si poteva intavolare una discussione su questa partita?), ecco che l’ex SuperBrat non ha perso l’occasione per anticipare quella che potrebbe essere l’avvincente sfida del terzo turno: Roger Federer vs Nick Kyrgios, il bad boy australiano, oggi numero 30 dell’Atp, che con lo svizzero ha un bilancio di 1-2, un successo a Madrid nel 2015 e due sconfitte a Miami (2017) e Stoccarda (2018). Così McEnroe, che di bad boys se ne intende, ha chiesto a Federer se può essere proprio lui a far finalmente mettere la testa a posto all’australiano. «Non sono sicuro di essere la persona che dovrebbe farlo – la risposta dello svizzero – penso che lui sappia molto bene, nel profondo di se stesso, che cosa debba fare». Poi però Federer è andato oltre. «Ogni tanto abbiamo bisogno di divertirci – ha aggiunto – ma lui lo porta a un livello superiore. È successo anche a me, ma è difficile per lui. A un certo punto devi pensare a rallentare un po’. Di solito questo capita quando non sei più un teenager; ma sono passati alcuni anni. Sembra quasi che il suo comportamento sia diventato ancora più estremo e questo è piuttosto interessante». Commenti che non sono piaciuti ai fan di Kyrgios, che, si deve ricordarlo, ormai ha già 23 anni, ma, nonostante il talento, continua a rimanere un punto interrogativo… [SEGUE].


La rabbia di Camila (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Sa dare battaglia, questo almeno bisogna concederglielo a Camila Giorgi. Lo fa con tutto quello che può mettere in campo, e i suoi match non sono mai piatti e banali, al contrario, hanno il pregio di far sussultare e tenere in ansia chiunque non sia insensibile a un tennis di gesti poderosi, di grandi intenzioni, schiumante di rabbia violenta, cosa che impressiona sempre un po’ quando di mezzo ci sono due ragazze. Così, il match di secondo turno con Venus Williams diventa occasione per un confronto aperto, e le due sembrano far gara su tutto ciò che le possa dividere. È sfida a chi tira più forte, a chi fa più ace, a chi sorprende l’altra tirando più vicino alle righe. È sfida piena anche sugli errori, che sono tanti, sui momenti di confusione, sulle scelte più o meno appropriate, sempre che le due ragazze abbiano il tempo di inserire qualche variazione ai loro schemi più consolidati. È addirittura confronto fra imprenditrici nel settore moda, perché Camila sta per intraprendere la strada che Venus ha imboccato già da un pezzo. E infatti sfoggiano entrambe delle mises create per loro, dalla già esistente Giomila, che da gennaio sarà il marchio dell’impresa condotta da mamma e figlia Giorgi, e dalla EleVen di proprietà Williams che per Venus ha preparato un completino che sembra una tela impressionista. C’è battaglia anche sui punti che conducono il match, via via, dalla parte di Venus. Camila è stata avanti nel primo set, 3-1, e anche nel secondo, e sul perché abbia finito per farsi sfilare la dote è argomento sul quale dovrà un giorno o l’altro decidere di ragionare un po’. Una come lei, con il suo tennis, non può continuare ad aggirarsi – quando va bene – intorno alla trentesima posizione in classifica. È vietato dalla logica e dal buon senso. Tutte le avversarie la temono, Venus le dedica un pensiero, alla fine, che dovrebbe scaldarle il cuore se solo per una volta, la nostra, testona che non è altra, accettasse di guardarsi un po’ intorno e prendere atto di chi siano le avversarie, di che cosa pensino e di come giochino. «È una grande avversaria», dice la sister, «davvero molto ispirata». C’è di che lucidare a dovere il proprio orgoglio a sentire un parere così dettato da una campionessa di 38 anni che ha fatto la storia del tennis negli ultimi venti anni. Ma chissà se Camila l’abbia ascoltata. È un fatto: se le vittorie non vengono come dovrebbero, c’è un problema da rimuovere. E il problema, oggi, come ieri, è quello della continuità, nell’arco del match e più in generale nel corso della stagione. A lungo è stato chiesto alla Giorgi di procurarsi un “piano B” da aggiungere allo schema del corri e picchia. L’impressione è che il problema non sia quello. Lei fa a cazzotti, e non si trova a suo agio se costretta a rallentare per costruirsi il punto in altro modo. Picchi pure, allora, finché vuole, ma trovi nel suo sforzo i rimedi allo spreco cui va incontro. Impari a picchiare senza troppa fretta, a menare i fendenti più feroci non in tutte le condizioni, ma quando sente che il suo corpo è messo bene rispetto alla palla. Insomma, mantenga la sua ferocia intatta, ma impari a riversarla sul match nei modi a lei più favorevoli. Venus ha recuperato con calma nel primo e con affanno nel secondo, ma è stata brava a risalire da 0-40 nel nono game quando Camila – raggiunta sul 4 pari – avrebbe potuto sfuggirle di nuovo. E se fossero andate al terzo, è probabile che la vitalità di Camila avrebbe avuto la meglio… [SEGUE].


La rivolta dei tennisti: “Troppo caldo per giocare” (Stefano Semeraro, La Stampa)

Caldo, molto caldo: 38° gradi e dintorni. Umido, molto umido: sopra il 90%. Gli Us Open da tre giorni sono un inferno, sopra le braci di cui sembrano cosparsi i campi cova la rivolta dei giocatori. «Siamo persone, non cose», dice l’italiano Stefano Travaglia, costretto al ritiro martedì («Non camminavo diritto e vedevo tre palline».) Per Leo Mayer, ritiratosi contro Laslo Djere, «il tennis non è fatto per morire in campo». Gli organizzatori hanno deciso di concedere 10 minuti di pausa dopo il 3° set nei match maschili: mai successo prima. Anche Novak Djokovic se l’è vista brutta: durante il match contro l’ungherese Fucsovics si è fatto visitare da un cardiologo e nella pausa ha preso un bagno ghiacciato negli spogliatoi: «Io e Marton non avevamo finito il match eppure eravamo lì, a goderci il sollievo, fianco a fianco. Strano, no?». Nel suo match serale ha sudato persino Federer, un’emergenza climatica paragonabile allo scioglimento della calotta artica… [SEGUE]. «Io per 3,5 milioni di dollari — ruggisce però il vecchio Jimbo Connors, riferendosi al montepremi — avrei giocato a mezzogiorno nel deserto del Sahara. Essere in forma è parte del mestiere. Datevi una mossa, tennisti». E se avesse ragione lui?

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