Lo spostamento geografico, culturale e soprattutto economico del tennis verso l’Asia è sotto gli occhi di tutti da più di qualche primavera (anzi, autunno). Finalmente i tennisti figli di quell’immenso mercato stanno iniziando ad adeguarsi: in campo femminile Naomi Osaka è the next big thing, mentre nelle ultime due settimane si è messa in mostra la cinese Qiang Wang, che ha conquistato il primo titolo in carriera ed è ancora in corsa nel Premier Mandatory casalingo di Pechino; tra i maschietti il coreano Hyeon Chung si è preso la prima corona ufficiale della Next Gen, mentre in meno di dodici mesi ben tre tennisti giapponesi (Sugita, Daniel e Nishioka) hanno segnato il proprio nome nella lista dei campioni.
Fino a meno di un anno fa però, almeno dal ritiro di Li Na, “Asia” nel tennis era sinonimo di Kei Nishikori. E adesso che il fisico di cristallo sembra finalmente concedergli una tregua, il ventottenne di Matsue ha tutta l’intenzione di ristabilire le gerarchie continentali. Il Rakuten Open di Tokyo, l’unico torneo ATP del Giappone, lo accoglie sempre festante, anche perché, nonostante le troupe di giornalisti nazionali lo pedinino costantemente, Nishikori è cresciuto e vive a Bradenton, in Florida, al centro del tour ma a migliaia di chilometri di distanza da casa. Nella giornata di sabato la sede provvisoria del Musushino Forest Sport Plaza si è ancora una volta riempita. Kei ha ripagato il pubblico con un nuovo successo, stavolta contro un platinato Richard Gasquet, che vale la finale.
Nishikori se l’è cavata in due set, ma tutta la lotta è stata concentrata nel primo. Bravo a capire lo stato di forma e di grande fiducia dell’avversario, ha premuto ogni volta che ha potuto nel tentativo – fallito – di evitare il tie-break, situazione da cui Gasquet era uscito vincitore già cinque volte nel torneo. Sciolto l’incantesimo però, con un mini-break iniziale, si è sciolto anche il francese, che da lì in poi ha vinto un solo altro gioco. Nonostante una stagione partita in ritardo, vittoria su vittoria Nishikori è già tornato numero 12 della classifica (è lui quello tallonato da Fognini). Deve però ancora sollevare una coppa, che gli manca dal defunto torneo di Memphis di due anni e mezzo fa. Tokyo, dove è già stato campione nel 2012 e nel 2014, sarebbe il posto migliore per farlo.
Tra Nishikori e una vittoria domestica è rimasto l’ostacolo Daniil Medvedev. Sarebbe più giusto formulare la frase a rovescio in realtà, perché nonostante nessuno dei due abbia ancora perso un set in questo momento è il russo a sembrare imbattibile. A venire messo in fila dalle sue bordate stavolta è stato Denis Shapovalov, con un doppio 6-3 che lo ha visto arrancare invano per la singola ora di gioco alla ricerca di qualche punto in risposta. La prima “frustata” di Medvedev ha prodotto dodici ace e una montagna di vincenti mentre la seconda, dato fondamentale, non ha mai mancato il bersaglio. Emblematico il momento in cui Daniil è andato a servire per il match: bum, bum, bum, bum, quattro servizi vincenti e il game è sparito.
Shapovalov può consolarsi con il pensiero che nei giorni passati a gente come Schwartzman e Raonic non era andata poi meglio. Nelle semifinali però, dopo ormai oltre un anno di ottima presenza nel tour, il canadese è ancora a secco di vittorie. Piuttosto curiosamente, le ha perse tutte e quattro contro “compagni di classe” della Next Gen: due volte da Zverev, una da Tiafoe e quest’ultima, in cui è incappato in un Medvedev tirato a lucido. La settimana di grazia del ’96 moscovita è partita addirittura dalle qualificazioni, proprio come quella che in gennaio lo ha portato al primo titolo sul cemento di Sydney. La sua improvvisa maturità, fatta di scelte da atleta professionista per lungo tempo rifiutate, si è tradotta istantaneamente in risultati sul campo. Ora qual è il suo limite?
Risultati:
[Q] D. Medvedev b. D. Shapovalov 6-3 6-3
[3] K. Nishikori b. [8] R. Gasquet 7-6(2) 6-1