Djokovic è una macchina. Si prende il numero due (Crivelli). Djokovic sorpassa Federer: è n. 2 (Semeraro).Cecchinato con Fognini. Due italiani nella top-20 39 anni dopo (Clerici). La Giorgi torna a brillare. In finale dopo due anni (Crivelli). Paolo Canè “Ai miei allievi dico: lasciate scorrere la follia, non siate dei robot” (Berizzi)

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Djokovic è una macchina. Si prende il numero due (Crivelli). Djokovic sorpassa Federer: è n. 2 (Semeraro).Cecchinato con Fognini. Due italiani nella top-20 39 anni dopo (Clerici). La Giorgi torna a brillare. In finale dopo due anni (Crivelli). Paolo Canè “Ai miei allievi dico: lasciate scorrere la follia, non siate dei robot” (Berizzi)

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Djokovic è una macchina. Si prende il numero due (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Mille e non più mille. Un tempo, si pensava dovesse finire il mondo. Adesso, se ne sta per aprire un altro, peraltro molto simile a uno che abbiamo già visto: il 2011, oppure a scelta le due stagioni a cavallo tra il 2015 e il 2016. Il condottiero è ancora Novak Djokovic. All’inferno a giugno, in paradiso da luglio in poi, una resurrezione prodigiosa. Alla millesima partita in carriera (record 827-173), il serbo vola in finale a Shanghai inanellando la 17^ vittoria consecutiva (26-1 dopo il Roland Garros) disintegrando Zverev. Gli concede appena tre game in un’ora, perfetto al servizio, solido da fondo, mentre l’altro gli concede 24 gratuiti e mette un miserrimo 42% di prime. Una mattanza. Sarà pur vero che gli altri, tra infortuni, età e personalità deboli sono calati dopo l’estate, ma il Djoker pare davvero il parente più prossimo del dominatore che abbiamo ammirato fino a Parigi 2016. E intanto da domani si prenderà il numero due in classifica (era 18° il 18 giugno) scavalcando Federer. E se vincerà il penultimo Masters 1000 di stagione arriverà ad appena 35 punti dal primato di Nadal, a questo punto un traguardo assai stimolante: «Sono orgoglioso di questo ulteriore passo avanti, ho lavorato molto duramente per raggiungerlo e adesso l’obiettivo diventa il numero uno di fine stagione, perché mi sono messo nelle condizioni di ottenerlo. È incredibile, soprattutto se penso dove mi trovavo quattro mesi fa: le sensazioni che provo adesso sono all’esatto opposto di quelle di allora». La corsa al 32° Masters 1000 in carriera e al 72° trofeo complessivo incrocia adesso lo scoppiettante Borna Coric e non, com’era nelle attese di tutti, il Divino Federer, in ogni caso lontanuccio per tutta la settimana dalla sua forma migliore. Roger soffre la straordinaria giornata al servizio del Next Gen croato, tanto da non riuscire mai ad approdare a palla break, e non riesce mai a sfondare il muro difensivo del rivale, non a caso accostato a Djokovic (che lo ha battuto due volte su due) non appena si affacciò al mondo dei grandi. Aspettative che per un paio d’anni gli hanno impiombato le ali, fino a quando ha deciso di affidarsi a Riccardo Piatti, che con perizia e pazienza lo sta traghettando a un livello superiore. Intanto da domani sarà numero 13 in classifica, facendo retrocedere di un posto Fognini. E poi si dice che certi numeri portino sfortuna.

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Djokovic sorpassa Federer: è n. 2 (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Shanghai, corsia di sorpasso. Non siamo in Formula 1 ma al penultimo Masters 1000 della stagione: l’uomo con la freccia si chiama Novak Djokovic, quello che deve dare strada, per ora, Roger Federer. Il serbo, ieri al 1000° match da professionista, in un’oretta ha cancellato dalla prima semifinale il perennemente acerbo, e nell’occasione molto nervoso, Sascha Zverev, n.5 Atp, garantendosi a prescindere dalla finale di oggi la posizione numero 2 del ranking che aveva occupato l’ultima volta 1’11 giugno 2017. Di fatto, sta preparando il Drs in vista della monoposto rossa di Rafa Nadal che uscirà dai box, con un vantaggio ormai esiguo, solo a fine mese a Parigi-Bercy: appena 35 punti nel caso il serbo vinca anche oggi. Federer ha poi alzato bandiera bianca per la seconda volta quest’anno a Borna Coric, 6-4 6-4 in un’ora e 14 minuti. Coric, pupillo di Riccardo Piatti, lo aveva già sorpreso a giugno in finale sull’erba di Halle, stavolta non gli ha concesso un centimetro. Un break all’inizio di ciascun set, il 78% di punti sulla prima di servizio, una grande difesa nel secondo set quando il Genio ha abbozzato una reazione. «Uno dei match migliori della mia carriera – ha raccontato il 21enne croato, che da lunedì salirà al n.13 – Non penso di aver mai servito meglio. E dire che ero arrivato a Shanghai con il torcicollo. Stavo pensando di ritirarmi, poi mi sono detto: cosa ho da perdere?». Federer dopo il grande inizio di stagione si è lentamente spento (non vince un torneo da Stoccarda), pagando dazio all’età e a qualche acciacco fisico di cui non vuole parlare: «Borna ha servito meglio, tirava più forte, ha avuto più occasioni. Tutto qui». Sfuma dunque la finale da sogno con Djokovic, che dopo un inizio disastroso di 2018 non ha più tolto il piede dall’acceleratore. Giocherà contro Coric la 103^ finale della carriera, la 5^ dell’anno (ha vinto Wimbledon, Cincinnati e US Open, perso al Queen’s) e ormai non si nasconde più: «tornare n. 2 è importante, ma il mio obiettivo è il n. 1. Sono a buon punto». Finale e best ranking (n.29 da lunedì) anche per Camila Giorgi, che a Linz ha superato 6-3 6-4 la campionessa in carica Alison Van Uytvank (56 Wta) e incontra oggi la qualificata russa Ekaterina Alexandrova, n.119.

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Cecchinato con Fognini. Due italiani nella top-20 39 anni dopo (Gianni Clerici, La Repubblica)

Avevo appena finito di ammirare Coric, e un pochino meno il povero Federer sconfitto a Shanghai, quando un amico, notissimo al contrario di me per la sua vivissima memoria, mi ha voluto informare. «Forse è più importante per noi che sia la seconda volta nella storia del nostro tennis che abbiamo due tennisti nei Primi Venti del mondo». Mi sono sorpreso, e ho chiesto lumi. «Quelli di oggi sono Fognini, da domani numero quattordici e Cecchinato, numero diciannove per la prima volta nella sua carriera». «E quelli di una volta?». «Nel 1973 avemmo Panatta e Bertolucci, rispettivamente numero quattordici e numero venti». «E l’altra volta?». «Fu nel 1979: Barazzutti al numero sedici e Panatta invece al numero diciannove». Ho preso nota, ricordando allo storico che Coric ha dominato, con la sua vigorosa regolarità, un Federer quasi vecchio, costretto a subire due break all’inizio dei due set perduti, e insieme a subire la maggiore solidità e lunghezza di gioco del nuovo assistito di Riccardo Piatti. Poi ho dato un’occhiata alla mia tennisteca, e ho trovato dei riferimenti che avevo scritto, e non ricordavo più. Corrado, numero uno d’Italia nel ’78, ’79, ’81, ’83 e ’84, si era segnalato con due semifinali, nel ’77 allo Us Open, e nel ’78 a Parigi, quando, di fronte a Borg, pronunziò la famosa frase: «Scusa se ti ho preso un game». Panatta nel 1976 vinse il Roland Garros e la Davis, nella quale giocò il doppio con Bertolucci, commentatore televisivo di oggi, capace fin dall’inizio del match di presagire la sconfitta di Federer. Su Panatta ritrovo nel maggio del 1978, «Un Panatta d’annata costringe Borg al quinto» a Roma. Nel mezzo di simili confusi ricordi mi domando: Fognini e Cecchinato sapranno far meglio di Adriano, Corrado e Bertolucci? Non posso non augurarglielo, ma le prestazioni dei vecchi nelle gare che contano, i Grandi Slam, non mi incoraggiano a sperarlo.

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La Giorgi torna a brillare. In finale dopo due anni (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’avevamo lasciata a Wimbledon dopo una cavalcata emozionante, fermata solo nei quarti da Serena Williams. Poi Camila Giorgi si è smarrita, in uno dei tanti saliscendi che punteggiano una carriera divisa tra legittime ambizioni e inspiegabili periodi di vuoto. Quattro mesi dopo, la numero uno d’Italia torna a brillare a Linz, torneo che le è congeniale (arrivò in fondo anche nel 2014, stoppata dalla Pliskova più forte, dopo un match point a favore) e che le regala la prima finale sul circuito (la sesta complessiva) a più di due anni dall’ultima (persa) a Katowice. Camila ottiene il terzo successo in altrettante sfide sulla belga Van Uytvanck, 52 Atp, una battaglia di un’ora e tre quarti che si complica parecchio nel secondo set, quando la marchigiana smarrisce un po’ il servizio e perde la misura del campo con il dritto. Malgrado le difficoltà, strappa la battuta all’avversaria nel nono game, ma nel game successivo, il più lungo e duro del match (sette minuti) le occorrono sei match point e due delicate palle break annullate per garantirsi il posto in finale: «Penso di aver giocato un buon match come livello e intensità e alla fine l’ultimo gioco, con le difficoltà a chiudere la sfida, è stato un po’ snervante». Anche se poi in conferenza stampa scoppierà a ridere affermando di aver giocato «malissimo». Per il titolo l’attende a sorpresa la russa Ekaterina Alexandrova, n. 119 del mondo alla prima finale in carriera, uscita dalle qualificazioni e battuta nell’unico precedente del 2016: «Devo rimanere concentrata sul mio tennis e devo essere aggressiva». La Giorgi l’affronterà con la serenità d’animo procurata dalla miglior classifica di sempre e il tanto anelato ingresso nella top 30: al momento è numero 29, se vincerà il torneo migliorerà di una posizione (e comunque si è messa dietro la Sharapova). Magari il 2019 sarà l’anno della benedetta continuità.

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Paolo Canè “Ai miei allievi dico: lasciate scorrere la follia, non siate dei robot” (Paolo Berizzi, La Repubblica)

Il bello di Paolo Canè è che non ha mai smesso di tirare il turborovescio. Anche nella vita. Ogni cosa che dice è una palla presa a schiaffi. «Mi davano del matto quando giocavo. Figuriamoci che mi importa se me lo ripetono adesso! Mai stato dentro le convenzioni, né per il politically correct. Ma ho un mio rigore. Ai ragazzi dico: lasciate scorrere la follia, non permettete a nessuno di trasformarvi in robot. I robot sono forti ma sono tutti uguali». I capelli grigi governati dalla bandana feticcio di quando era “NeuroCanè” (copyright Gianni Clerici). Il n.1 d’Italia (26 del mondo) che si allenava quando e come voleva lui («diciamo che non andavo in campo alle 8»), Davis man generoso e ruvido. Un personaggio. Niente schemi se non quella sventagliata che tra gli `80 e i `90 ha incantato gli amanti del tennis imperfetto: genio senza regole, alla McEnroe, la guerra dentro, e tanti rimpianti (dovuti anche agli infortuni). A 53 anni, 3 figli, 13 tatuaggi, quattro ernie del disco, Canè è ancora così: prendere o lasciare.

Perché non la chiamano in Federazione?

Non sono bravo nelle pr. E non so lisciare il pelo. Ma sto bene come sto, qui, vicino a casa e alla mia famiglia. Scelte di vita.

Gorle, 5 mila abitanti alle porte di Bergamo. La Scuola Tennis Paolo Canè è nell’impianto comunale del paese. C’è una pizzeria che fa anche asporto, altro che circoli fighetti. Lei in campo otto ore al giorno coi ragazzi. Ultrapaziente. Da non credere.

Quando dico ai genitori che le lezioni le faccio io – non un un altro maestro – mi fanno: ‘davvero?’. Sempre messo la faccia, nel bene e nel male. Poi con tre figli un po’ si cambia, o no?

C’è chi ancora ricorda la sua racchetta che si abbatte sui gerani del Foro Italico.

Avevo dentro una cosa che mi saliva: era come un demone. Ma era lo stesso demone che mi faceva trovare dei colpi che non credevo nemmeno io. A Cagliari batto Wilander in un match spalmato su due giorni, interrompono cinque volte per pioggia e lì dico: ciao, andata. Poi arriva il lampo e…7-5 al quinto.

Wilander il giorno, lei la notte.

Ci sono i regolari e gli irregolari. Non faccio parte dei primi. Avere sfidato Wilander, Lendl, McEnroe, Agassi, Sampras, Becker, Edberg, Connors, Noah, Cash, è stato un onore.

Sia sincero. Dove o chi le piacerebbe allenare?

Farei volentieri il capitano di Davis. Penso di avere dato qualcosa ai colori azzurri. Tra i giocatori seguirei Fognini: abbiamo caratteri simili. Ha un’esplosività e una tecnica imbarazzanti. Mano d’oro. Stesso carattere sì. In campo c’è chi tiene dentro e chi butta fuori. Questione di temperamento. Poi finita la partita torni te stesso.

Con un’altra testa Canè sarebbe entrato nei primi 10. Quante volte l’ha sentita dire?

Mi esce dalle orecchie. Ma coi se e coi ma non si riscrive la storia. Poi può essere vero anche il contrario.

Tennis oggi: solo palestra e mazzate. È così?

Sì. In Italia l’ultimo campione e personaggio è stato Adriano Panatta. Punto. Il più forte oggi è Shapovalov. Il più forte di sempre è Federer sul veloce, Nadal sulla terra.

Chi avrebbe voluto battere?

Lendl a Wimbledon. Ci sono andato vicino.

Su Whatsapp ha una foto insieme a McEnroe.

Internazionali 1987. L’unica volta insieme in doppio. Non me lo dimenticherò mai, sa perché?. Lui che dice a me di stare tranquillo: da Oscar.

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