La rivoluzione pop del tennis

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La rivoluzione pop del tennis

Colori, abbigliamento. Icone. Così il tennis regge il passo coi tempi, dettandone i ritmi e le sensazioni

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– Filini: Allora, ragioniere, che fa? Batti?
– Fantozzi: Ma… mi dà del tu?
– Filini: No, no! Dicevo: batti lei?
– Fantozzi: Ah, congiuntivo!
– Filini: Sì!

Mutandone ascellare con apertura sul davanti, tenuta chiusa da una spilla.

– Fantozzi: Pronti?
– Filini: Preghi.

“El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lu rincorreva già da tempo un bel sogno d’amore. El purtava i scarp de tennis, el g’aveva du occ de bun l’era il prim a mena via, perché l’era un barbun”.

Le scarpe da tennis. Scarpe da tennis ai piedi del mondo. Scarpe da tennis ai piedi di chi vuol cambiarlo, ai piedi dei movimenti di contestazione giovanile e del suo affermarsi come categoria merceologica e ai piedi di chi quel mondo vuole solo passeggiarlo comodamente. Scarpe da tennis ai piedi del barbun della canzone di Jannacci, dei ragionieri e del cumenda nel suo tempo libero. Scarpe da tennis ai piedi del giocatore improvvisato di calcetto, del bagnante, di chi vuole avere l’idea di comodo sport senza farne e di chi vuol dare l’idea di aver tempo per farlo. Il tennis, per il fatto di essere nato essenzialmente gioco e non necessitando pertanto di attrezzatura particolarmente tecnica, ha sempre condiviso il proprio abbigliamento con quello della vita quotidiana. Non solo scarpe, ma magliette, tute, borse, calzini, visiere, cappelli. Tennis e tempo libero, tennis e abbigliamento sportivo, tennis e moda. Tommy Hilfiger, Enrico Coveri, Stella McCartney, creativi che creano la propria linea tennis.

Immagini d’epoca. Una scampagnata. Gente ben vestita, intorno ad un rettangolo nel quale quattro persone colpiscono una palla con degli attrezzi di legno. Due di qua, due di là, in mezzo una rete. Si scambiano la palla con garbo e gentilezza in comodi abiti anche eleganti. Sforzo fisico quello necessario a far colpo su qualche fanciulla. Giocano a tennis. Sulla nascita del tennis numerosa è la letteratura. Lo si fa risalire a tempi remoti, numerose ne sono le testimonianze, stanze famose lo hanno ospitato prendendone il nome, ma certo è che il tennis moderno è affare inglese. Il tennis lo si gioca di bianco. Candido come l’anima, come vorrebbe la coscienza, il bianco dell’innocenza, dell’assenza di colpa.

Suzanne Lenglen e Bill Tilden

L’alba del colore nel tennis è negli anni ’70. La presenza della TV a colori ne da un senso definitivo, poiché inutile se da casa si vede solo in bianco e nero e nelle sfumature tra essi comprese. All’inizio essenzialmente qualche bordino del colletto delle maniche e qualcosa ai calzini, poi pian piano le spalle delle polo e poi il resto, mentre le tute han preso colore già da un po’. La componente sportiva reclama il suo spazio e l’abbigliamento diviene leggermente sempre più tecnico, sempre non allontanandosi da quello in uso anche nella vita quotidiana. In effetti, fino ad allora il look è cambiato essenzialmente sul concetto dell’accorciarsi. Dal pantalone lungo gli uomini son passati a quello corto non più gonne e maniche lunghe alle donne, ma spesso smanicati e mini. Dalla fine degli anni ’50 le battaglie tennistiche tra maschi si fanno in pantaloni corti e polo. Rivoluzione è sostantivo femminile e non a caso in quel settore ne sta avvenendo l’ennesima. Il look della tennista comincia ad essere qualcosa che tiene conto della donna oltre che dell’atleta. Maria Bueno, Lea Pericoli, eleganza e vezzo. Lea con i suoi abiti, le sue acconciature, il suo gusto di sorprendere, fa del campo da tennis il palco della recita della diva. La gente corre a vedere Lea sapendo che non ci saranno pericoli di restar delusi, scontato così come il gioco di parole.

Lea Pericoli

Passano gli anni al rotolar di palline. Le acconciature seguono le mode. Baffi e basette come eredità della cultura hippy, capelli lunghetti un po’ ovunque. Baffo per Newcombe, Zugarelli, basette per Connors e tanti altri, Nastase e Vilas dalla folta chioma, Vitas Gerulaitis. Capello severo per Navratilova e King, elegantemente femminile per Goolagong ed Evert, treccine da cheerleader per Tra(c)cy Austin, di imminente arrivo le code di cavallo di Graf e Sabatini e le acconciature voluminose come zucchero filato del decennio 80, anni in cui agli uomini basta un ciuffo e tanto volume biondo per sentirsi cool e accettati. In mezzo le treccine di Noah, ma lui è ben altra cosa.

Un magliaro italiano, probabilmente ignaro di cambiare la storia dell’abbigliamento tennistico e di come esso viene concepito, decide di vestire un giovane aspirante dio venuto dalla Svezia. Borg ha lunghi capelli biondi, una fascia elastica che evita gli caschino davanti agli occhi e vistosi polsini dello stesso disegno di una maglia che tutto domina. L’abito non fa mai un monaco, ma a Borg molto di più aiutandolo a diventare la prima pop star del tennis. Quella linea è in produzione ancora oggi, senza età come una canzone dei Beatles. Negli stessi anni, in Italia, va molto anche il capello a scodella di Panatta che al titolare sta davvero bene ma che a quasi tutto il resto fa molto elmetto Sturmtruppen. La maglia rossa di Panatta, segnale dal futuro. Non di solo Borg ha vissuto il suolo italico.

John McEnroe e Bjorn Borg

Pomeriggio di maggio, 1988. A Roma, in un campo nemmeno il Centrale, gioca un ragazzino di Las Vegas di cui tutti dicono tanto. Una chioma bionda mashata lunga con ciuffo importante che poi si sarebbe dichiarata essere una parrucca. Capigliatura da rock star, una chitarra per racchetta. Andre Agassi è il suo nome e la sua comparsa è pari a quella di un personaggio di Bowie in cerca di autore, poiché da una sua sceneggiatura fuggito. Agassi gioca indossando dei jeans corti. La casa di abbigliamento sportivo che ha per logo l’ala di una dea, dopo aver messo ai piedi di McEnroe un paradigma per scarpe, ha deciso di vestire di jeans il mondo del tennis, usando Agassi come testimonial. C’è dell’altro. Agassi indossa una maglia il cui di dietro è più lungo del davanti, come i camicioni alla moda di quegli anni. Come scarpe ha delle mid, alte a metà tra una classica del tennis ed una da basket. Per adeguarsi lo sponsor tecnico lo munisce ben presto di racchetta fluorescente bicolore. Il look Agassi spopola. Come i Sex Pistols 21 anni prima sapientemente inventati, così Agassi fa diventare vecchio e stantio tutto quello che lo ha preceduto, facendo vendere cose nuove. Trovare un under 30 che non gioca in jeans è come trovare l’ago nel pagliaio, così come trovare le sue scarpe ovunque ci sia un ragazzo è cosa abbastanza certa. Ma i magliari di Agassi la sanno ancora più lunga e decidono di vestire anche un giovane tennista di origine greca che è il suo esatto contrario, ma che gioca a tennis come non si è mai visto. Pertanto prendono Pete Sampras che ha già una sua dialettica sportiva con Agassi, ne creano l’antitesi anche estetica e la vestono. La rivoluzione e la controrivoluzione le vende lo stesso negozio.

Nel frattempo il bianco integrale è oramai un ricordo. Solo Wimbledon lo richiede ed impone per rispetto della tradizione. Dalle strisce di Borg e Vilas e le spalline di McEnroe e Nastase, si arriva al giallo blu integrale di Guga Kuerten attraverso anni di colori e disegni sempre più disparati e disperati. Ivan Lendl indossa rombi elegantissimi prima di finire la carriera con una sorta di aquila reale planante disegnata sul petto. Il look femminile continua la sua marcia di avvicinamento al concetto di abito da tennis. Anna Kournikova è una occasione. Nel 1997 a soli 16 anni arriva in semifinale a Wimbledon, diventando per tutti Lolita Kournikova, dando sfogo all’Humbert Humbert che è dentro ad ognuno. Vince poco Anna ed ha carriera breve. Causa ripetuti infortuni si ritira dedicandosi ad attività esteticamente a lei congeniali come la modella, la testimonial ed ora, da signora Iglesias, una youtuber molto seguita. Non si fa in tempo a sentirsi orfani che il suo posto lo prende con molto meno simpatia e più vittorie, Maria Sharapova, ben presto famosa anche tra quelli a cui del tennis non frega nulla. Dispensatrice di grugniti, pugnetti, tic, pallate, caramelle, di bellezza statuaria e sublime mannequin, Masha. Fosse stato vero che i russi mangiano i bambini, il mondo si sarebbe perso qualcosa.

Maria Sharapova

Roger Federer, il tennista più elegante per look e per gesti, incontra un promettente ragazzo spagnolo, Rafael Nadal. Quel giorno tutti notano la differenza di stile di gioco, atteggiamento ed abbigliamento tra i due. Nessuno immagina che grazie all’arrivo di questi, RF vincerà molto meno. Capelli lunghi mantenuti da una fascia che è un lenzuolo, canotta a mostrare l’ipertrofia del bicipite e pantaloncino rubato a Pinocchio che Geppetto ancora cerca chi abbia lasciato il burattino in mutande. Una gestualità pugnace, urla e tic ai limiti della psicopaticità, questo ragazzo ha personalità, poi vince, quindi giusto vestirlo strano. Così pensa la casa che ha per logo l’ala di una dea e già disponendo di RF che incarna la forza dello status quo, realizza di avere, dopo Agassi, un nuovo talento tra le mani a cui poter assegnare una rivoluzione. Nadal diventa ben presto colui che lotta contro la noia delle eleganti vittorie federeriane. I più giovani soprattutto, scelgono di vestirsi come lui. Ai ragazzi sentirsi diversi piace ed il look da RamboPinocchio inizia a spopolare. Glielo avrebbero tolto poi quel bragone a Nadal dandogliene di più normali, mentre la canotta a fasi alterne scompare e ritorna. Le braghe possono accorciarsi, una canotta è per sempre.

Roger Federer e Rafa Nadal – Wimbledon 2008

Rototom Sunsplash, festival ed happening reggae nato italiano e finito europeo. Dreads in levare e nuvole di fumo si confondono. Difficile è confonderli in un campo da tennis. In mutandoni e canotta gioca Dustin Brown e la sua lunga capigliatura leonina rasta assieme al suo tennis personalizzato, improvvisato, geniale, folle e clownesco, ne fa uno dei tennisti più divertenti e particolari mai apparsi nel circuito. “Coming in from the cold”, dalla calda Jamaica alla fredda Germania, Dustin Brown ha una biografia che aiuta. Bethanie Mattek-Sands un giorno entra in campo vestita da leopardo. Un giorno perché in quell’altro è vestita a pois che però son delle ciliegie e in quell’altro ancora gioca con una coppola rosa che però è una visiera. Anche fuori dal campo ha una sua coerenza. Foto ufficiali WTA con abito fatto di palle da tennis incastonate, o con vestito a coda di struzzo o in kimono. Capelli variopinti, volto dipinto, Bethanie fa del look una provocazione, un divertimento, un’arte o semplicemente una forma di comunicazione. La Lady Gaga del tennis. Non le basta. Serve tenere sempre il livello alto e lei decide di farlo partendo dalle calze, nere, bianche o a strisce che siano, portandole su fino al ginocchio, ben presto divenuto uno standard apprezzato e condiviso anche da Laura Siegemund.

Bethanie Mattek-Sands

La giacca di Federer, la camicia di Sharapova, il completino da baseball di Jim Courier e la sua racchetta stelle e strisce, il totalbody di Anne White e la tuta da sub di Serena Williams, i completini della mamma di Camila Giorgi, la bellezza incontrastabile di Ana Ivanovic e delle tenniste indossatrici, di Feliciano Lopez e Marat Safin loro contrappasso maschili, donne che giocano con calzoncini, uomini che si spera presto con le gonne, gli occhiali della Stosur, le treccine afro delle sorelle Williams adolescenti, quelle infantili di Seles e la monotreccia di Mary Jo Fernandez, l’appeal da casalinga di Lindsay Davenport, quello muscolato di Sakkari e l’esilità di Hsieh Su-Wei, la fascia doppio nodo di Baghdatis, l’orologio di Edberg, il cappello da legionario di Lendl, gli occhiali di Tipsarevic, il pigiama di Wawrinka e nei villaggi turistici si continua a giocare in bermuda da surf e c’è ancora chi crede il polsino di spugna assorbi sudore una necessità ortopedica.

Serena Williams – Roland Garros 2018 (foto Roberto Dell’Olivo)

La storia a volte fa giri lunghi e concentrici. Paolo Villaggio è una cosa serissima. “Allora Ragioniere che fa, batti?”.

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