Neppure Bobby Riggs ora scommetterebbe sulla Francia

Editoriali del Direttore

Neppure Bobby Riggs ora scommetterebbe sulla Francia

LILLE – Ma chissà se il famoso protagonista de “La Battaglia dei Sessi” scommise sull’unico precedente di una rimonta da 0-2 in finale. Storia, numeri e ricordi di una Davis in punto di morte

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La Croazia va allo specchio con Cilic: 2-0 e ultima Davis ad un passo
Coric rovescia Chardy: Croazia in vantaggio

Sei set a zero, Francia KO e nessuno crede all’ipotesi di una improbabile rimonta che non ha, nella storia della Davis, che un unico precedente. Risalente all’anteguerra, al 1939. Australia batte USA 3-2 da 0-2. Nessuno saprà mai se quell’inguaribile e avido scommettitore che era Bobby Riggs – il celebre protagonista, con Billie Jean King del match passato alla storia come la “Battaglia dei Sessi” immortalato anche da un recente film di discreto successo – avesse osato scommettere contro se stesso nel 1939, quando nella finale della Coppa Davis giocata a Haverford (Pennsylvania) sul 2-1 per il team statunitense sugli australiani Quist e Bromwich (che avevano però vinto il doppio su Kramer e Hunt) nel primo match della terza giornata finì sconfitto 6-4 al quinto set dall’australiano Adrian Quist.

https://twitter.com/DavisCup/status/1066286193330012160

Però, come accennavo all’inizio, quella finale, conquistata dall’Australia grazie al punto decisivo vinto da Bromwich su Parker con un punteggio che oggi a me pare quasi inspiegabile (6-0 6-3 6-1… non ho avuto il tempo di fare una ricerca per verificare se uno dei pochi americani capaci di conquistare anche il Roland Garros, e due volte, oltre a due US… non ancora Open, ebbe quel giorno problemi fisici) è stata la sola in 106 edizioni della Coppa Davis in cui una squadra è stata capace di rimontare da 0-2. In 106 edizioni! Tanta roba. Come mi dispiacerà non poter fare più alcun riferimento in avvenire alla storia della Davis, visto che dal 2019 non avrà più niente in comune con quella che è stata.

Tornando all’attualità, mi sa proprio che capitan Noah, vittorioso in panchina tre volte (1991 quella famosa volta in cui Forget e Leconte a Lione misero al tappeto Sampras, Agassi e il duo Flach-Seguso; 1996 quando sul 2 a 2 a Malmoe “Mister Rolex” Arnaud Boetsch annullò tre matchpoint consecutivi a Niklas Kulti; un anno fa qui quando la Francia vinse la nona Coppa Davis a spese del Belgio sebbene Tsonga avesse perso con Goffin) stavolta non riuscirà proprio a fare il poker. Anche se non l’ha voluto ammettere, in cuor suo si sarà forse pentito del suo eccesso di protagonismo, per aver tentato ancora una volta il colpaccio a sensazione – come quando un anno fa estromise Mahut dal doppio per far giocare Gasquet – ma sia Chardy sia Tsonga sono apparsi quasi impresentabili in questa prima giornata di quest’ultima Coppa Davis. Ma, anche se sa di senno del poi, il rimpianto per l’assente Gilles Simon qua in Farncia ce l’hanno un po’ tutti: Gilles aveva battuto 6 volte su 7 Marin Cilic, e 4 delle ultime 5 (due quest’anno). Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Nemmeno a Yannick Noah.

Sarà anche molto difficile, dopo quel che si è visto, che questa finale si concluda per la venticinquesima volta nella storia – di nuovo eccomi, inguaribile nostalgico a parlare di storia della Coppa che fu! – con un duello sul 2 pari. In altre parole non è assolutamente probabile che questa sfida possa finire 3-2: a questo punto la Croazia può tranquillamente chiudere, anche se dovesse perdere il doppio, 4-1. Vendicherebbe così il 4-2 subito dalla Francia nella finale dell’ultimo mondiale di calcio. Già in prima giornata abbiamo comunque visto sugli spalti la bella signora bionda presidente da oltre tre anni della Repubblica croata, Kolinda Grabar-Kitarovic. Accanto a lei doveva aver annusato l’aria propizia – i politici studiano sempre bene le possibilità di mettersi in mostra nelle occasioni più giuste – anche il ministro dei beni dello Stato Goran Maric.

Era assente invece un altro famoso Goran. Ivanisevic con il suo “allievo” Milos Raonic da qualche giorno si trova alle Bahamas, dove certo il clima è più piacevole che a Lille (5 gradi…). Di ex tennisti croati comunque ce ne sono: Ivan Ljubicic, coach di Roger Federer e manager di Borna Coric, è qui nelle vesti di commentatore della tv croata. Ne fa più di Carlo in guerra. Poi c’è anche Mario Ancic, ormai avvocato di grido ma che tutti continuano a citare per essere lui stato – oltre che n.8 del mondo e poi vittima di un’implacabile mononucleosi – colui che batté Roger Federer a Wimbledon nel 2002. Avrebbe dovuto essere qui anche Niki Pilic, il tennista croato (uno degli Handsome Eight, gli Otto Belli del circuito professionista promosso da Dave Dixon e poi dal WCT di Lamar Hunt) che tutti ricordano perché fu a causa della squalifica inflittagli dalla federtennis croata – per aver lui respinto una convocazione in Coppa Davis – che 78 dei primi 83 giocatori delle classifiche mondiali boicottarono l’edizione di Wimbledon 1973. Da quella prima sommossa “parasindacale” in solidarietà a Pilic, praticamente ebbe origine l’ATP.

Ogni anno dal 2001 durante la finale di Coppa Davis, l’ITF premia un “antico” ambasciatore del tennis che fu con l’Award of Excellence. L’anno scorso ne fu insignito Yannick Noah. Due anni fa Ivan Ljubicic. Risalendo negli anni – oggi di storia vi faccio fare indigestione! – nel 2014 toccò a Forget e Leconte, nel 2013 a Zimonjic, nel 2012 a Lendl, nel 2011 a Emilio Sanchez, nel 2010 a Slobodan Zivojnovic (se non l’aveste a questo punto capito, l’Award viene dato a un “ambasciatore” di una delle due squadre finaliste e quindi dipende molto anche da dove si disputa la finale), nel 2009 Orante, nel 2008 Vilas, nel 2007 Smith, nel 2006 Metreveli, nel 2005 Ivanisevic e Mecir, nel 2004 Santana, nel 2003 Newcombe, nel 2002 Darmon, nel 2001 Neale Fraser. Prima della disputa del doppio avrebbe dovuto essere insignito di questa onorificenza, appunto, Pilic. Ma Pilic non ha potuto accettarla per via di un’operazione al ginocchio. Così – per non far restare tutti a mani vuote proprio nel weekend della sepoltura della Davis – la daranno invece al francese Jean Francois Jauffret, che qualcuno ricorderà essere stato la bestia nera del nostro Adriano Panatta. Jauffret non è stato un grande campione, ha vinto solo due tornei, Buenos Aires e Il Cairo, ma è stato a lungo n.1 di Francia e giocava bene in Coppa Davis. Contro Adriano si buttava all’attacco sul suo rovescio e Adriano di rovescio passava soltanto nelle giornate di grazia. Che non erano poi tantissime.

Dicevo che la Croazia vincerà certamente – non voglio neppure scrivere il quasi – la sua seconda Coppa Davis dopo quella del 2005 a Bratislava. Due su due in trasferta dunque. Fino al 1971 c’era il Challenge Round: la squadra che aveva vinto la Davis giocava solo contro chi era uscita fuori da una competizione riservata a tutti gli sfidanti… un po’ come succede ancora nell’America’s Cup di vela. Nel 1972 tutte le nazioni, suddivise in varie zone geografiche, furono messe sullo stesso piano. Nel 1973 la Davis fu aperta anche ai professionisti, dopo essere rimasta inspiegabilmente a loro proibita sebbene il tennis Open fosse nato nell’aprile 1968 con il torneo di Bournemouth (sulla ricostruzione di queste vicende ho rispolverato un po’ i miei studi rileggendo il libro di Adriano Panatta scritto da Daniele Azzolini; ve ne consiglio la lettura, pubblicheremo presto una recensione).

Dal ’73 a oggi si sono disputate 44 finali – tutte di seguito salvo quella del ’74 in cui l’India dette forfait per non voler affrontare il Sud Africa ancora razzista e in regime di apartheid – e soltanto 18 volte ha vinto la squadra in trasferta. Però ultimamente, fatta eccezione per un anno fa qui a Lille quando la Francia ha battuto il Belgio, il fattore campo ha influito di meno. Prima che nel 2017, infatti, c’erano stato 4 vittorie delle squadre in trasferta: nel 2016 l’Argentina in Croazia (con Cilic sciagurato che dilapidò due set di vantaggio con del Potro e poi Delbonis che sul 2 pari battè Karlovic), nel 2015 la Gran Bretagna dei fratelli Murray che batté a Gand il Belgio, nel 2014 qui Lille la Svizzera di Federer e Wawrinka spense le velleità di Gasquet e soci. Nel 2013 fu la Cechia di Berdych e Stepanek che espugnò Belgrado.

Dopo tutte queste nefaste previsioni per la Francia beh, speriamo almeno che Mahut/Herbert vincano il doppio per tenere in vita la Davis almeno fino a domenica. Anche se i croati non escludono che a scendere in campo possa essere ancora Marin Cilic, al fianco di Dodig, io penso che sia più probabile che giochino invece Dodig e Pavic, due specialisti del doppio. Sarebbe abbastanza sciocco, a mio avviso, che capitan Krajan (ex coach di Baghdatis, per breve tempo di Coric e poi quasi sempre donne, Safina, Cibulkova, Jankovic e Robson) rischi di affaticare Cilic per un doppio che potrebbe benissimo perdere, per poi ritrovarlo stanco per un singolare che dovrà invece assolutamente vincere. Contro Chardy o un “ripescato” Pouille? Inoltre mettendo in campo Pavic e Dodig quella croata sarebbe una vera vittoria di squadra, di tutti e quattro i componenti.

Se sabato sera la Francia avesse accorciato le distanze… preparatevi a leggere un po’ di statistiche su quante volte una squadra ha recuperato in finale a) dopo essere stata sotto 2-1; b) oppure quante squadre hanno vinto la Davis pur avendo perso il doppio in finale (poche, vi preannuncio).

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