Kvitova: "Un lungo viaggio. Non mi sentivo al sicuro, non mi fidavo delle persone"

Australian Open

Kvitova: “Un lungo viaggio. Non mi sentivo al sicuro, non mi fidavo delle persone”

Petra Kvitova, dopo la finale raggiunta all’Australian Open, ripercorre il periodo difficile vissuto in seguito all’aggressione: “Ancora non ci credo. Non ero nemmeno sicura di tornare. Ma sono stata forte”

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Petra Kvitova - Australian Open 2019 (foto via Twitter, @AustralianOpen)
 

La cronaca della semifinale vinta da Kvitova contro Collins

Ne è passato di tempo. Come ci si sente a tornare in una finale del Grande Slam?
Sì, ne è passato un bel po’. Sono passati cinque anni. È per tornare a questo livello che ho lavorato tanto duramente. È una sensazione fantastica. Sono davvero felice di essere di nuovo a questo punto. Ad essere onesti, penso che in pochi avessero fiducia che potessi riuscirci ancora, tornare in campo e giocare a questo livello. Erano davvero pochi. Sono molto felice di avere “quei” pochi intorno a me, è la cosa migliore e sicuramente ti fa sentire bene. Spero che sia così anche per loro, per la mia famiglia e per tutti quelli che mi sono stati vicini quando ne avevo bisogno.

Questi cinque anni ti sono sembrati molto lunghi? Oppure la finale di Wimbledon del 2014 ti sembra vicina?
Quelle sconfitte sono sembrate ininterrotte. Ho avuto due momenti importanti: i quarti di finale degli US Open e anche un buon periodo lo scorso anno negli Stati Uniti. Ma ovviamente, per quanto riguarda l’atteggiamento mentale, non è stato facile affrontare ogni volta una sconfitta negli Slam. Forse è per questo che è una sensazione ancora più piacevole di quanto sarebbe normalmente.

Per quanto riguarda la chiusura del tetto, ne sapevi qualcosa quando sei entrata in campo? Sei stata contenta? Faceva molto caldo, vero?
Sapevo da qualche giorno che giovedì, venerdì, sarebbe stato molto, molto caldo. Quindi stamattina, prima di scendere in campo, ho chiesto al rappresentante della WTA quali fossero le regole. Mi ha detto quello che sarebbe successo. Hanno chiuso il tetto: credo che questa regola sia una gran cosa. Credo che sia meglio avere l’opzione di chiudere il tetto. A volte è molto pericoloso giocare con un caldo così, per cui sono completamente d’accordo con la chiusura.

Hai incontrato Monica Seles a giugno. Ti senti vicina a lei dopo il suo attacco? Il suo ritorno negli Slam, credo, è stato qui a Melbourne. Mi domando se hai avuto qualche contatto con lei…
Veramente non lo sapevo: è una coincidenza carina, allora. No, sfortunatamente non ho alcun contatto con lei, ma come hai detto tu, a giugno l’ho incontrata per la prima volta. In realtà, era lei che voleva incontrarmi, quindi per me è stato semplicemente un grande onore. So che l’incidente ha influenzato molto la sua carriera, soprattutto perché è successo in campo. È stato un po’ diverso nel mio caso, ma è stata una sensazione così bella incontrare qualcuno che ha avuto la stessa brutta esperienza, le stesse preoccupazioni e tutto il resto. È stato molto bello.

Hai lavorato molto duramente per arrivare a questo punto, ma quest’anno sei sembrata particolarmente forte, in termini proprio di forza fisica. Mi chiedo se c’è qualcosa in particolare che hai fatto durante l’off-season per diventare così forte e se ha aiutato anche la tua tenuta mentale?
Non penso di aver cambiato nulla di particolare. Penso solo di aver intensificato la quantità degli allenamenti, più pesi, più corsa, più ore di allenamento. Non penso di aver fatto qualcosa di diverso in particolare. Certo che aiuta anche il mio atteggiamento mentale: so che posso giocare più colpi, reggere più a lungo. Anche se fa caldo, sono in grado resistere, correre e combattere in tutte le condizioni. Sicuramente è tutto quanto insieme, tutto collegato.

Hai parlato delle poche persone intorno a te. Salta agli occhi che ci sono solo poche persone nel tuo angolo. Mi sembra di aver capito che sia stata una scelta cosciente da parte tua. Puoi spiegarci perché è importante avere solo un paio di persone e non una grande squadra?
Sai, c’è una certa distanza tra l’Europa e l’Australia, quindi probabilmente è questo il motivo (sorride). Nel box c’erano il mio coach, il mio preparatore atletico e il mio agente. Loro tre sono stati sempre presenti quando ne ho avuto bisogno. Naturalmente c’è anche qualcun altro, ma l’Australia è lontana. In realtà, penso che quasi tutti quelli che mi hanno aiutato davvero erano con me al primo match degli Open di Francia. A Wimbledon è arrivato anche il mio medico. Quindi non importa che nel box fossero solo in tre, ma è andata così.

Ovviamente il tuo coraggio e la tua storia hanno ispirato molte, molte persone. So che te lo hanno chiesto molte volte, ma potresti dirci cosa hai dovuto affrontare dopo il terribile incidente? E anche, cosa significa vincere alla fine, per raggiungere finalmente una finale Slam.
Veramente ancora non riesco a credere di essere in finale. È anche piuttosto strano, ad essere sincera, perché non sapevo nemmeno se avrei giocato di nuovo a tennis. Non era proprio il momento giusto per occuparsi delle cose. Non è stato solo difficile dal punto di vista fisico, ma anche da quello emotivo. Ci è voluto tanto tempo per riuscire a fidarmi di nuovo delle persone intorno a me, specialmente degli uomini, ovviamente. Non mi sentivo sicura se rimanevo da sola da qualche parte. Ricordo che quando sono rimasta da sola la prima volta negli spogliatoi del club di Praga, sono andata dal mio team e ho detto: “Beh, era la prima volta da sola, ed è andata bene!”. Abbiamo fatto molto, molto lavoro con la mano. È stata una lunga convalescenza, tanta fisioterapia. Penso che la vita da sportiva mi abbia aiutato molto: ho deciso che volevo davvero tornare e ho fatto di tutto per riprendermi. Mi esercitavo con la mano due, tre volte al giorno, e non so se una persona normale lo avrebbe fatto, ma ovviamente avevo bisogno che la mano tornasse in campo. Non solo che tornasse in campo, avevo bisogno che fosse in grado di vivere una vita normale, per così dire. È andata così. Quei tre mesi sono stati molto, molto difficili. Ho scoperto dopo che il mio medico non era molto contento della mia mano al secondo mese, perché le cicatrici erano molto, molto tese e dure, e non avrei potuto fare molto in quelle condizioni. Fortunatamente non me lo ha detto in quel momento, ha aspettato il momento giusto per farlo. Il pensiero di non farcela era presente, e ho dovuto davvero essere forte e non avere un atteggiamento troppo negativo, ma naturalmente ci pensavo. È stato un lungo viaggio.

Un paio di anni fa, hai giocato proprio alla grande. L’anno successivo non altrettanto. Due anni dopo sembri molto maturata. Ti senti così quando scendi in campo?
È ​​difficile dire che non ho giocato bene. Ero ancora in top 10, non penso sia poi così male. È solo che non ho avuto successo negli Slam. Col senno di poi, penso di essere maturata per vincere il secondo titolo a Wimbledon: è stato molto piacevole il fatto di essere in grado di ripetere l’impresa. Non sono sicura di essere più matura ora, penso che sia il normale andamento della vita, ci passano tutti, e penso che sia lo stesso per me.

Hai detto in campo che ti piace giocare nelle finali. Sono curioso di sapere, dato che hai vinto le ultime otto consecutive, quanta fiducia ti dà un bilancio positivo di questo genere nell’affrontare questa finale?
Le ultime otto? Penso che fossero le ultime sette, no?

Penso che siano otto con Sydney.
Davvero? Ok! Quale era la domanda?

Quanta fiducia ti dà il tuo ottimo record nelle finali nell’affrontare questa?
Certo, è meglio sapere di avere una maggiore percentuale di vittorie che di sconfitte nelle finali. Ogni finale è diversa, perché ogni volta c’è una diversa avversaria, un posto diverso e un momento diverso. E anche questa è un po’ diversa perché è la finale di uno Slam, so di avere il 100% di possibilità di vincerlo, ma non si è mai veramente sicuri. Non so nemmeno chi sarà la mia avversaria, quindi vedremo. Come ho detto in campo, mi piace molto giocare le finali. Adoro giocare sui grandi palcoscenici e questa sarà una di quelle occasioni. Non vedo davvero l’ora.

Ovviamente c’è la possibilità che tu possa giocare contro Pliskova. Ha qualcosa a che fare con il sistema tennistico ceco – che ha prodotto molti campioni nel corso degli anni – avere due giocatrici che potrebbero arrivare alla finale?
È una buona domanda, e non so mai dare una spiegazione. Forse qualcosa nell’acqua o nell’aria… ma abbiamo una grande tradizione tennistica nella Repubblica Ceca. Abbiamo tante leggende in questo sport. Penso che il tennis sia molto popolare nella Repubblica Ceca. Quasi tutti sanno giocare. So che è uno sport costoso, quindi non è facile per un bambino poter giocare. Ma penso che abbia a che fare anche con i genitori, che ci portano sui campi da tennis, giocano e passano tanto tempo con noi in campo. E penso che abbiamo bisogno degli allenatori per farci vedere quello che dobbiamo fare nel momento dell’adolescenza, per farci fare quello che dobbiamo fare. Per fortuna abbiamo degli ottimi giocatori. Quando giocheremo le finali della Fed Cup, è bello che il capitano possa scegliere chi giocherà, ed è bello che se qualcuno non si sente veramente pronto, qualcun altro può giocare e vincere. Penso che sia fantastico, e ci dà anche grande motivazione reciproca.

Traduzione a cura di Beatrice Di Loreto

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