Rafa Power, programmato per rivincere. Sonego e la magia del Roland Garros (Crivelli). Su questa terra ci vuole un bel carattere (Cocchi)

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Rafa Power, programmato per rivincere. Sonego e la magia del Roland Garros (Crivelli). Su questa terra ci vuole un bel carattere (Cocchi)

La rassegna stampa del 25 maggio 2019

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Rafa Power, programmato per rivincere (Riccardo Crivelli, Sport Week)

«Il più parigino dei maiorchini». Lo presentò così, nel 2017, Anne Hidalgo, sindaco della Ville Lumière, quando in una cerimonia solenne in Municipio gli conferì la più alta onorificenza cittadina e la cittadinanza onoraria. Nessuno, del resto, l’avrebbe meritata di più di Rafael Nadal. che a Parigi ha costruito gran parte della sua leggenda. Ci sono giocatori che inseguono uno Slam tutta la vita, e poi c’è lui, che da domani si presenta nel tempio della terra rossa a caccia del 12° trionfo. Avete letto bene: 12. ll satanasso di Manacor ha trasformato i campi del Bois de Boulogne nel personale giardino di casa, il parco giochi da cui cambiare la storia e involarsi verso l’immortalità. Nella classifica dei plurivincitori di Slam, solo con gli 11 sorrisi parigini, sarebbe al sesto posto assoluto, solo che poi ci ha aggiunto almeno una perla anche negli altri tre, arrivando a 17, secondo dietro Federer. Un cammino cominciato nel 2005 battendo in finale Mariano Puerta e poi scandito di anno in anno con la precisione di cavaliere invincibile, con appena tre eccezioni: il 2009, quando venne sconfitto negli ottavi da Soderling: il 2015, quando perse nei quarti con Djokovic e il 2016, quando si ritirò prima del terzo turno per un problema al polso. Uno, due, poi il sesto trionfo nel 2011 che lo portò a eguagliare Borg e già sembrava un’impresa fuori dall’ordinario, e poi ancora la cancellazione dello svedese dall’albo dei record nel 2012 e poi ancora e ancora, una macchina inarrestabile. Sul campo, l’hanno battuto in due, a fronte di 86 vittorie. Un primato che rischia seriamente di essere migliorato nelle prossime due settimane: dopo un inizio balbettante nella stagione europea sul rosso, il fresco successo a Roma lo riporta allo Slam francese nel ruolo di sempre. Quello di primissimo favorito. Rafa, che cosa significa arrivare all’appuntamento con lo Slam preferito dopo un’altra grande vittoria a Roma? “Sapete che non guardo mai al futuro, ma al presente: significa molto semplicemente che sono tornato a giocare bene, recuperando un livello agonistico che mi permette di essere molto competitivo. A Parigi penserò dal momento in cui metterò piede in campo per il primo punto. Ho vinto a Roma e sono felice perché è un torneo speciale, io provo a fare del mio meglio a ogni appuntamento. Ma non è garantito che un successo la settimana prima ti porti a vincere uno Slam in quella successiva». Perché questo rapporto cosi intenso con Parigi? «Parigi é un luogo magico. La finale è la partita più importante al mondo sulla terra battuta. Posso dire di aver vissuto sempre esperienze eccezionali su quei campi, fin da quando ero ancora un teenager, tranne che in un paio di occasioni. Ho un rapporto speciale con la terra rossa, perché nel corso del tempo sono stato capace di adattarmi molto bene». Però l’etichetta di giocatore eccezionale in particolare sul rosso le sta un po’ stretta. «Mi gratifica pensare di aver ottenuto risultati eccezionali sulla terra, è un dato di fatto. Ma credetemi, non era cosi automatico come si potrebbe pensare per un giocatore nato in Spagna: come tennista il rosso non è stata la mia unica superficie da bambino e poi da ragazzo, perché mi sono allenato molto anche sul cemento». Quando si sveglia al mattino prima di una partita, il feeling è diverso se sa di dover giocare a Parigi? «Direi di no, sono consapevole che una partita è una partita in tutti i posti del mondo. Ciò che mi dà soddisfazione è che dopo tanti anni riesco ancora ad alzarmi dal letto con la passione che avevo da bambino, cercando sempre la motivazione per ottenere il meglio da me stesso. Poi non posso nascondere che per le condizioni ideali che ho sempre trovato a Parigi, spesso sono consapevole di poter trarre dal mio gioco qualcosa di più». A proposito di condizioni: quest’anno si inaugura il nuovo Centrale. Pensi che possa cambiare il tuo approccio ai match? «Non particolarmente. Ho visto le fotografie, mi sembra un campo bellissimo. Forse cambieranno un po’ le dimensioni, si modificheranno i riferimenti maturati in anni e anni di partite in un contesto sempre uguale, ma questo varrà per tutti. Quindi il vento, il meteo, il calore del pubblico rimarranno gli stessi. Semmai qualche mutamento ci potrà essere dall’anno prossimo, quando arriverà il tetto». A Roma è saltata la possibile sfida con Federer in semifinale, però lo ritroverà tra i protagonisti di Parigi dopo tre anni. «Credo sia stata e sia una rivalità positiva che resterà nella storia del tennis. Tra noi c’è sempre stato fair play. Giocare contro Federer mi ha sempre dato una sensazione particolare, positiva. È senza dubbio uno scontro tra due stili di gioco. Però anche le partite con Djokovic fanno parte di qualcosa che resterà per sempre nel tennis: la finale di Roma ha dimostrato che con lui non puoi mai abbassare la concentrazione. E quando affronti un avversario per 54 volte, come è successo a me e Novak, chiaramente sei di fronte a una rivalità memorabile. Ma Parigi è uno Slam, un torneo lungo. Non saremo solo noi tre i protagonisti: penso anche a Thiem e perche no, a Fognini». La terra à la superficie che chiede di più al fisico e dove le partite hanno una durata media superiore. Una ragione per appoggiare il tentativo dell’Atp di cambiare le regole per velocizzare il gioco? »Non vorrei che si pensasse troppo allo show perdendo di vista l’essenza del tennis. Io credo che lo spettacolo ne possa risentire negativamente». Davvero lei pensa che qualcuno, in futuro, potrà vincere 11 volte a Parigi come è successo a lei? »Ammetto che si tratta di un’impresa fuori dall’ordinario, certamente non è normale che lo stesso giocatore vinca così tante volte uno Slam. Eppure proprio perché ce l’ho fatta io, che sono una persona normale, chiunque giochi a tennis con ambizione e con degli obiettivi non deve precludersi il sogno di realizzare questo sogno, come è successo a me». Perché Rafael Nadal dopo un infortunio riesce sempre a tornare in campo più forte di prima? «Credetemi, non è così semplice. Anch’io ho avuto i miei momenti di frustrazione. Però nella mia vita sono stato comunque fortunato, ho avuto una carriera di gran lunga migliore di quello che avrei sognato, sono felice di ciò che ho raccolto finora. Certo, ammetto di essere competitivo e amo stare in campo, voglio giocare tutte le settimane vincere. E comunque non mi spaventa l’idea che un giorno dovrò smettere. Il tennis è importantissimo ma non è tutto. Ci sono tante altre cose che mi rendono realizzato come uomo, a casa e nel mondo. Ho la mia Accademia e la Fondazione». Ma non aveva detto che una volta smesso con il tennis sarebbe diventato presidente del suo amato Real Madrid? Io non ho mai detto di voler diventare presidente del Real (ride, ndr), ho semplicemente risposto a una domanda in merito. E se mi chiedono se mi piacerebbe quel ruolo, la risposta non può che essere positiva, non credete? In ogni caso il Real ha un grandissimo presidente che sa cosa fare per garantire al club un presente e un futuro radiosi».

Su questa terra ci vuole un bel carattere (Federica Cocchi, Sport Week)

La gioia più grande resta l’Australian Open in doppio conquistato nel 2015 in coppia con Simone Bolelli, compagno e amico. Fabio Fognini quest’anno arriva al Roland Garros con una carica diversa, la sicurezza di un uomo e di un tennista maturo che ha messo in bacheca il trofeo più importante della carriera. Dopo il Masters 1000 di Monte Carlo, il torneo che aveva sempre sognato di conquistare, Fognini può finalmente guardare allo Slam con occhio diverso. Migliorando il rapporto, non sempre idilliaco, con i tornei maggiori. Il migliore risultato sono i quarti di Parigi del 2011, una vita fa, un ricordo che ancora brucia. Dopo aver lottato e sofferto cinque set contro Albert Montañés agli ottavi. Fabio, allora numero 49 al mondo era riuscito a portare a casa l’incontro dopo quattro ore mezza. Il premio sarebbero stati i quarti di finale contro Novak Djokovic ma il ligure, infortunato alla coscia, aveva dovuto rinunciare: «È stata una decisione difficile da prendere, ma i medici mi avevano detto che sarebbe stato pericoloso giocare. A malincuore ho fatto la scelta giusta», ricorda il marito di Flavia Pennetta. Anche a Roma, arrivato sull’onda dell’entusiasmo per la vittoria nel Principato è stato penalizzato dalla coscia, infortunata leggermente durante la finale contro Lajovic. Agli Internazionali, complice una giornata di pioggia che non ha permesso di giocare. Fognini è uscito per mano di uno Tsitsipas in forma 1000 dopo aver giocato, come tutti, due match in un solo giorno. Ne è seguito uno dei suoi classici sfoghi per cosi dire “sopra le righe”, contro il direttore del torneo Sergio Palmieri al quale, il giorno seguente, ha pubblicamente chiesto scusa. Perdonato e pronto a voltare pagina. Fabio, dopo aver festeggiato il secondo compleanno del piccolo Federico, e subito dopo il suo, è tornato a prepararsi per inseguire un traguardo che nemmeno ha il coraggio di nominare, tanto è importante e delicato: «Ho un obiettivo, ma meglio non dirlo. È difficile, è un sogno che rimane nel cassetto, un cassetto che si apre e si chiude da solo. Per adesso è un sogno che rimane lì. Cercheremo di aprire quel cassetto e fare avverare quel bel desiderio, ma è molto difficile, bisogna rimanere con i piedi per terra». E a lui la terra piace tanto. Ci è cresciuto su quel rosso. In famiglia c’è già chi ha vinto uno Slam in singolare. Flavia Pennetta, regina di New York 2015 e moglie di Fabio, negli ultimi tempi è stata vicino a lui anche in campo, affiancando Corrado Barazzutti e Franco Davin: «Prima di Monte Carlo mi hanno ammazzato di allenamenti – ha raccontato il numero 11 al mondo -. Flavia sa cosa vuol dire vincere uno Slam e io spero di arrivarci. È il sogno di qualsiasi giocatore: se conquisti un grande torneo, il passo successivo è quello. Però devo essere realista. C’è ancora tanta strada ed è molto difficile». È vero, oltre alle capacità tecniche di cui Fognini è indubbiamente in possesso, per il trionfo dei sogni devono allinearsi una serie di “pianeti” favorevoli: «Bisogna avere fortuna, bisogna essere bravi a sfruttare le opportunità. È una serie di circostanze, un mix di cose. L’unica certezza è che ti cambia la vita». Fabio nei quattro tornei maggiori non è mai arrivato oltre i quarti di quel 2011 a Parigi, nemmeno nei periodi migliori. E a volte, come a New York 2017, più che la sua prestazione è stato uno dei suoi momenti di “delirio” a fare notizia. Nel secondo turno di Flushing Meadows di due anni fa, nel derby azzurro con Travaglia, Fabio aveva perso la testa contro l’arbitro Louise Engzell insultandola pesantemente. Una scena che, complici i social media, ha fatto subito il giro del mondo costringendo la direzione del torneo a multare e sospendere l’azzurro. Poco dopo Fabio si è scusato, sempre via social, con la signora e con i suoi tifosi: «Vorrei innanzitutto chiedere scusa a voi tifosi e all’arbitro per quanto accaduto». aveva scritto Fabio: «È semplicemente stata una giornata molto negativa, ma ciò non perdona il comportamento avuto nel match. Nonostante io sia una testa calda e pur avendo secondo me avuto ragione nel più delle circostanze, ho sbagliato. Che poi in fin dei conti è solo una partita di tennis». Dopo di allora, Fabio ha limitato le sue uscite fuori dal seminato, e lo scorso anno ha conquistato tre titoli Atp risalendo il ranking. L’inizio del 2019 invece è stato, fino a Monte Carlo, di segno completamente opposto. Problemi fisici, risultati che faticavano ad arrivare: «Prima di Monte Carlo ammetto di aver toccato il fondo. Fino all’Australia penso di aver giocato anche piuttosto bene, ma gli ultimi due mesi sono stati veramente difficili. In allenamento sentivo buone sensazioni, poi in partita non mi riusciva proprio nulla. Così mi innervosivo, spaccavo racchette ed ero furibondo. Avevo smarrito la voglia di lottare». Ora tutto va bene, dopo aver raggiunto il best ranking e aver centrato il primo 1000 della carriera si può tirare fuori quel sogno dal cassetto: «La verità? Penso che tutti i tornei sulla terra europea abbiano un solo favorito, cioè Nadal. Ma il sogno non si spegnerà mai».

Sonego e la magia del Roland Garros (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Parigi o cara. E passando dalla porta principale. Eliminato al secondo turno delle qualificazioni un anno fa, stavolta Lorenzo Sonego si è guadagnato per classifica (attualmente è numero 73 dopo essere arrivato al best ranking di 66) l’ingresso in tabellone al Roland Garros. E che debutto: gli toccherà subito Sua Maestà Federer. Completa così lo Slam personale, almeno per le partecipazioni, visto che il torneo francese era l’unico che non aveva mai giocato. Fare esperienza Un’altra tappa dell’imperioso percorso di crescita dell’allievo di coach Gipo Arbino, che a fine gennaio era 113 Atp e poi ad aprile si è regalato due quarti di finale, a Marrakech e soprattutto al Masters 1000 di Montecarlo, confermando che il suo unico limite potrà essere il cielo. Il tennista visto nel Principato, tra l’altro, sui campi del Bois de Boulogne non sarà una comparsa destinata a un rapido saluto, nonostante preferisca tenere un profilo sotto traccia: «Devo ancora imparare tutto, un appuntamento come il Roland Garros serve per fare esperienza, per accumulare conoscenze che mi permettano di rimanere in alto. Al torneo chiedo di confermare il livello di tennis che ho espresso per tutta la primavera e magari migliorarlo». Certo, la terra non sembrerebbe la superficie d’elezione per l’ex attaccante delle giovanili del Toro (ha scelto definitivamente il tennis a 13 anni), in possesso di uno stile aggressivo ancorato a un servizio micidiale sopra i 200 all’ora e a un dritto esplosivo: «In realtà da ragazzino ero un pallettaro, perché il mio fisico esile non mi consentiva di spingere troppo la palla, e sulla terra mi trovo comunque bene perché mi permette di giocare tante rotazioni diverse. Ma se devo scegliere uno Slam dei sogni, forse dico Wimbledon per l’atmosfera». Restare umile A 24 anni, un’età che di solito ha già coniugato la carriera con il successo, Sonego è pronto a consolidarsi tra i top player: «Ognuno matura con i suoi tempi, adesso comincio a rendermi conto che giocare contro i più forti del mondo non è più così incredibile. Sono più costante, ma resto con i piedi per terra». L’umiltà è un tratto di famiglia, con i genitori che non gli hanno mai messo pressione: «Sono il mio rifugio, non si sono mai intromessi. E poi c’è Gipo (coach Arbino, ndr) che per me è un secondo padre e non lo lascerò mai: preferirei essere numero 20 con lui che numero uno con un altro allenatore». I grandi risultati del tennis maschile azzurro di questo ultimo anno rappresentano indubbiamente un’altra spinta verso il vertice: «Sono contento quando vincono gli altri italiani, l’invidia non mi appartiene. E di alcuni di loro, come Berrettini, sono anche molto amico. Certamente le vittorie reciproche sono uno sprone per tutti». Lorenzo non ha la fidanzata («E difficile gestire i rapporti con una vita come la nostra, sono sempre in giro e lontano da casa») e il rapporto con il denaro è da ragazzo con la testa sulle spalle: «Ho ancora la mia prima auto, una Polo, e i soldi che guadagno servono per migliorare il mio team. Vediamo che succederà a fine carriera». Con semplicità verso il paradiso.

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