E Fognini si mette il 10 sulla maglia (Scanagatta). Fognini 10°, ora è ufficiale. "Ma non mi fermerò qui" (Grilli). Il più grande, per due (Azzolini). Nadal, l'ultimo cannibale (Grilli)

Rassegna stampa

E Fognini si mette il 10 sulla maglia (Scanagatta). Fognini 10°, ora è ufficiale. “Ma non mi fermerò qui” (Grilli). Il più grande, per due (Azzolini). Nadal, l’ultimo cannibale (Grilli)

La rassegna stampa di martedì 11 giugno 2019

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E Fognini si mette il 10 sulla maglia (Ubaldo Scanagatta, Giorno-Carlino-Nazione Sport)

Dai tempi dell’antica Grecia, e dei Giochi di Olimpia, ogni Paese celebra i propri atleti dello sport come fossero eroi. La Spagna, perfino con il suo Re, festeggia Rafa Nadal, il più grande campione che la penisola iberica abbia mai avuto, almeno fra quelli con racchetta in mano, sebbene ne abbia avuti tanti, ben 17 topten e anche campioni di Wimbledon come Manolo Santana (1966) e dell’US Open, come Manolo Orantes (1975), del Roland Garros Andres Gimeno (1972), Sergi Bruguera (1993-94), Albert Costa (2002), Juan Carlos Ferrero (2003), ma trionfare 12 volte in 12 finali come Rafa Nadal, senza mai neppure dover ricorrere al quinto set non ha e non credo avrà mai eguali. Nel suo piccolo l’Italia, che ha avuto soltanto due vincitori di Slam fra gli uomini (Pietrangeli 1959-60 e Panatta 1976 a Parigi) e due fra le donne (Schiavone 2010 a Parigi e Pennetta, la signora Fognini, 2015 a New York), celebra da ieri ufficialmente il terno top ten dell’era Open con Fabio Fognini, 40 anni dopo Corrado Barazzutti che salì a n.7 nel ’78 e era ancora 10 nel gennaio ’79, con Adriano Panatta che era stato n.4 nel luglio 1976 e n.7 a fine anno. Le donne italiane top-ten sono state invece 4: Schiavone n.4, Errani n.5, Pennetta n.6, Vinci n.7. Quarantuno sono stati gli italiani top-100, a oggi, dall’agosto ’73 (cioè quando “nacque” il computer ATP che vedeva Paolo Bertolucci n.12). I top-20 sono stati n.12 Bertolucci, n.16 Cecchinato, n.18 Gaudenzi, Seppi e Camporese, n.19 Furlan. Il tennista di Arma di Taggia, nato il 24 maggio 1987, 2 giorni dopo Djokovic e 9 giorni dopo Andy Murray, ha detto ieri: “Oggi faccio un po’ fatica a capire che significa quel numero accanto al mio nome. È un sogno che si avvera. Vorrei però andare anche oltre. Il successo a Montecarlo ha cambiato le mie aspettative. Ora sono più consapevole dei momenti che prima non riuscivo a gestire. Firmerei per arrivare nei quarti o in semifinale di uno Slam adesso… sarebbe la ciliegina sulla torta della mia carriera! Una finale? Beh sarebbe un altro sogno meraviglioso che si avvera”. Il 1 luglio comincia Wimbledon, ma per Fabio è lo Slam più ostico.

Fognini 10°, ora è ufficiale. “Ma non mi fermerò qui” (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)

Era certo già da qualche giorno, ma vedere finalmente, sul sito dell’Atp, il suo volto sorridente affiancato a quel numeretto a lungo inseguito, il 10, faceva un certo effetto. E non solo a noi, tanto che papà Fulvio ha twittato ieri mattina l’immagine, accompagnata da un eloquente «finalmente un obiettivo raggiunto». Ieri, lunedì 10 giugno 2019, Fabio Fognini è sbucato per la prima volta nella Top 10 del tennis mondiale, sesto italiano di sempre a riuscirci, dopo i pionieri De Morpurgo e De Stefani, e poi Pietrangeli, Panatta e Barazzutti, l’ultimo azzurro a far parte di questa ristretta cerchia, giusto quarant’anni fa. Considerando il talento innegabile e il grande tennis che in certi momenti ha messo in mostra negli ultimi anni, il trentenne ligure è arrivato a questo traguardo un po’ tardi, tanto che la stessa associazione giocatori ha ricordato ieri che Fognini è il giocatore più anziano a entrare per la prima volta nella classifica dei primi 10 da quando Ken Rosewall e Rod Laver, all’età rispettivamente di 38 e 35 anni, furono inseriti nella primo ranking partorito dal computer dell’Atp. Era il 23 agosto 1973. «In questo momento faccio ancora un po’ di fatica a capire quello che sta succedendo – ha detto Fognini nello speciale che ieri gli ha dedicato Sky – e quel numero vicino al mio nome è uno dei miei sogni che si avvera, ma con l’intento di provare ad andare un po’ oltre questo numero, perché comunque ho vinto un grande torneo e ora sono arrivato tra i primi 10. È un traguardo che ho sempre desiderato e cercato, quindi mi godo il momento. Ovviamente la vittoria di Montecarlo è stata fondamentale, ha cambiato le mie aspettative, la mia presenza in campo e soprattutto fuori dal campo. Adesso sono più consapevole dei momenti che prima non riuscivo a gestire e questo mi ha portato a raggiungere questo grande risultato». Corrado Barazzutti, capitano della nostra squadra di Davis e da qualche mese fondamentale elemento aggiunto allo staff del campione ligure, sostiene che per Fognini il decimo posto dev’essere un punto di partenza, non di arrivo. «I tornei dello Slam? È un sogno che rimane lì – continua Fognini – sinceramente firmerei per arrivare nei quarti o in semifinale, perché sarebbe comunque un risultato storico, però il languorino di arrivare in fondo a uno Slam sarebbe la ciliegina sulla torta della mia carriera, che poi a livello di classifica conta relativamente poco. Sono solo numeri che premiano il lavoro fatto attraverso le partite e i tornei vinti durante l’anno, però se ora dovessi sognare in grande, sicuramente giocare la finale di un Grande Slam sarebbe meraviglioso». Fognini è decimo nella classifica con 70 punti di vantaggio su Isner e meno di 200 dal nono posto di Khachanov, mentre Anderson (ottavo) è avanti di circa 800 punti. Il nostro tornerà in gara solo a Wimbledon (il via il 1° luglio) dove un anno fa uscì al terzo turno, contro il ceco Vesely, guadagnando solo 90 punti. I suoi rivali più vicini hanno da questo punto di vista problemi più grossi: Khachanov deve difendere i 180 punti degli ottavi di finale, Isner i 720 della semifinale, Anderson addirittura i 1200 della finale, raggiunta dopo l’infinita sfida con lo statunitense […].

Il più grande, per due (Daniele Azzolini, Tuttosport)

E se le capre fossero due? Sì, insomma, se non fossimo noi a vederci doppio, ma fosse il tennis ad aver preso la decisione, a suo modo storica, persino coraggiosa, certo salomonica e uno zinzino democristiana, di allargare il piccolo gregge che guida il nostro sport? Due capre… Che idea! Greatest Of All Time al quadrato, Goat Uno e Goat Due, lo yin e lo yang della pastorizia sportiva. Le vittorie di Rafa Nadal a Parigi portano con sé il vento delle discussioni, che sono linfa vitale per qualsiasi sport, ma nel tennis si ripropongono tali e quali da 15 anni, da quando Rafa vinse il primo Roland Garros e si mise sulle tracce di Roger Federer. Era il 2005. Discussioni appassionate, talvolta animose, riproposte però da cima a fondo ogni qualvolta se ne sia presentata l’occasione, sempre uguali nell’intreccio delle valutazioni e nel confronto delle cifre. Anche questo Roland Garros della dozzina, certo non dozzinale, che spinge Nadal quasi a contatto con Federer in quanto a vittorie nello Slam, non cambia il duello in atto fra le opposte fazioni. Pare di sentirlo il dibattito in sottofondo. Roger è a 20 Slam, dicono i federeriani, sì, ma Rafa è a 18 e non era mai stato a meno due dal rivale, ribattono i nadalisti. Nadal ha realizzato un record da fantascienza vincendo 12 volte il Roland Garros, e può renderlo ancora più inavvicinabile; Federer ha vinto tanto ovunque, a cominciare dagli otto Wimbledon, e nonostante tutto ha messo le mani anche sul trofeo di Parigi, dove è stato per non meno di sei stagioni il numero due. Rafa ha un oro olimpico, Roger un argento in singolare e un oro in doppio, ma ha sei vittorie nelle Atp Finals, e Rafa manco mezza. Vero, ma lo spagnolo ha vinto 34 titoli dei Masters 1000, Federer solo 28, e sono sei vittorie in più, proprio come le Atp Finals dello svizzero che pero non ha mai avuto un “1000” sull’erba, altrimenti quanti ne avrebbe vinti? E ancora, Federer è stato più a lungo il numero uno (302 settimane), Nadal vince nei confronti diretti (24-15). Basta, fermiamoci. Ha davvero senso proseguire? Chi sia il più grande è dilemma con troppe risposte, per averne una sola che metta d’accordo tutti. Se anche Rafa raggiungesse Federer nel conto degli Slam vinti, e può farlo benissimo a colpi di Roland Garros, visto come si è imposto negli ultimi tre anni e con quale furia abbia tenuto a distanza la concorrenza, nemmeno la parità nella classifica Majors risolverebbe la disputa. Le truppe federeriane risponderebbero, con tutta probabilità, che la scelta del Goat è già avvenuta da tempo, per espressa volontà degli appassionati. Non solo titoli e numeri, insomma, ma qualità dei colpi, emozioni, carisma, passione. E così, all’infinito. «L’obiettivo non è raggiungere Federer ma vincere più titoli possibile da qui a quando sarà il momento di dire basta», ha spiegato Nadal, che è il più grande sportivo nei confronti degli avversari, ma anche uomo tutto d’un pezzo, per natura poco incline a giudicare con occhi critici i suoi passi falsi. «In ogni caso», ha infatti aggiunto, «c’è da chiedersi dove sarei se non avessi avuto tutti quegli infortuni». E qui sbaglia, il buon Rafa, perché i tanti (troppi) guasti al fisico non è stata la sfortuna a procurarglieli, ma il suo tennis, lo stesso che gli ha permesso di vincere dodici volte a Parigi. Un gioco costruito su colpi così eccessivi (a cominciare dalla scelta di impugnare la racchetta da mancino, lui destro in tutto), da condurlo spesso oltre i limiti accettabili per il suo corpo […] Su queste valutazioni si giocherà il futuro del tennis sul mattone. Nadal contro i giovani. E per quando riguarda lassù, i campi elisi del tennis, lasciate che a galopparvi in amicizia e spensieratezza, siano Roger e Rafa. Se lo sono meritato.

Nadal, l’ultimo cannibale (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)

Quando Bjorn Borg vinse per la sesta volta sulla terra del Roland Garros, in otto tentativi (particolare che noi italiani ripetiamo spesso perché l’unico giocatore a battere l’Orso svedese a Parigi – e due volte! – fu il nostro Adriano Panatta) ci si domandò se tale impresa sarebbe mai stata ripetibile, se non migliorabile. A 38 anni dall’ultimo trionfo parigino di Borg, ci ritroviamo ammirati e stupefatti di fronte a un campione che – a capo di una carriera costellata di infortuni che avrebbero già mandato in pensione non pochi tra i suoi rivali – ha semplicemente doppiato domenica quanto fatto dallo svedese, alzando per la dodicesima volta il trofeo destinato ai vincitori del Roland Garros. E di nuovo ci si domanda se quanto fatto dal mancino spagnolo resterà nei secoli imbattuto, anche se forse la domanda corretta a questo punto dovrebbe essere: quante altre volte Nadal vincerà, almeno sulla terra amica di Parigi, prima che decida di ritirarsi? In fin dei conti ha 33 anni, e lo zio Toni – che lo conosce come nessun altro – assicura che altre due-tre stagioni a questi ritmi le può assicurare. I suoi avversari (Federer per primo, che ha solo due Slam di vantaggio) possono cominciare a preoccuparsi, se già non l’hanno fatto. Dodici trionfi in 15 tentativi (nel 2016 si ritirò per un infortunio dopo le prime due partite), 93 vittorie su 95 incontri giocati (il bottino di Borg a Parigi fu di 49 vittorie e 2 sconfitte), è incredibile come sulla terra battuta di Parigi Nadal sappia diventare praticamente imbattibile. Nessun altro giocatore, uomo o donna che sia, ha vinto così tante volte un torneo del Grand Slam Il precedente record era condiviso con l’australiana Margaret Court, che tra il 1960 e il 1973 trionfò per 11 volte negli Open d’Australia, torneo che però a quei tempi era spesso disertato dai campioni non di casa, tanto da essere considerato la “gamba zoppa” dello Slam. Insomma, la sua serie di vittorie al Roland Garros dev’essere considerata come uno dei più straordinari risultati mai ottenuti nella storia dello sport mondiale, al livello di quanto compiuto dai più celebrati Cannibali dell’era moderna, da Lindsay Vonn a Michael Schumacher a Valentino Rossi. Ognuno di questi campioni aveva o ha una pista o un circuito preferito, dove si sente o si sentiva davvero a casa. Ecco, sulla terra del Roland Garros Nadal deve sentirsi a suo agio come nella natia Maiorca, dove ieri è tornato per qualche giorno di riposo (e di pesca) prima di tornare al lavoro in vista di Wimbledon. A Londra non partirà certo favorito, però… […] La difficoltà di giocarci contro soprattutto sulla terra, è stata espressa bene da Federer dopo la sconfitta di venerdì. «Ti fa sentire a disagio il modo in cui difende il campo e gioca sulla terra – ha detto con la consueta lucidità il campione svizzero – È incredibile come regga da dietro e poi riesca a sprintare dalla linea di fondo. E quando devo incontrarlo, non so neanche chi cercare per andarmi ad allenare, non c’è nessuno che giochi anche solo lontanamente come lui». E poi c’è la sua proverbiale voglia di vincere, di non abbassare mai la tensione, frutto del lavoro terribile a cui lo ha sottoposto per tanti anni lo zio Toni […].

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