Sergio Tacchini, come un boomerang

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Sergio Tacchini, come un boomerang

Fasti, crisi e rinascita dello storico marchio Sergio Tacchini che ha “scoperto” tante leggende del tennis come Nastase, McEnroe, Wilander, Sampras, Hingis e Djokovic

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Sulla scia di Fila, Champion o Ellesse, il marchio Sergio Tacchini gode oggi di una rinascita inaspettata. Lo sportswear vintage è di moda presso gli hipsters e per strada, dove le maglie con la celebre ‘T’ hanno ottenuto tanto successo quanto sui campi da tennis. Ma, dalla polo di McEnroe ai capi in voga oggi, il percorso del marchio italiano è stato alquanto tortuoso, tra la Cina e l’Italia, tra intuizione visionaria e effetto boomerang.

Situato un tempo a Bellinzago Novarese, in Piemonte, il celebre brand italiano si muove oggi nella moda operando a Milano, sotto bandiera cinese. Eppure, Sergio Tacchini rappresenta per l’Italia ciò che Lacoste rappresenta per la Francia e Fred Perry per la Gran Bretagna. In passato, aveva perfino contribuito a porre fine alla loro egemonia nelle linee di abbigliamento per il tennis, prima che arrivassero i colossi Reebok, Nike e Adidas. Negli anni d’oro, la ditta italiana contava più di 200 negozi monomarca con centinaia di dipendenti in tutta Europa, rappresentata dalle più grandi star del tennis internazionale.

Il periodico francese Courts  ha realizzato un “viaggio” attraverso le tappe salienti del celebre brand italiano Sergio Tacchini, dalla sua creazione – alla fine degli anni Sessanta – fino ad oggi. Firma apprezzatissima da grandi campioni e personalità del tennis mondiale per più di quarant’anni, la Tacchini conosce la crisi agli inizi del 2000, per poi risollevarsi e vivere così, da alcuni anni, una seconda giovinezza tennistica.

Oggi, Sergio Tacchini è una brand company, un marchio distribuito unicamente sotto licenza, che non gestisce più né la distribuzione né la produzione dei propri capi. Non ci sono più negozi della Tacchini e le collezioni vengono create in un ufficio milanese con otto dipendenti, oltre alle cinque persone che si occupano del marketing e della comunicazione. Ma la Tacchini può contare ancora, soprattutto, sulla sua immagine e la ricca storia nel tennis mondiale: con le sue polo sono stati vinti una quarantina di Slam e, perfino alcune sconfitte, con esse sono diventate un mito.

Prima di ricamare le proprie iniziali sulle polo, Sergio Tacchini giocava piuttosto bene a tennis. Nel 1966, a 28 anni, ritiratosi dalle gare, l’ex campione d’Italia sogna di portare stile e colori sui campi da tennis. Crea la società Sandys, per poi preferire il proprio cognome per il marchio di outfit “sportivi ma eleganti“, indossati inizialmente dai suoi ex colleghi ed amici. Il celebre logo, con la S che ingloba la T, viene ulteriormente arricchito nel 1970 con i colori, in un mondo in cui si gioca sempre in bianco. Un’intuizione geniale, presto seguita da un fiuto diventato leggendario.

Dal 1968 il tennis diventa professionistico e negli anni Settanta la televisione intensifica la trasmissione delle partite, le cui star bucano lo schermo. Dopo Ilie Nastase, Tacchini punta su un giovane e focoso americano, una rockstar in pantaloncini che farà nascere il primo “mito” del tennis. Campione juniores al Roland Garros, un certo John McEnroe firma infatti uno dei primi contratti di sponsoring professionistico nel tennis, dopo una birra e una promessa scambiatesi in un qualche pub nel cuore di Londra tra suo padre e Sergio Tacchini in persona.

John McEnroe diventerà il campione che tutti conosciamo e l’amato od odiato ribelle in campo. Negli anni Ottanta, McEnroe simboleggia, suo malgrado, l’arrivo dello sponsoring a suon di milioni di dollari; Big Mac resterà fedele al marchio italiano fino al 1986. “McEnroe viene pagato fino a 400.000 dollari all’anno per indossare Tacchini, una delle firme italiane più care” scriveva il New York Magazine nel 1983, “e oltre a fornire l’abbigliamento a più di 200 insegnanti e giovani promettenti, la compagnia ha sotto contratto altri 25 giocatori in tutto il mondo“.

McEnroe con i capi Tacchini è, in quell’epoca, il simbolo dello stile per eccellenza. Andando oltre il proprio status di campione del tennis, McEnroe il ribelle diventa un personaggio della cultura pop. A tal punto che, nel 2017, il film Borg/McEnroe ripercorre il confronto tra Big Mac e il grande rivale svedese durante la mitica finale di Wimbledon nel 1980 (persa da John). Un personaggio indissociabile dal suo outfit tant’è che, per alcuni, in quel match leggendario, si tratta perfino di un duello tra Tacchini e Fila. Infatti, nonostante i completi fossero “casual”, sul campo da tennis il signor Tacchini non scherzava in quanto ad eleganza.

Mentre le collezioni si moltiplicano, tra cui anche quella del prêt-à-porter, meno sportiva, negli anni Ottanta e Novanta Tacchini riscontra grande successo anche nella gioventù più popolare, che frequenta meno i country club ma che impazzisce per i marchi di qualità, rappresentati da un coccodrillo o da una ‘T’. “L’indumento Tacchini è un simbolo di successo nelle banlieues” si leggeva nel settimanale francese L’Express nel 1998, che faceva notare come il fatturato dell’azienda fosse passato da 400 milioni a più di 1 miliardo di franchi in tre anni (da 61 a 152 milioni di euro circa).

Il fiuto di Tacchini si ripete. C’erano già stati Ilie Nastase, Jimmy Connors, Vitas Gerulaitis, Pat Cash, Martina Navratilova, Mats Wilander… Ma all’alba degli anni Novanta le star del tennis sono sempre più “care” e per evitare di svuotare le casse, bisognava puntare al futuro: individuare le stelle ancora accessibili ma promesse alla gloria. Una di queste sarà Pete Sampras, su cui Tacchini continua ad avere fiducia. Dopo due anni dal sodalizio, Sampras vince lo US Open battendo Agassi: l’inizio di una carriera eccezionale. Un grande vantaggio per Tacchini, finché Pistol Pete non passa a Nike nel 1993, marchio che simboleggia una nuova epoca.

Ecco che esplodono anche le multinazionali dello sport, come il brand americano e Adidas, rulli compressori che travolgono i concorrenti italiani, proprio come questi si erano imposti in campo su Lacoste e Fred Perry. Gabriela Sabatini e Sergi Bruguera indosseranno ancora con orgoglio la “T” ma Martina Hingis diventa presto un altro “sassolino” nella scarpa della firma piemontese. Le due parti sono legate dal 1997 ma i rapporti sono tesi e, alla fine, interverranno gli avvocati dopo un rifiuto della giocatrice di indossare i completi del brand. La tennista svizzera sporgerà perfino denuncia nel 2001 nei confronti del suo sponsor per un infortunio “cronico causato dalle scarpe da tennis realizzate da Sergio Tacchini“.

In campo, Goran Ivanisevic e Juan Carlos Ferrero sfoggiano le polo. La società adotta parallelamente il nome di Sergio Tacchini SpA. Nonostante la delocalizzazione (sul modello di Nike), il fatturato diminuisce. Nel 2006 la ditta è vicina al fallimento e, l’anno successivo, i cinesi di Hembly ne concludono l’acquisto. Sergio non svolge più alcun ruolo nell’azienda che porta il suo nome. Oggi, a 80 anni, non solo gioca ancora a tennis ma anche a golf. Quanto ai tornei, preferisce ormai seguirli in televisione che dalle tribune.

I nuovi proprietari promettono più di 200 negozi in Cina e un focus sul tennis, sotto il segno di un “lusso accessibile”, dopo anni di calo dei prezzi che hanno svalutato la firma. Ciò si concretizza nel 2009 con Tommy Robredo, Flavia Pennetta, con Steve Darcis e i fratelli Rochus. E, soprattutto, con un contratto di 10 anni con Novak Djokovic, felice di seguire le orme dei suoi “idoli Pete Sampras e John McEnroe. Hanno vinto quasi tutti i titoli… indossando il logo Tacchini“. Il serbo, allora 22 anni è a quell’epoca n. 3 del mondo e ha vinto ‘soltanto’ l’Australian Open. Due anni dopo è il primo in classifica e conquista in una sola stagione l’Australian Open, Wimbledon e lo US Open.

Tacchini è di nuovo ai vertici del tennis. Tuttavia, anche se l’ammontare del contratto è relativamente basso, i premi in caso di vittoria lo sono molto meno; la distribuzione del marchio negli USA non funziona e l’azienda deve rinunciare a una grossa parte di mercato. Inoltre, ad ogni vittoria del suo pupillo, i bonus costituiscono un grosso fardello per l’azienda che non riesce a saldarli nei tempi previsti. La partnership si conclude così nel maggio del 2012 e la giapponese Uniqlo ne approfitterà per rappresentare il serbo.

Da allora, la Tacchini si concentra sul suo nuovo quartier generale a Milano per creare nuove collezioni. Forte di una “storia nel tennis che pochi possono eguagliare“, il marchio cavalca l’onda del vintage. Nel 2016, per i suoi 50 anni, propone una “serie limitata della mitica polo Young Line indossata da John McEnroe”. La gamma “Archivio” è infatti dedicata alla riedizione di pezzi d’epoca. Anche se i giocatori testimonial della Tacchini oggi non sono tra i migliori in classifica, il marchio è per l’undicesimo anno partner del prestigioso torneo di Montecarlo e ha venduto più di un milione di capi nel 2018, un aumento superiore al 40% rispetto all’anno precedente.

Ricordiamo che, dall’anno scorso, Tacchini veste anche Francesca Schiavone, campionessa del Roland Garros 2010, ex numero 4 WTA, la tennista italiana più forte di sempre. Insomma, il talento consiste nell’afferrare il boomerang prima che ci colpisca…

Francesca Schiavone nello stand Tacchini a Montecarlo (foto di Gianni Ciaccia)

Traduzione a cura di Laura Guidobaldi

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