Vajda, l'ombra vincente di Nole (Crivelli). Il tallone di Federer, creativo ma irregolare (Clerici). Paolo Bertolucci: "Mi hanno insultato dopo la telecronaca" (Rossi). Vince ma non piace (Azzolini)

Rassegna stampa

Vajda, l’ombra vincente di Nole (Crivelli). Il tallone di Federer, creativo ma irregolare (Clerici). Paolo Bertolucci: “Mi hanno insultato dopo la telecronaca” (Rossi). Vince ma non piace (Azzolini)

La rassegna stampa di martedì 16 luglio 2019

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Vajda, l’ombra vincente di Nole (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

AIla fine, si torna sempre lì. Alla madre di tutte le partite. Anzi, di tutte le sconfitte. Quarti di finale del Roland Garros 2018, Djokovic perde in quattro set da Marco Cecchinato, numero 72 del mondo e sostanzialmente uno sconosciuto a quei livelli. Una delle più incredibili sorprese di sempre. Distrutto, a fine match un Novak spettrale sembra quanto di più lontano possa esserci da un giocatore di tennis che voglia continuare a faticare in campo. Coach Vajda, ricordando quella giornata, dirà: «È stata davvero dura, la sconfitta peggiore, perché non sapevo se avrebbe sopportato ancora di perdere, come ormai gli accadeva troppe volte». Appena 13 mesi dopo Nole non solo è tornato numero uno del mondo (allora era 22), ma ha vinto quattro Slam su cinque, l’ultimo domenica a Wimbledon al culmine di una delle partite più belle della storia che ha sublimato, una volta di più, la sua forza mentale contro un rivale pazzesco come Federer. Siamo di fronte a una delle più incredibili resurrezioni agonistiche di sempre, dopo un percorso tormentato, travagliato, a volte cervellotico ma che alla fine è approdato, per tornare al successo, alle vecchie, solide certezze di un tempo. Lo spartiacque, ancora una volta, è il Roland Garros, ma del 2016, quando Djokovic finalmente si toglie dalle spalle la scimmia dell’unico Slam che gli manca battendo Murray in finale. Dopo cinque anni intensissimi, la rincorsa si è conclusa e la testa perfetta di Robonole si prende una pausa: il tennis con i suoi sacrifici non è più il primo pensiero, ci sono questioni familiari da risolvere e una vita fuori dai campi da scoprire. Il Djoker si affida allora al guru spagnolo Pepe Imaz, ex giocatore che ha un approccio spirituale all’agonismo, pace e amore applicati alle racchette. A fine 2016, e non può essere altrimenti, se ne va Becker, che era con lui dal 2013 e con cui aveva conquistato sei titoli dello Slam, e tre mesi dopo Novak si separa anche da Vajda, dal 2006 fidato consigliere non solo tecnico, il coach che da teenager lo ha fatto diventare uomo. Così, chiama Agassi, che non ha alcuna esperienza da allenatore ma come lui è passato in carriera attraverso la nausea per il suo sport. Un’esperienza sostanzialmente fallimentare, anche perché il serbo nel frattempo decide di operarsi al gomito destro sofferente da tempo e si ferma sette mesi. E quando rientra, un po’ in anticipo sui tempi di recupero consigliati dai medici, si imbatte in due sconfitte pesantissime a Indian Wells e Miami. Nole è l’ombra del campione che fu. Per uscirne, non può che tornare all’antico: a fine marzo 2018 richiama Vajda e ricostruisce tutto lo staff dei grandi successi. Il crollo con Cecchinato, che aveva fatto temere il peggio per il prosieguo della carriera del serbo, sarà l’abisso da cui risalire: «La condizione che avevo posto — rivelerà poi il coach slovacco — era che nel team non ci fosse più Imaz, non volevamo trattare il tennis come una filosofia e non volevamo che Nole fosse influenzato da persone che conoscono il gioco ma non capiscono la psiche di un atleta di alto livello». Malgrado un relazione decennale, ripartire non è stato semplice: «Aveva molti dubbi. Giustamente continuava a considerarsi un campione, è stato difficile lavorare senza guardare il passato e senza pensare al futuro. Gli ho suggerito soltanto di riprendere le sue abitudini. Serviva tanta fiducia reciproca, soprattutto per superare i momenti duri». La finale del Queen’s persa con Cilic è una ripartenza, ma è Wimbledon 2018, in particolare la spettacolare semifinale contro Nadal, che segna definitivamente la rinascita: «La partita della svolta – riconosce Vajda – e un match incredibile. Dopo aver vinto, Novak non ha più avuto la paura della sconfitta». E i tempi del guru sono finiti nell’oblio: «Ora si lavora come un team – sono sempre le parole del coach – e il team di adesso è quello che mi piace di più» […] Nella finale di domenica, nei tre tie break, Federer ha commesso 11 errori gratuiti, Djokovic nessuno. Perché giocare bene conta, ma giocare bene i punti importanti è il marchio dell’immortalità.

Il tallone di Federer, creativo ma irregolare (Gianni Clerici, Repubblica)

L’hanno vista tutti […] L’ha vista anche il mio farmacista Carlo forse perché era domenica e non aveva da dispensare consigli ai suoi clienti, come i farmacisti di una volta che scomparivano dal banco per riapparirvi con la scatolina adatta a ogni richiesta. Chissà se la medicina non avrebbe potuto essere utile a Roger Federer, del quale mi si chiede perché abbia perso, mentre io non sono professionalmente in grado di rispondere, anche perché non son riuscito a trovare al telefono un mio ex-allievo che mi ha largamente superato, il coach Riccardo Piatti. Un paio di amici, sorpresi quanto me sulle statistiche che vedete, nettamente favorevoli a Federer, non si capacitano del risultato, apparentemente inspiegabile. Uno che vince nel 90% dei settori, non può alla fine ritrovarsi battuto, commentano. Il quesito è stato forse risolto da un amico che concede, insieme, visite psicologiche e lezioni di tennis, e al quale ho promesso di non rivelare il nome. Lo citerò dunque soltanto quale Gianluca. Quel che potrà tentar di rendere logica la sconfitta di Federer è un dato molto ben nascosto tra suoi, i dati positivi e altrimenti incomprensibili. Si tratta dei punteggi dei tre tie-break vinti da Djokovic. In quelle tre circostanze Nole ha concluso per 7 punti a 5, 7 punti a 4, 7 punti a 3, in decrescendo. Questo significa che, giunti al crepaccio gelato del tie-break bisogna rischiare meno, essere più regolari, più attenti, meno immaginifici, più solidi? Non so spiegarlo io stesso, soltanto i tre risultati dei tre giochi decisivi parlano da soli, forse dovrei scrivere punteggi. Non fosse esistito il tie-break […] come sarebbe finito il match? Ci sarebbero bastate le statistiche dei 52 errori gratuiti di Nole, e dei 62 di Federer? O non avremmo creduto un grossolano sbaglio statistico i 94 punti vincenti di Federer contro i 54 di Djokovic? Sarebbe stato possibile un simile articoletto senza l’intelligente attenzione di Gianluca? Credo di no, e ricordo che sembrerebbe meglio la regolarità della creatività. La saggezza dell’emotività. Ma se avesse vinto Federer?

Paolo Bertolucci: “Mi hanno insultato dopo la telecronaca” (Paolo Rossi, Repubblica)

Paolo Bertolucci non ci ha dormito la notte. Eppure qualche momento intenso nel tennis l’ha vissuto anche lui, che 43 anni fa vinse la Davis. Però la finale di Wimbledon fra Djokovic e Federer, che ha commentato per Sky (7,43% di share nel tie-break del quinto), lo ha toccato. «Mi sembra come se avessi giocato anch’io, dallo stress». Ma è stata davvero la partita più bella di sempre? «Sì. No. Boh. Ma come fai a dirlo? Era più bella Borg-McEnroe? Federer-Nadal del 2008? Ivanisevic-Rafter? È questione di variabili: se hai 60 anni, ne preferisci una. Se ne hai 20, un’altra. Spesso le partite memorabili le abbiniamo a un momento particolare della nostra vita. Quella di domenica è stata fantastica, entra nel novero di quelle indimenticabili. Poi è inutile interrogarsi su quella che sia universalmente “La Partita”». Risultato giusto? «Ha prevalso la tecnica di Djokovic unita alla sua grande caparbietà: la forza di volontà nel momento in cui sembrava finita. Questo ha fatto la differenza in un match così equilibrato» […] La sua telecronaca ha diviso gli spettatori, l’hanno accusata di essere un Federeriano. E sui social l’hanno insultata. «L’udito va dove lo porta il tifo. Ma non parlerei di spettatori, sono tifosi da tastiera. E odiatori: c’è gente che deve aver memorizzato da qualche parte l’incipit ‘figlio di puttana’. Un conto è dire che le mie telecronache sono faziose, e un conto è l’insulto». Contromisure? «Li blocco. Io commento il tennis perché mi piace, perché è uno sport di intenditori e di persone educate. Ovvio che se esci dalla nicchia poi il rischio è quello, e poi non puoi piacere/accontentare tutti. Me ne hanno dette di tutti i colori anche dopo Federer-Nadal, eppure Benito Barbadillo – portavoce di Rafa – mi ha scritto ringraziandomi […]

Vince ma non piace (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Creano turbamenti, le sconfitte di Federer. È cosi da sempre, e oggi di più. Nel sentimento comune l’immagine del Più Grande sconfitto si accompagna a quella di una carriera ormai alle ultime battute, e le percezioni che ne derivano sono insopportabili per la gran parte degli appassionati. E sono milioni in tutto il mondo […] L’indomani di una sconfitta così dura da accettare è sempre il più difficile. Domenica sera Federer, un po’ intontito, ne ha preso atto. Ieri è stato probabilmente il giorno in cui la recuperata lucidità gli ha consentito di darsi, in cuor suo, del fesso. La gran parte dei commentatori ha tentato di spiegare che cosa avrebbe o non avrebbe dovuto fare, senza avvedersi del fatto che così facendo finiscono per fargli un torto. Ovvio, le spiegazioni, anche quelle tecniche, servono sempre, e ancora di più serviranno un domani, quando questa stirpe di tennisti iscritta al Club dei Favolosi (i Fab Four, un tempo; oggi Fab Three; e in qualche breve ma lieta occasione anche i Big Five, con le aggiunte a turno di Wawrinka e Del Potro) sarà andata in pensione, e al suo posto ci sarà spazio per i più giovani, tutti aitanti e fortissimi nel fisico, ma tutti fatti con lo stampo. Allora, nel gioco a specchio che vedremo, magari ammirati dall’efficienza di quelle perfette macchine da guerra, sarà utile prendere atto di un colpo che poteva essere fatto, e di un altro che sarebbe stato meglio evitare. Ma con Federer, Nadal e Djokovic, è quasi una perdita di tempo. Essi rappresentano, più che il gioco del tennis, il gioco della vita. Ognuno di essi è il perfetto fenotipo del suo modo di essere, e per estensione del modo di essere di molti tra noi. Il tennis di Federer non potrebbe mai tralasciare una dose di rischio, perché ama completarsi nella bellezza, ed è uno scopo alto, così come è alto il prezzo da pagare. Quello di Nadal è il tennis di chi ama assaltare i problemi, ed è fatto di scontri fisici e mentali. Quello di Djokovic, infine, è il tennis di chi sa tesaurizzare, e sa che in ogni conquista vi deve essere una quota sua e una offerta invece dagli altri. Il più sparagnino? Come vi pare, ma che straordinaria dote quella di essere sempre pronto ad approfittarne. È difficile nella vita reale, ma se la riportate al tennis, alla velocità con cui viaggiano i colpi, alle dimensioni ristrette del campo, date retta, è quasi un miracolo la sua capacità di colpire sempre al momento giusto, di prendere campo quando l’avversario gliene offre appena un centimetro. Domenica, a tradire Federer è stata l’emozione. Non è la prima volta che gli capita… Sono 22 in carriera i match dispersi con almeno un match point a favore. Ma quando si giunge alla palla che vale il match, significa che tutto ciò che si doveva fare per vincere è stato fatto. Tranne quell’ultimo piccolo segmento da aggiungere al resto. Appropriarsene, come ha fatto Djokovic, dà la misura della sua qualità. Resta il confronto fra i tre. Nei giorni scorsi, per divertimento, si è scritto di Goat e biGoat, indicando due “greatest of all time”, Federer e Nadal. E la scelta del pubblico, badate, non la nostra. Lassù ci sono quei due, non ancora Djokovic, che piace un po’ meno. Potrebbe cambiare tutto se Nole superasse entrambi nel conto delle vittorie Slam? Difficile, proprio perché nel gioco della vita, la sua scelta è quella che ottiene minori consensi. Ma certo si riaprirebbero infinite discussioni […]

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