Se una giornata d'estate un inviato a Kitzbuhel

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Se una giornata d’estate un inviato a Kitzbuhel

Cantanti, damigelle, cavoli e champagne su uno sfondo di feltro giallo. Oggi vi raccontiamo cosa può succedere, ad agosto, in un ATP 250 su terra battuta

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Il trofeo di Kitzbuhel (foto via Facebook, @generaliopen)
 

Quest’anno Ubitennis non è presente sul posto al Generali Open di Kitzbuhel, e aveva marcato visita anche lo scorso anno. Non due anni fa, però, quando a seguire la cavalcata vincente di Philipp Kohlschreiber c’erano i nostri Michelangelo Sottili e Roberto Ferri. Anche se a distanza di tempo, Michelangelo ha deciso di rimettere in ordine qualche pensierino ‘austriaco’ utile a onorare la kermesse che può fregiarsi di un titolo più unico che raro: quello di ultimo torneo stagionale sulla terra battuta.


Lost in translation (Verloren in Übersetzung)

Alla ricerca di un alloggio in un paesino poco distante da Kitzbuhel, un’insegna ti svela che Haus Lübcher ha delle Zimmer frei. Vieni accolto da un’anziana coppia la cui assoluta incapacità di comunicare in inglese ti mette di fronte alla triste evidenza che anni di studio del tedesco in giovine età ti permettono di comporre frasi di complessità appena superiore rispetto al croato “imparato” nei ristoranti di Umago. I due coniugi appaiono subito sospettosi nonostante spieghi loro che sei un giornalista inviato per seguire il torneo di Kitzbuhel. Niente, non capiscono neanche il nome di un posto dall’altra parte del monte. Kittzz-büü-hhel, ripeti con enfasi ma senza successo.

Temi anche di aver fatto una gaffe con la citazione involontaria di De Gregori menzionando il Generali Open dietro la collina, ma è più probabile che certa cultura musicale sia inesistente da queste parti; ragione per cui canticchiargli un motivetto della scomparsa pop star austriaca Falco non ti farebbe guadagnare punti. Comunque sia, Frau Lübcher ti chiede se hai il passaporto: ce l’hai – per fortuna, perché l’impressione è che una semplice carta d’identità non sarebbe considerata – ed entri finalmente in possesso della stanza un po’ troppo piccola per ospitare anche la tua valigia insensatamente grande. Due giorni dopo scoprirai che la pronuncia corretta di Kitzbuhel non prevede il tuo demoniaco hell finale.

Tappi

Ci sono tanti bambini a questo torneo ATP 250. Troppi. Corrono e urlano come bambini: non sempre la coerenza è una caratteristica positiva. Sempre di fretta per raggiungere il campo di un match imperdibile o la sala stampa, devi stare attento a non travolgere nemmeno uno di quei nanerottoli dalle traiettorie imprevedibili, altrimenti i genitori si arrabbiano pure. Che posto bizzarro. Il tuo collega ti informa che ciò succede anche in Italia. Mah, sei moderatamente sicuro che in Italia non ce ne siano più. Di tornei 250.

Il vero problema è che non hanno tempo da perdere questi austriaci e gli incontri iniziano presto, molto presto. Alle 11, un orario che ritieni più adatto alla colazione. Vogliono anche tirarsi avanti con il programma a causa della possibilità, invero tutt’altro che remota, dei temporali pomeridiani. Intanto, però, il sole picchia duro come il batterista di una band heavy metal che vuole oscurare il frontman con cui ha litigato subito prima di salire sul palco, mentre le hostess si occupano di rifornire di bevande gli spettatori. All’entrata degli altri stadi, gli addetti alla sicurezza tolgono i tappi dalle bottigliette di plastica per evitare che vengano scagliate in testa ai giocatori o a chi tifa per quelli sbagliati. Qui, le hostess lanciano direttamente a chi sta morendo disidratato le bottigliette. Con i tappi. Sarebbe più sicuro e divertente senza, ma.

Lost (e basta)

Ti sei perso. Sei stanco, è buio, la salita è ripida, hai la pipì e ti sei perso. Quella mattina, nel day 1 del torneo, hai trovato parcheggio in un parcheggio (così, per non sbagliare) e ti sei incamminato verso lo SportPark cercando di memorizzare la strada con appunti mentali su presunti riferimenti. Dopo una giornata di tennis al sole, cronache, conferenze stampa e birra, ricordi solo che il percorso era praticamente tutto dritto e in discesa. Hai iniziato risoluto la risalita e adesso ti trovi di fronte un bivio che non ricordavi; anzi, un trivio, sia per il numero di strade fra cui scegliere sia per la tua volgare esclamazione conseguente.

Concentri lo sguardo su quello che sembra un “piadinaro” ambulante pensando che ti ricorderesti di esserci passato davanti. L’idea di una piadina con salsiccia e peperonata si fa breccia tra i pensieri e ne assapori la tentazione. Quell’affare semovente, però, non smercia il noto prodotto romagnolo, bensì flûte di champagne. Champagne invece di piadine: non sorprende più di tanto se quella mattina ti sei perso due euro in un bicchier d’acqua. Ma stai solo evitando il problema: ti sei perso e basta. Tanti anni fa, un cantautore locale cantava “in centro a Kitzbuhel (era Kitzbuhel, no?) non si perde neanche un bambino”. Duemila nanerottoli fra i piedi al torneo e mai uno quando serve per indicarti la strada.

Stili diversi

Sei nella Schreibsaal. Pronunciata con il giusto accento, sembra un’offesa gridata da un energumeno subito prima di riempirti di botte. Invece, è solo la sala stampa, ma ciò non esclude che urlerai quella parola (poco) composta al prossimo automobilista che ti brucia una precedenza. Il quale vorrà riempirti di botte. Sorpresa almeno quanto te, quella che tu chiami “la tipa dell’ATP” (tra un anno scoprirai che quell’allitterazione è in realtà la “tournament press officer”) ti telefona per dirti che il pro a cui hai richiesto l’intervista ti sta aspettando nella Players’ Lounge. Evitando la solita miriade di mostriciattoli, ti fiondi verso la lontanissima quanto insperata meta alla velocità con cui quello stesso tennista raggiunge le smorzate avversarie.

Giunto alla parte opposta dell’impianto, trovi l’atleta ancora negli spogliatoi steso sul lettino mentre Max, il suo fisio, cerca di smontargli una gamba – così ti sembra, almeno. Ti dice che “no, niente intervista”, ci ha ripensato e se ne riparla domani. I tuoi sospetti che ti stia prendendo in giro si riveleranno fondati ventiquattr’ore dopo quando, al momento della tua domanda in conferenza stampa, chiederà conferma alla tipa dell’ATP della tua provenienza ubitennistica per poi alzarsi e andarsene suscitando lo sconcerto dei giornalisti stranieri.

Poco dopo, un altro tennista ti spiega con accento toscano che, nonostante la sconfitta appena subita e quella della settimana scorsa con Gulbis, sta giocando bene. Gli chiedi “ma contro Ernests, gli hai tirato sul dritto?”. Sorride e risponde seriamente invece di mandarti dove probabilmente meriteresti per una domanda del genere. Basta poco per risollevare la tua giornata.

Resident Kohli

Se the pen is on the table indica l’inglese (peggio che) scolastico, cosa dire della stessa frase in tedesco? Der Kugelschreiber liegt auf dem Tisch. Servono anni di studio per arrivarci. Kugelschreiber, Kohlschreiber. Troppo simili, speri di non fare confusione. Kohlschreiber, Kugelschreiber. Più ci pensi, più temi che invertirai i due nomi per una figuraccia senza appello. Kohli è tedesco, ma risiede a Kitzbuhel. Lo dicono il sito dell’ATP, i comunicati stampa, lo speaker che annuncia i suoi incontri. Tu stesso lo scrivi in un pezzo. Il tuo collega, sospettoso, domanda in giro se hanno mai visto Kugel… ehm, Kohlschreiber in città. No, nessuno degli intervistati che lo abbia mai incontrato. Mah. A proposito, Kohl significa cavolo, Schreiber scrittore: intuisci che qualcosa vi accomuna.

Come si chiama questa fiera?

Il sabato sera dopo la finale c’è una grande festa in città. Migliaia di persone, molte con addosso gli abiti tradizionali, si accalcano per il centro facendosi largo tra musica dal vivo e bancarelle di ogni sorta. Decidi di chiedere a una schöne Dirndl (bella nativa nel vestitino che per metonimia ne ha preso nome) come si chiama questa fiera e, fiero, le poni la domanda in lingua indigena – o qualcosa del genere. Perché, quando avevi dieci anni, ti hanno messo in mano un libro dal titolo “Il Tedesco Facile”: un ossimoro o una presa per i fondelli? Non si tratta così un povero bimbo che non sa cosa sia un ossimoro e, soprattutto, che non affolla gli ATP 250.

In ogni caso, la giovane donna fa una faccia come se la stessi prendendo in giro e ti indica il polso. Abbassi lentamente lo sguardo sperando di non vedere qualcosa con troppe zampe salirti lungo il braccio. Ah, no, intende il braccialetto di plastica da dieci euro che ti hanno stretto al polso all’ingresso del centro. C’è scritto il nome della fiera: Jahrmarkt. Che, peraltro, significa fiera. Per nulla scoraggiato dalla stupidità della tua domanda, le chiedi se ha mai visto Kohlschreiber. Lei fruga un po’ nella borsetta prima che la mano riemerga con l’oggetto della ricerca. Una penna.

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