Due finali azzurre. Giorgi scatenata e Sinner cresce (Cocchi). Il sogno americano di Camila (Guerrini). Roberta Vinci: «La mia vita felice oltre la racchetta» (Vannini)

Rassegna stampa

Due finali azzurre. Giorgi scatenata e Sinner cresce (Cocchi). Il sogno americano di Camila (Guerrini). Roberta Vinci: «La mia vita felice oltre la racchetta» (Vannini)

La rassegna stampa di domenica 4 agosto 2019

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Due finali azzurre. Giorgi scatenata e Sinner cresce (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Non è stata una stagione facile per Camila Giorgi tra infortuni e battute d’arresto ma ora, finalmente, le cose sembrano girare nel verso giusto. L’azzurra ieri, nella semifinale contro la 17enne statunitense Catherine McNally, ha iniziato con il piglio giusto arrivando rapidamente sul 4-1 poi, come spesso le accade, ha perso colpi e concentrazione facendosi rimontare fino ad arrivare al tie break, poi vinto. Nel secondo la maceratese non si è lasciata distrarre, ha sprecato tre match point ma al quarto ha messo in tasca la finale. Oggi si gioca il terzo titolo della carriera contro Jessica Pegula, anche lei statunitense, che ha piegato la russa Kalinskaya in tre set. Era dall’ottobre del 2018 – a Linz, quando poi è tornata a casa con il suo secondo trofeo in carriera – che la Giorgi non giocava una finale e a Washington la 27enne potrebbe sollevare il primo titolo di un torneo sul cemento all’aperto. Camila è rientrata nel tour dopo oltre un mese di stop: non giocava dall’eliminazione al primo turno di Wimbledon (battuta dall’ucraina Yastremska) dove difendeva i quarti del 2018. E non vinceva una partita dallo scorso gennaio, al secondo turno degli Australian Open. Dopo Miami, a marzo, Camila si è fermata fino a giugno quando è tornata in campo a Eastbourne e poi a Wimbledon. Continua la scalata di Jannik Sinner, l’altoatesino di 17 anni ha battuto Aragone in due set nel Challenger di Lexington centrando così la terza finale Challenger dopo Bergamo e Ostrava. Oggi in finale trova Alex Bolt che lo ha sconfitto nelle qualificazioni di Wimbledon per 12-10 al 3° set. Sinner è già sicuro di entrare nei 180 al mondo.

Il sogno americano di Camila (Piero Guerrini, Tuttosport)

Si andava in America per sognare e si va ancora. A volte succede che il sogno si riesca a realizzarlo. Camila Giorgi ce l’ha fatta e con le sue mani. Non vinceva una partita dagli Australian Open, frenata dagli infortuni. Di colpo al Citi Open di Washington s’è ritrovata (grazie al lavoro) e oggi gioca la sua settima finale in carriera, la prima sul cemento all’aperto e la prima dal suo secondo e ultimo trionfo a Linz, nel 2018. E sono passati dieci mesi. Come sempre Camila va di fretta, con quei gesti veloci al limite del frenetico e il gioco potente, a tutta. E come sempre il suo gioco la porta ad allungare prendendo a pallate l’avversaria (nell’occasione la diciassettenne Catherine McNally) e poi s’inceppa. Se nel quarto di finale contro la kazaka Diyas era scattata sul 5-1, stavolta era arrivata 3-0 poi 4-1 e ha dovuto rifugiarsi nel tie-break, vinto con buon controllo (7-5) e poi ha ripreso a dominare, mentre McNally si affidava spesso alle mani della fisioterapista. Oltre al servizio, ha colpito la profondità della riposta di Camila. La palla viaggia eccome e lei già dopo la vittoria nei quarti aveva spiegato: «Ho avuto momenti difficili, ferma tre mesi per infortunio. Ma il polso adesso è ok e io sono a posto. Sto giocando bene e questa è la cosa importante». In finale affronta Jessica Pegula che ha superato Anna Kalinskaya 6-3 3-6 6-1. Purtroppo per Camila, il sorteggio della Rogers Cup che al femminile si gioca a Toronto (al maschile a Montreal) non l’ha aiutata. Comincia contro Vika Azarenka, difficile ma non impossibile, visto che Camila l’ha già sconfitta due volte, dunque la settimana si annuncia interessante.

Roberta Vinci: «La mia vita felice oltre la racchetta» (Paolo Vannini, Corriere dello Sport)

La nuova vita di Roberta Vinci. Finalista Slam, 4 volte vincitrice di Fed Cup, 10 titoli conquistati su superfici tutte diverse e in doppio capace di completare, in coppia con la Errani, il Career Grand Slam, alzando il trofeo in Australia, a Parigi, a Wimbledon e agli Us Open. Ma alla fine svuotata, stanca “dentro”. Felice di quanto aveva realizzato nel suo straordinario cammino ma in cerca di quella libertà che il professionismo sfrenato inevitabilmente ti limita. Dal giorno del ritiro, a maggio di un anno fa, Roberta è una persona nuova. Dal taglio dei capelli al sorriso, è come se si fosse riappropriata di una parte di sé. Pochissimo tennis, quasi nessun impegno ufficiale, tanto privato. L’abbiamo incontrata agli Internazionali femminili di Palermo, torneo che ha vinto nel 2013 e di cui è testimonial anche per il rapporto che la lega al circolo organizzatore e alla Sicilia dove ha vissuto per alcuni anni.

Roberta, ci racconti cosa fa adesso che non la vediamo più sui campi.

Semplicemente conduco una vita più tranquilla, con meno impegni e stress. Prendo le cose con una leggerezza che prima non mi era possibile. Era quello che cercavo; dopo tanti anni credo che uno debba mettere un punto. Io l’ho messo giocando l’ultimo match a Roma nel maggio 2018 e non mi sono mai pentita. Smettere era la scelta giusta. Adesso vivo a Milano. A Palermo, dove mi sono allenata per alcuni anni, sono stata molto bene e ci ritorno sempre volentieri perché mi sento a casa.

Una sua giornata tipo?

Niente di trascendentale, non sono mai stata una da trasgressioni clamorose. Sto facendo le cose che non potevo permettermi da atleta anche se molto semplici: far tardi la sera, bere un bicchiere vino in più, andare a cena con gli amici senza pensare ai chili di troppo o all’allenamento che ti attende il giorno dopo. Non ho fatto pazzie, non sono il tipo; ma avevo bisogno di recuperare una mia dimensione. Il tennis è stato meraviglioso e mi ha regalato tantissimo. Ma poi c’è la vita e riuscire a esprimersi come persona è anche quella una vittoria non meno importante. Gli obiettivi sportivi contano ma fino a un certo punto. Oggi mi sento una donna libera di dedicarmi ad aspetti dell’esistenza che avevo tralasciato.

Lei ha assistito al Palermo Ladies Open. Che momento sta passarlo il nostro tennis femminile?

Innanzitutto è bellissimo che sia tornato un torneo in Italia, per noi azzurre è fondamentale avere certe occasioni per crescere. Stanno venendo fuori delle giocatrici interessanti. Ho visto la Cocciaretto, la Paolini, mi ricordo la Di Giuseppe che si allenava ai Parioli ed era una con talento ma molti problemi fisici, che ora ha trovato la sua strada. Diamo loro tempo e pazienza. Prima eravamo molto forti con le ragazze e meno nei maschi, ora sta accadendo il contrario. Sono cicli non si possono prevedere, noi siamo state fortunate e ci siamo trovate a trascinarci l’una con l’altra. Non è facile crescere, alle ragazze dico non abbattetevi per una sconfitta. Io stessa sono entrata fra le top ten solo dopo tantissimi anni.

Cosa si sente di dire a Sara Errani, sua amica e compagna di doppio in anni magici ed oggi in difficoltà?

Le auguro prima di ogni altra cosa di essere felice. Di cercare di stare bene, di sorridere. Nel tennis si vince e si perde, vederla in lacrime non è stato bello. Deve ritrovare innanzitutto se stessa e poi troverà il suo gioco.

La fotografia del vostro straordinario periodo è quell’abbraccio con la Pennetta dopo l’ultimo colpo della finale agli Us Open 2015. Entrambe sorridenti, entrambe felici.

E’ stato un abbraccio vero, eravamo genuine, come ci vedevate. La chiave dei nostri successi è dipesa molto da quella “intelligente rivalità” fra amiche, una concorrenza sana che ci ha aiutato. Ci portava a prendere il meglio delle altre, a dire se ha vinto lei posso farlo anch’io! Spero che possa essere così anche adesso, ciascuno con le proprie qualità e con la giusta convinzione.

Ha mai pensato a un ruolo in Fed Cup?

Sono aperta a tutto, sarei contenta se qualcuno me lo chiedesse o avesse bisogno di consigli. Fare l’allenatrice a tempo pieno è pesante e ripeto che per me adesso è troppo presto. Alla mia nuova libertà per adesso non rinuncio. Ma per qualche settimana… ci si potrebbe pensare.

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