Riccardo Piatti: "Sinner un fenomeno? No, deve imparare tanto" (Semeraro)

Rassegna stampa

Riccardo Piatti: “Sinner un fenomeno? No, deve imparare tanto” (Semeraro)

La rassegna stampa di martedì 6 agosto 2019

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Intervista a Riccardo Piatti: “Sinner un fenomeno? No, deve imparare tanto” (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

«Dopo la finale ho chiamato Jannik per fargli i complimenti, certo. Ma gli ho anche detto che avrebbe dovuto vincere in due set. E che aveva servito male in alcuni momenti…». Dura la vita dell’aspirante campione. Specie se il tuo coach si chiama Riccardo Piatti. Jannik Sinner, 18 anni fra meno di due settimane, è il più giovane fra i primi 200 tennisti del mondo. A Lexington ha vinto il suo secondo Challenger dell’anno (è appena l’undicesimo 17enne a conquistare almeno due titoli) e questa settimana è salito al numero 135 […] Riccardo Piatti, che Sinner se lo è cresciuto insieme con Massimo Sartori nel suo tennis center di Bordighera, si sta godendo qualche giorno di vacanza a San Marino, in attesa di volare negli Usa, dove fra l’altro seguirà Maria Sharapova […] Neanche otto mesi e i Top 100 sono già nel mirino… «Fico – sbuffa Riccardo – io Jannik l’ho mandato negli Usa proprio per evitare questi discorsi. A me classifica e risultati per ora non interessano. Meglio: non me ne frega niente. Ci penseremo quando avrà 22-23 anni, allora capiremo cosa davvero è in grado di fare. Adesso mi interessa che cresca, che arrivi a giocare al livello che ho in mente io. Deve nutrirsi di esperienze, non di punti. Per questo ho rifiutato una wild card che ci era stata offerta per Kitzbuhel. Voglio che conosca il circuito americano, che migliori sul cemento. Avevo chiesto una wild card ad Atlanta e Washington, non ce l’hanno data. Bene: ha giocato Lexington e questa settimana sarà ad Aptos, due Challenger». L’America minore… «Esatto. La settimana scorsa mi ha chiamato, era nervoso. Perché non è tutto rose e fiori come a Indian Wells o agli US Open. La finale l’ha giocata mentre nel campo a fianco si giocava quella femminile. Deve fare la gavetta, imparare il mestiere. E farlo in fretta. Quindi ero contento che fosse nevoso…». Che sia già così in alto l’ha stupita? «No. Mi ricorda gli inizi con Caratti. Quando vedi che si allenano con intensità, che stanno sempre lì, lo sai che sono destinati ad arrivare. Devi solo dargli tempo. Se a Jannik spieghi il perché di un esercizio, non si tira mai indietro». La stessa cosa che dicevano di Federer. Tecnicamente in cosa deve migliorare? «Diritto, rovescio, servizio, volée. Tutto. Faccio un esempio? Quando gioca con un avversario sotto il numero 120 del mondo Jannik mette, diciamo, il 65% di prime di servizio. E ci ricava il 75-80% di punti. Se gioca con Sousa, o con Jarry, un n.50, mette sempre il 65% di prime, ma ci ricava il 60-65% di punti. Nei Challenger vince con il servizio, ma ancora non ha il livello per giocare contro i migliori. Non sempre almeno. Contro Bolt, in finale a Lexington, nel secondo set si è incartato quando serviva dal lato dei vantaggi, finendo per fare il gioco che voleva l’altro. Poi ha vinto lo stesso, perché è più forte. Ma non basta. Che sa giocare bene a tennis lo si vedrà quando salirà di livello». Il risultato che le piaciuto di più del 2019? «La cosa migliore che ha fatto: tre tornei sull’erba, due settimane di allenamento sul cemento, velocissimo, dell’Elba, poi è andato a Umago, sulla terra, e ha vinto il primo turno e giocato un’ottima partita contro Bedene. Grande adattabilità. Jannik è una spugna. Ha una grande capacità di apprendere e risolvere i problemi in campo. Per questo bisogna mettergli dentro tanti contenuti» […]

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