US Open, Berrettini: "Non devo fermarmi, sono ancora nel torneo"

Interviste

US Open, Berrettini: “Non devo fermarmi, sono ancora nel torneo”

“Panatta a 16 anni mi aveva detto che avrei servito a 220 all’ora”. Coach Santopadre: “Ora con Federer sarebbe un match diverso”

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da New York, il nostro inviato

Matteo è raggiante ma composto, sia con la stampa internazionale, che con noi italiani. Idee chiare, quelle di chi non vede il risultato dei quarti di finale come un traguardo, ma come un potenziale inizio, se non in questo stesso torneo, certamente nella carriera.

“Devo godermela, è giusto, ma non posso pensare di essere arrivato. Non devo fermarmi, sono ancora nel torneo. Fisicamente mi sentivo veramente bene, la cosa è che ti stanchi, ma allo stesso tempo ti alleni giocando i match. Dopo Gasquet ero tutto dolorante, i match 3 su 5 li devi gestire, queste partite mi servono.

I primi tre messaggi che ho mandato sono stati videochiamate a mia madre, mia nonna e mio fratello che stanno in tre posti diversi, ma c’era talmente tanto casino che non si capiva nulla!

I miei punti di riferimento nella storia del tennis italiano, beh naturalmente Corrado Barazzutti, che è il mio capitano di Coppa Davis, che mi aiuta molto, poi Adriano Panatta, romano come me. Ricordo che avevo 16 anni, e Adriano mi ha detto che un giorno avrei servito a più di 220 all’ora! Io pensavo mah, ma davvero? Se lo dici tu mi fido…

Io e Andrey giocavamo bene tutti e due secondo me, non ricordo errori grossolani, o serie di errori, né miei né suoi. Abbiamo fatto scambi incredibili, lunghi, tiratissimi, chiaro che alla fine uno può arrivare stanco. Mi ha fatto bene scaldarmi sull’Armstrong stamattina, è un campo particolare, c’è un frastuono incredibile. Quando ho iniziato a servire non potevo credere a quanto rumore c’era: pareva un concerto. Tutti si muovevano, parlavano, non sentivo nemmeno il suono della palla, ma ti ci devi abituare e basta. Anche lo schermo può dare fastidio, ma in particolare ho trovato tremenda l’umidità sotto il tetto, ho sudato in modo incredibile.

Il mental coach, Stefano Masssari, mi aiuta tantissimo, siamo amici oltre ad avere un rapporto professionale. Ci sentiamo prima delle partite, io gli parlo di come vorrei che andassero, di come me le immagino, e poi elaboriamo insieme le sensazioni. Lavoriamo insieme da quando avevo 17 anni e per parecchio tempo abbiamo parlato poco di tennis, io avevo la scuola, la famiglia, tante cose da gestire. Posso dire che è uno dei miei migliori amici“.

Coach Vincenzo Santopadre è altrettanto soddisfatto:Sono convinto che se dovesse incontrare di nuovo Federer giocherebbe un match diverso. La partita con Roger è stato una mazzata, ma Matteo non si è abbattuto troppo, ne ha fatto tesoro ed è tornato subito al lavoro. Mi piace come supera questi momenti, per noi è come una tappa per migliorare.

Stefano Massari sta a Roma, non è qui a New York, ma è venuto a Stoccarda. È un appassionato e gioca bene a tennis. Si sentono al telefono, in questi giorni anche spesso, ma non c’è un orario fisso. Il suo aiuto ora è più importante del rapporto che Matteo ha con me, o del preparatore atletico. Tutti insieme lavoriamo in sinergia alla sua crescita, quello che posso dire è che la parte mentale ora ha una priorità leggermente più alta rispetto al resto. Si sentono per una mezz’ora circa.

Con il team cerchiamo di consigliarlo, ma deve cercare di prendere le sue decisioni. Ad esempio l’eventuale scelta tra giocare Basilea o Vienna… Noi gli spieghiamo che Basilea è più veloce, Vienna è un poco più lento ma ha altre caratteristiche, e gli chiediamo, tu cosa vuoi fare? Ne parliamo insieme, e poi cerchiamo di indirizzarlo verso la scelta migliore“.

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