Salvo Caruso: nei primi 100 tra latte di mandorla e quell'incontro con Federer

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Salvo Caruso: nei primi 100 tra latte di mandorla e quell’incontro con Federer

L’ottavo azzurro dei primi cento del ranking ha battuto nel 2019 Gilles Simon e Borna Coric. “Vengo da lontano”, dice della sua Sicilia, che è tuttora dentro e intorno a lui

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Salvatore Caruso - ATP Challenger Barcellona 2019 (foto via Twitter, @SanchezCasal)
 

Prima di Shanghai, mentre Djokovic trionfava a Tokyo, Salvatore Caruso vinceva il Challenger di Barcellona, entrando per la prima volta in carriera nei primi 100 del mondo, al n.98 ATP. Questo risultato ha fatto scalpore perché si è trattato dell’ottavo azzurro tra i primi 100 del ranking, mai successo al tennis italiano. Le premesse però che questo ragazzone siciliano di 26 anni vi rimanga stabilmente (oggi è n.95) ci sono tutte. Si è rivelato al mondo quest’anno, col terzo turno al Roland Garros dove ha superato un francese, Gilles Simon, dominando i primi due set e senza tremare nel terzo, nonostante la reazione dell’avversario.

Era partito dalle qualificazioni e la sua corsa si è fermata contro Novak Djokovic. Ha esordito nel tabellone principale di uno Slam all’Australian Open 2018, senza sfruttare un vantaggio di due set contro Jaziri. Tra Sydney ’18 e Parigi ’19 c’è stato il primo successo, nel prestigioso Challenger di Como, contro il cileno Christian Garin, uno che quest’anno sta mostrando un grosso potenziale con le vittorie nei 250 di Houston e Monaco di Baviera. Prima, la wild card a Roma 2016, quando perse netto contro Nick Kyrgios. Esperienza utile a maturare sui palcoscenici importanti, non unico aiuto arrivato dalla FIT, con la quale è in ottimi rapporti: “La Federazione mi ha aiutato 3-4 anni tra il 2014 e il 2017, prima no ma altri giocatori avevano risultati migliori e dunque era sacrosanto che aiutassero loro”.

Cresciuto sulla terra e a suo agio in match da scambi prolungati (come al Roland Garros contro un incontrista nato come Gilles Simon), “Sabbo” ha in realtà caratteristiche da superfici veloci, come impugnatura e propensione al gioco d’anticipo. Intanto ha confermato l’exploit parigino sempre sulla terra, con la semifinale a Umago e lo scalpo di Borna Coric, per poi sollevare il secondo trofeo della carriera appunto pochi giorni fa a Barcellona.  

Ragazzo educato, consapevole di essere appena arrivato (“trovo naturali le domande sul perché ho raggiunto non giovane i grandi palcoscenici”) ma sicuro di sé. A Parigi ha mostrato anche un lato più particolare. Non sapeva che al secondo turno avrebbe affrontato Simon (di solito i giocatori hanno sempre presente il loro tabellone) e non sembrava curarsi molto dei benefici economici derivanti dal superare turni in uno Slam. Alla domanda su quanto costasse a un professionista attorno al n.130 del mondo un anno di carriera tra viaggi e staff, ha risposto “dipende, i coach hanno costi molto diversi e la loro scelta è molto soggettiva, non si può dare una cifra generica”. Di primo acchito poteva dare l’idea di non essere del tutto sincero, in realtà semplicemente non colloca il denaro tra i primi obiettivi. “Ovvio che i soldi servono, per un tennista in particolare aiutano per la carriera, per investire nel tuo team, ma nella vita ci sono cose più importanti”.

Molto sicuro di sé, non sorpreso dai risultati che sta ottenendo, non nega aperti complimenti a sé stesso (“La qualità del tennis c’è sempre stata, la capacità di reagire prontamente quando sono sotto nel punteggio no. Al Roland Garros i primi due set con Simon li ho giocati alla perfezione, con Munar terzo e quarto set li ho gesti in maniera splendida, tranquillo e lucido”), ma la sua umiltà è assicurata dal non aver rimpianto la scelta di finire il liceo scientifico e per questo essere arrivato tardi nel tennis che conta. “Lorenzi è l’esempio più chiaro di come si possa arrivare non giovanissimi e poter poi avere ottime soddisfazioni anche più avanti, l’importante è arrivare. Sono felice di aver accettato il patto coi miei genitori, scelte come queste mi hanno fatto diventare la persona che sono”.

Papà Vincenzo, che ha un negozio di intimo ad Avola e mamma Michelina, insegnante di chimica e biologia, sono infatti due persone benestanti ma non facoltose al punto da poter supportare finanziariamente il figlio senza un piano B. Lui doveva diplomarsi, poi loro lo avrebbero aiutato per un paio d’anni e se le cose non funzionavano l’università era alle porte, perché “figlio mio un lavoro lo devi trovare nella vita”. È andata bene e il suo lavoro ora sta imboccando la parabola ascendente, quella che separa un professionista stabilmente sul circuito da uno in eterna lotta col proprio bilancio, con quanto spende e quanto incassa per capire se l’anno successivo può continuare a vivere con la sua passione oppure dedicarsi ad altro.

Non c’è solo Lorenzi tra i vecchietti che ammira, perché ha avuto il piacere di fare da sparring partner a un altro molto in là con gli anni, con una bacheca non proprio modesta. “Il mio top player preferito? Ho una preferenza per Federer. L’ho conosciuto nel 2013, quando cercava uno sparring partner prima dei Mille americani. Mi sono allenato tre giorni a Zurigo con lui. Una persona davvero fantastica“. Eppure, anche se non sapremo mai se sia la verità, non è detto che sia stata una fortuna, visto che si dice certo di aver fatto ritorno da Zurigo con una racchetta in meno…

La sua parlata è molto siciliana, differenziandosi in questo dall’amico e conterraneo Cecchinato, che non ha un accento così marcato. Il legame con la sua terra è per Sabbo molto forte, l’ha detto lui stesso e lo dimostra il fatto che vive ancora in Sicilia. Nato ad Avola, fino a 10-12 anni ha giocato lì, poi si è spostato a Siracusa. Lo dimostra soprattutto il fatto che il suo staff è lo stesso da 10 anni. “È un progetto a lungo termine”, sottolinea Caruso. L’allenatore è il palermitano Paolo Cannova, il preparatore atletico Pino Maiori, siracusano. Il sospetto che sia un eccessivo attaccamento all’ovile viene spazzato via dai risultati che sta conseguendo.

Nella terra di vini rossi e mandorle non nasconde di preferire queste ultime, in tutte le poliedriche versioni che la Trinacria sa offrire: “Granite, pasta e soprattutto latte di mandorle, che come mia mamma non fa nessuno”. Ma la crescita comporta anche l’apprezzamento per sapori più impegnativi, come il Nero della sua Avola. “Anni fa lo trovavo troppo forte, preferivo il bianco, ma ora lo sto apprezzando molto di più”. Insomma, determinazione e voglia di arrivare lontano, ma Caruso è siciliano, mediterraneo, di carnagione olivastra: per stare nei primi 100 le rinunce sono imprescindibili, ma anche le radici. Se un giorno Novak Djokovic gli consiglierà la dieta gluten free che ha fatto la sua fortuna, lui ringrazierà onorato, ma penserà che già una volta contro uno dei Fab Four era finita con una racchetta che mancava all’appello…

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