Focus
Wozniacki e la discreta ricerca di un ruolo da protagonista
Numero 1 senza Slam (fino al 2018), comprimaria di lusso. Ha saputo cogliere la sua occasione per prendersi le meritate luci della ribalta. E scegliere il momento per ritirarsi

Il ritiro di Caroline Wozniacki: dirà basta dopo l’Australian Open 2020
Il tennis è fatto anche di sliding doors. La finale del singolare femminile dell’Australian Open 2018 è stato uno di quei momenti in cui si aveva la sensazione che le carriere delle due tenniste in campo potessero girare a seconda del risultato. In cui un rovescio vincente, una palla corta calcolata male, un net beffardo potevano cambiare la percezione che il grande pubblico ha di due persone ancor prima che atlete.
In quel match si affrontavano Simona Halep e Caroline Wozniacki, rispettivamente n.1 e n.2 del mondo. A dividerle un anno alla nascita: Wozniacki è nata nel 1990 e Halep nel 1991. Ad accomunarle, almeno fino a quel momento, l’etichetta di ‘perdenti di lusso’. Bruciando le tappe, la danese si era trovata appiccicata addosso questa nomea a soli vent’anni quando faceva incetta di vittorie e titoli nel tour ma non riusciva ad affermarsi negli Slam. Al primo exploit nella finale dello US Open 2009, erano seguite una serie di delusioni nei Major. Erano gli anni in cui Serena Williams aveva già cominciato a fare selezione di tornei e a vincere solo quelli che contavano. Erano gli anni in cui in giro c’era ancora una Sharapova degna competitor, oltre a Clijsters, Henin e Li Na. Wozniacki si trovò ad essere così una numero una sulla carta, premiata dai meccanismi del ranking più che dall’effettivo valore dimostrato nei tornei più importanti.
Halep arrivava a quella finale di Melbourne esattamente con quella spada di Damocle. La numero uno slamless. L’ennesima dimostrazione che in una WTA senza Serena Williams tutte possono raggiungere la prima posizione mondiale. Compresa lei che aveva perso sulla amata terra rossa una clamorosa finale del Roland Garros nel 2017 contro la semi-sconosciuta lettone Jelena Ostapenko, dopo essere stata in vantaggio per un set a zero.
Per questo in ballo in quel match sulla Rod Laver Arena c’era qualcosa di più di uno Slam. Il primo Slam, quello agognatissimo, quello che può finalmente spazzare via ogni ragionevole dubbio sulla tua carriera, quello che da comprimaria ti fa diventare protagonista. A dispetto di questa tensione, palpabile, e della posta in palio, enorme, ne venne fuori una partita magnifica. Combattuta dal primo all’ultimo punto. Quasi tre ore di lotta. Alla rabbia e alla pressione senza quartiere dei colpi di Halep, Wozniacki contrapponeva pazienza e una strenua difesa. La porta girevole del tennis permise alla danese di uscirne vincitrice, per una volta quando contava davvero.

“Nessuno mi potrà più chiedere quando vincerò il primo Slam”, affermò al termine del match, come se si fosse liberata di un peso. Lo stesso che continuava ad opprimere la sua avversaria sconfitta. Halep aveva concluso l’incontro ancora in lacrime, come a Parigi, e senza alcuna più alcuna energia, fisica e psicologica, tanto che sarebbe stata trasportata in ospedale per dei controlli. “Sono sicura che sia un momento molto duro per lei”, sottolineò Wozniacki. E lo sapeva perché anche lei ne aveva vissuti.
La differenza è che quasi nessuno se n’era accorto. A conferma degli stereotipi riguardo la freddezza nordica, anche se tutta la sua famiglia è polacca, Caroline ha saputo per lo più celare le sue emozioni. Quelle negative in particolare. Le ripetute e cocenti delusioni non hanno mai avuto quei contorni drammatici, che, ad esempio, hanno avuto nel caso della sua quasi coetanea rumena. Limitati i gesti di stizza, poche le lacrime versate di fronte al pubblico.
Di quanti pugni ai muri abbia dato e quanti fazzoletti abbia consumato negli spogliatoi non se ne sa nulla. Quello che si sa è che al termine di ogni sconfitta si avvicinava verso la rete e stringeva la mano dell’avversaria di turno, quella dell’arbitro e se ne andava, seguendo il grande copione del tennis. Che l’ha vista in tante occasioni importanti recitare la parte si sconfitta in un film non suo. E queste sue proverbiali grazia ed eleganza l’hanno resa molto apprezzata da tante colleghe. Inclusa Serena, una che di amiche non se n’è fatte tante sul circuito, per via dei suoi 23 Slam ma anche di una autostima debordante. Con Caroline però c’è stata vera amicizia, con inviti ai reciproci addii al nubilato e matrimoni. Con un bell’abbraccio al termine della finale degli US Open 2014, che segnava comunque la fine della crisi di Wozniacki. Come non amare una così onorevole perdente?

Che poi, all’indomani dell’annuncio del ritiro, anche questo aggettivo di perdente andrebbe ridiscusso. In 14 anni di carriera, Caroline ha conquistato 581 vittorie in totale nel tour e alzato al cielo ben 30 trofei. Per fare un paragone, Halep al momento è indietro di 200 lunghezze circa come match vinti e 11 come titoli. Non è per nulla detto che alla fine dei conti, in queste due voci, la riesca a superare. Ma probabilmente verrà percepita come molto più vincente nell’immaginario collettivo, anche grazie alla schiacciante vittoria in finale quest’anno ai Championships. A questi successi, Wozniacki aggiunge la conquista delle WTA Finals del 2017 e il ruolo da portabandiera per la Danimarca alle Olimpiadi di Rio 2016. E viene da dire che ce ne vorrebbero molte di più di perdenti così.
Ma probabilmente Caro non vuole entrare nuovamente in un dibattito che ha segnato e, in qualche maniera anche condizionato, la sua carriera. È a posto così con il tennis e con il circuito. Ha dato tutto quel che aveva durante gli allenamenti e le partite, con discrezione e senza clamore. Ha ricevuto molto, anzi moltissimo, anche in termini finanziari (il totale dei premi vinti a fine 2019 ammonta a $35.218.415), con discrezione e senza clamore. Ora a 29 anni, con le nuove generazioni di tenniste che emergono, un’artrite reumatoide diagnosticata oltre un anno fa che non le dà pace e una famiglia da costruire con l’ex cestista statunitense David Lee (sposato lo scorso giugno) appende la racchetta al chiodo. Le etichette sono state tutte tolte, il suo film da protagonista lo ha girato alla fine. È il momento giusto di voltare pagina. E siamo sicuri che lo farà con discrezione e senza clamore, come sempre.
Editoriali del Direttore
Roland Garros – Il caldo opprimente, la libertà dello scooter, i posti vuoti per i troppi biglietti agli sponsor, il riscatto del tennis donne, Zverev-Ruud forse migliore di Alcaraz-Djokovic
Muchova-Sabalenka, Swiatek-Haddad Maia hanno creato spettacolo e suspence. La bielorussa però…sciupona. Djokovic, l’ultimo dei Mohicani lotterà per sé, per il 23mo Slam ma anche per gli altri Fab 4. E’ l’ultimo che può respingere l’assalto di Alcaraz e dei giovani rampanti. Sarà davvero un gran match?

Il tris di Swiatek sembra aleggiare nell’aria calda, opprimente e insolita di Parigi. Non ricordo, in 47 anni che vengo al Roland Garros e negli ultimi 20 che ci vengo con uno scooter della Piaggio – in passato erano le classiche, tradizionali Vespe, adesso sono MP3 350cc con le tre ruote, così non si casca e si parcheggia facile – un altro torneo nel quale abbia fatto sempre così caldo da dover restare in maglietta anche la sera tardi. Fino a un paio d’anni fa non c’erano nemmeno le sessioni serali. Mi dilungo sul meteo…, perché sembra impossibile che invece nel Bel Paese, quando parlo con i miei familiari che vivono in diverse parti d’Italia mi dicono che il tempo continua a essere invece orribile. E non da ieri soltanto. Una rivoluzione climatica con uno scambio meteo Italia-Francia? Beh almeno questo non è colpa della politica, di questo o quel Governo.
Qua mi sono sempre bagnato molto più che a Wimbledon, però a giudicare dalle migliaia di scooter – in gran parte proprio Piaggio con le tre ruote (che hanno avuto qua evidentemente molto più successo che in Italia, chissà perché) – che circolano a Parigi e che parcheggiano fra Porte d’Auteuil, Porte Molitor e il Bois de Boulogne, si vede che lo scooter, e spesso sono davvero grossi gli scooter che sfrecciano sulle varie “Routes Periferique”, è un mezzo popolarissimo, tanto da farmi pensare che allora il maltempo nel quale io mi sono imbattuto in tanti passati Roland Garros non sia stato una regola, ma l’eccezione che la conferma. Altrimenti di scooter non se ne venderebbero così tanti e qui sono tantissimi parcheggiati proprio ovunque anche i motorini Uber (più vari competitor), a nolo orario, come da noi in certe città italiane capita per le biciclette e le auto “Enjoy” , ma non mi è capitato ancora di vedere anche per i motorini.
Certo è anche che qui, in certe strade, e non solo sui perennemente ingolfatissimi Champs Elisèe, si resta facilmente imbottigliati nel traffico, in code insopportabilmente infinite. Ecco perchè lo scooter diventa un gran bel salvagente.
Va detto poi, e chiudo questa inutile parentesi, che la reputazione di Wimbledon ostaggio della pioggia è dovuta certamente anche al fatto che se lì, in Church Road, cade anche la pioggerellina più ridicola, purtroppo sull’erba non si può giocare e gli incontri vengono sospesi. Anche tre, quattro volte nello stesso giorno. Quando a Parigi, come a Roma, si continuerebbe tranquillamente a giocare. Insomma, salvo che per quest’anno nella Roma più acquazzonata di sempre, se piove da noi e a Parigi di solito non ci si fa caso. A Wimbledon ci se ne accorge tutti e soprattutto se ne accorgono quei poveri inservienti che tirano e srotolano su e giù di continuo quei pesantissimi tappeti che devono restare alti tipo tende sui courts, a scanso guazza sottostante.
Piuttosto anche qui come a Roma c’è la piaga dei posti venduti, e venduti assai a caro prezzo, agli sponsor e ai clienti degli sponsor. Così spesso – si sarà visto e notato in tv – quelli che sarebbero i posti migliori, sono spesso vuoti. Perché a quel tipo di quei clienti, evidentemente, interessa più fare atto di presenza al Roland Garros, un must, p.r. o semplici chiacchiere con un bicchiere di champagne in mano, piuttosto che guardare il tennis e scoprire chi siano Ruud e Rune.
Molti francesi che pure ho incrociato al Roland Garros, mica al Louvre, non sanno ancora chi sia Alcaraz. L’ho scoperto con un certo raccapriccio. E quando dico loro con aria un minimo scandalizzata: “Ma suvvia, è il numero uno del mondo!” reagiscono con un: “Ma davvero? E non è Djokovic?”.
L’altro giorno un signore che era appena uscito da una di quelle elegantissima suite ha chiesto a una hostess elegantissima in camiseta Lacoste: “Ma Nadal quando gioca?”.
Non ho voluto sentire la risposta. Temevo di sentire anche dalla hostess una risposta incerta, interlocutoria. Per carità, è meglio che sappiano chi sia stato Carlo Magno.
Soltanto per Roger Federer si va sul sicuro: tutti sanno che lui, il Mito, la Leggenda, si è ritirato. Meno male che almeno questo non è sfuggito a nessuno dei presenti.
Siamo messi così. Il tennis è sempre più un business colossale. E chi lo organizza mira a far ciccia, cioè soldi, e se l’immagine di uno stadio semideserto a bordo campo non è una buona immagine il promoter miope oggi dice: “Chissenefrega. L’importante è che loro comprino i biglietti e noi si aumenti l’incasso”. Ma alla lunga andrà sempre così?
In Francia forse è anche per il risultato di questa politica che ha fatto sì, però, che di tennisti francesi competitivi non se ne vede più neppure l’ombra. Quest’anno, come nel 2021, hanno perso tutti prima del terzo turno. Per una federazione ricca, ricchissima, come quella francese che ha un carico di dipendenti vicino al migliaio, e un cespite di entrate monstre come il Roland Garros è un bello smacco.
Per fortuna, e non solo per fortuna, sia dato a Cesare…(Binaghi) quel che è di Cesare, in Italia non è così. Però qui mi sono imbattuto in diverse persone che mi hanno chiesto: “Ma perché a Roma si vedeva spesso lo stadio così vuoto? Vendevano i biglietti troppo cari?”.
Ho spiegato a chi aveva la pazienza di ascoltarmi, che a) a Roma quest’anno avevamo avuto un tempo da lupi, mai vissuto prima a quel modo, b) ma anche che la programmazione non era stata spesso indovinata, c) che troppe volte si era creduto di far bene pensato piegandosi anche alle richieste dei giocatori italiani più viziati per programmarli sul più “cozy” Pietrangeli, straboccante di folla, mentre sul “centrale” venivano programmati incontri poco appetitosi. Assai prevedibilmente poco appetitosi, a dire il vero, se in contemporanea se ne giocavano altri con tutti gli azzurri sul Pietrangeli che la gente non abbandonava neppure quando diluviava perché…”chi va via perde il posto all’osteria”.
Errori che probabilmente l’anno prossimo non verranno ripetuti. Almeno non in questa misura, io spero. Anche qui, già che ci sono lo dico, i prezzi di chi passa 10 ore in questo magnifico posto…sono però fuori di testa, assolutamente esagerati, e la qualità del cibo non fa davvero onore alla tradizione della cucina francese. Per mangiare crepes, waffles, gelati (confezionati e dai 4,80 euro in su) e svuotare il portafogli si fanno code lunghissime. Del resto anche al Foro Italico l’alimentazione è davvero “very cheap”, pizze, panini, hamburger, hot-dog, come se abitassimo in America e non nel Bel Paese famoso nel mondo per la sua cucina. Ristoranti di modesta qualità e prezzi esosi, mal assistiti da servizi igienici non frequentabili. A quest’ultimo proposito organizzerei, durante i prossimi Internazionali d’Italia, una giornata in cui i dirigenti FITP e gli ospiti degli sponsor BNL, BMW, EMU e partner vari, fossero obbligati a servirsi dei servizi igienici che spettano ai normali spettatori. Chissà, forse le cose cambierebbero.
Angelo Binaghi ha promesso che in futuro ci sarà qualche posto coperto in più (non solo il tetto per il 2026) di modo che quando piove come quest’anno l’unico riparo non sia più il proprio ombrello. Ma anche un ristorante in più di discreto livello senza che il conto si riveli un furto con scasso, non guasterebbe. Certo lì al Foro gli spazi sono quelli che sono.
Al Roland Garros, soprattutto dopo essersi allargati fino al Simonne Mathieu, sono ben altri. E all’Orangerie si mangia come in un ristorante serio. Chic.
Finalmente, portate pazienza, ora scrivo di tennis giocato. Non mi diverto sempre a vedere tennis femminile. Troppo spesso è a senso unico. Pensate alle precedenti partite di Iga Swiatek, 6-0, 6-0 a questa e a quest’altra una miseria di game concessi, 14 set di fila vinti in 7 match anche contro la promessa Coco Gauff, finalista un anno fa. Dov’è la suspense?
Ieri giovedì l’eccezione. Due partite piene di pathos, di situazioni avvincenti, ben giocate come nei primi due set di Sabalenka Muchova, prima di un terzo set con un calo di qualità e quell’altalena di tante partite femminili che non è facile spiegare se non sei un…coach mentale.
Quando Aryna Sabalenka sale a forza di missili, sul 5-2, prima di avere e mancare il matchpoint sul 5-2, il match sembra finito. La Muchova aveva già vinto comunque il suo sorprendente torneo, mi stavo apprestando a scrivere.
Macchè, “it is never over until is over”. La Sabalenka prima si distrae, poi dilapida, quindi si innervosisce. Dal 5-2 in suo favore perderà 5 game di fila, la partita, l’approdo alla finale, il possibile n.1 WTA. A un certo punto la serie negativa la vede con 4 punti all’attivo e 16 al passivo. Quasi soltanto a lei, almeno fra le grandi sebbene sia capace di fare anche due doppi falli a fila quando il momento è capitale e ha un matchpoint, succedono certi improvvisi prolungati scivoloni.
Muchova, 27 anni, 2 di più di Sabalenka, non crede ai suoi occhi. Anni fa il suo medico, dopo l’ennesimo infortunio, le aveva suggerito di abbandonare il tennis. Di ritirarsi. Lei era precipitata oltre il 200mo posto. Ma non si è ritirata. E sabato lei.n.43 del mondo, giocherà la sua prima finale Slam contro quella Swiatek che lei battè nel 2018 nell’unico precedente. Solo che Iga era ancora una bambina e lei, ventiduenne, solo una promessa incompiuta
Iga in questo torneo era a rischio trono: la Sabalenka minacciava di spodestarla. Invece la sconfitta della bielorussa e la contemporanea vittoria della polacca sulla tenace brasiliana Haddad Maia le garantisce il possesso della corona anche dopo questo Roland Garros sia che lei vinca il quarto Slam e il terzo RG di fila, sia che perda dalla sorprendente Muchova.
Beatriz sognava di emulare Maria Ester Bueno, la campionessa del suo Paese che trionfò in 7 Slam, ma non è ancora arrivato il momento del suo primo. Ha perso nettamente il primo set, ma nel secondo si è arrampicata al tiebreak e perfino a un setpoint. Le è mancata un po’ di agilità, annullarle due matchpoint con grande garra non le è bastato.
Ha fatto tremare Iga e si può rallegrare per un grande torneo che probabilmente, con la nuova fiducia acquisita, non sarà l’ultimo.
Oggi c’è attesa spasmodica per la prima semifinale, Alcaraz-Djokovic, Next Gen vs Old Gen. Conflitto più generazionale di questo non si poteva programmare. Ognuno giocherà per sé, ma un pochino anche per i coetanei. Alcaraz ha preferito fare ieri giovedì un po’ di palestra, senza tennis. Invece Djokovic ha giocato un’oretta abbondante sul campo 5 con uno sparring partner, Carlos Gomez Herrera.
E se invece la semifinale più bella fosse quella che giocheranno dopo Ruud e Zverev? Se uno dei protagonisti della prima semifinale giocasse molto al di sotto della propria reputazione, Djokovic per uno stato di forma ancora incerto messo magari a dura prova per il caldo, Alcaraz per uno stato di tensione cui non può essere ancora del tutto abituato – un conto è aver vinto 22 Slam, un altro averne vinto uno solo – ecco che la seconda semifinale potrebbe inopinatamente diventare la migliore. Per come ho visto giocare Ruud contro Rune e Zverev in questi giorni, sono quasi certo che giocheranno entrambi molto bene. E per il contrasto di stile dei due giocatori lo spettacolo non mancherà. Il duello fra il diritto a sventaglio di Ruud e il magnifico rovescio di Zverev sembra poterlo garantire. Nella prima semifinale, invece, lo show potrebbe essere eccelso, ma anche deludente. Quando le attese sembrano eccessive…tante volte in passato è accaduto che siamo rimasti con un palmo di naso. Speriamo allora invece che tutti e due giochino al meglio.
Flash
Maria Sharapova: “Sinner ha il gioco per vincere uno Slam. Non vedo una mia erede nel tennis femminile”
La visione dell’ex campionessa sul futuro del tennis femminile, sulle chance di Jannik, e su Carlso Alcaraz: “di lui mi affascina lo spirito battagliero”

Campionessa in campo sempiterna, uno dei nomi più noti della WTA del nuovo millennio, sia dentro che fuori dal campo. Maria Sharapova, insieme a Serena Williams, ha sedimentato volti e identità nell’immaginario collettivo difficilmente replicabili. E tanto merito, chiaramente, va alle vittorie: 5 titoli Slam, tra cui 2 Roland Garros. Certamente il major parigino è quello che le ha dato più soddisfazioni, e non a caso proprio nella capitale è stata intervistata da Federica Cocchi per la Gazzetta dello Sport a pochi giorni dall’incoronazione della nuova regina del Roland Garros.
“Potrà sembrare strano, ma i ricordi più forti legati al Roland Garros sono i momenti di difficoltà“, ammette l’ex n.1 al mondo, “quelli che mi hanno formato come persona. Come ad esempio la battaglia con la Halep nella finale del 2014, forse la più faticosa della mia vita. Il titolo del 2012 contro Sara Errani invece lo ricordo con gioia perché ho completato il Grande Slam della carriera“. Maria, insieme a Serena e alle controparti maschili incarnate dai Fab Four ha scandito una storia probabilmente irripetibile, un’epoca florida come poche. Ma sembrerebbe che stia ora emergendo, nel panorama maschile, un ricambio generazionale non così malvagio: “Carlos [Alcaraz] è incredibile. Quello che più mi affascina di lui è lo spirito battagliero su ogni punto. Riesce a dare spettacolo e infiammare il pubblico ogni volta che mette piede sul campo. Non vedo l’ora di assistere alla sua crescita, sono davvero curiosa di vedere dove può arrivare e cosa potrà fare“.
In parallelo ad Alcaraz, l’altro tennista del futuro, il suo ideale rivale, è considerato il nostro Jannik Sinner, altro protagonista di una crescita esponenziale. “Conosco abbastanza bene Jannik“, commenta la russa, “da Riccardo Piatti ho avuto l’occasione di condividere alcuni momenti di lavoro. È un ragazzo serio, umile, dedicato. Mi piace molto il suo stile fluido e potente, sembra quasi che non faccia fatica, e invece c’è un grande sforzo dietro il suo gioco. Spero sia pronto per vincere uno Slam. Il gioco ce l’ha e i fan aspettano il suo trionfo“. Innegabile anche che, come il tennis maschile abbia individuato giocatori che possano prendere le redini del circuito e della popolarità nei prossimi anni, non è facile affermare lo stesso per il circuito WTA. “Al momento non vedo una mia erede all’orizzonte”, interviene Sharapova, “ci sono ottime giocatrici con stili diversi. La formula del successo non è facile da raggiungere, serve un perfetto equilibrio tra il gioco, gli impegni con gli sponsor e il tempo libero“.
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Roland Garros, Rune deluso: “Niente alibi, contro Ruud non ho giocato al meglio”
Holger Rune tuona nel voler a tutti i costi sottrarsi da discussioni che portino ad accampare alibi fisici: “Nei momenti chiave della partita lui è stato più coraggioso di me. Fisicamente ho riscontrato qualche problema, ma nulla che abbia determinato l’esito del match”

Nonostante la cocente delusione per la mancata semifinale del Roland Garros 2023, Holger Rune sgombra immediatamente il campo da qualsivoglia alibi di genere fisico affermando che la netta mattanza inflittagli dal suo gemello diverso della Scandinavia Casper Ruud, non sia dipesa in alcun modo dalle fatiche dei turni precedenti. A Holger manca ancora qualcosa per fare la differenza negli Slam, il cui miglior risultato restano i quarti di finale raggiunti a Parigi nelle ultime due edizioni del torneo. Ora il 20enne di Gentofte è già pronto a voltare pagina per prepararsi al meglio alla stagione su erba con la speranza che Wimbledon sia foriero di maggiori gioie rispetto a Porte d’Auteuil.
D. Durante i primi due set è sembrato che non riuscissi minimamente ad avere controllo dei tuoi colpi. Hai avvertito anche tu questa sensazione dal campo, oppure no. Come ti sei sentito?
Holger Rune: “Non mi sono sentito bene in campo, non ho riscontrato buone sensazioni quando colpivo e difatti non ho giocato bene. Ma questa è la vita delle volte, bisogna semplicemente accettarlo. Non puoi sempre trovare in campo il tuo livello migliore. Ho provato tutto il possibile per prendere un po’ di ritmo da fondo e cercare di rientrare in partita. Sono riuscito a tornare in gara solamente nel terzo set, ma era già troppo tardi perché quando letteralmente concedi all’avversario i primi due set nel modo in cui io li ho regalati, è quasi impossibile che tu abbia opportunità per recuperare. Tuttavia sì, ho cercato di fidarmi del mio tennis nella versione odierna, anche se sapevo che quasi sicuramente non sarebbe bastata per ottenere la vittoria, di dare fondo totalmente alle mie energie e di concentrarmi esclusivamente sui colpi da eseguire. A volte, però, hai giorni come questo dove nulla di quello che vorresti fare ti riesce“.
D. Sulla base di ciò che hai visto stasera da parte Casper [Ruud, ndr], come pensi che possa andare la semifinale tra lui e Zverev e se credi possa giungere in finale?
Holger Rune: “È una bella domanda, ma alla quale è difficile rispondere perché ogni incontro è diverso. Probabilmente, se dovessi proprio sbilanciarmi, direi che sia Casper [Zverev, ndr] il favorito per la semifinale, ma se lo avessi chiesto un anno fa ti avrei certamente detto che fosse Zverev il favorito. Ribadisco è complicato individuare un chiaro favorito. Ora come ora, Zverev ha dimostrato e sta dimostrando di star tornando velocemente ai suoi livelli dopo l’infortunio patito, ma in questo momento penso di vedere Casper in finale. Poi chi lo sa, vedremo quello che accadrà. Ciò di cui sono abbastanza sicuro è che assisteremo ad una semifinale interessante poiché Zverev sta mostrando un’ottima forma, il che sarebbe un bene per tutto il pubblico“.
D. Come ti sei svegliato il giorno dopo la partita con Cerundolo? Quello sforzo ha influito stasera?
Holger Rune: “Niente affatto. Stavo a posto fisicamente, perfettamente in forma. Nessuna scusa o alibi da accampare da questo punto di vista. Semplicemente non ho giocato al mio livello. È dura da mandare giù, ma a volte è così, succede e basta. Non puoi fare altro che imparare da questa situazione a te sfavorevole e ritornare più forte di quanto non lo fossi prima di viverla. Ora, infatti, è già tempo di dedicarsi al prossimo obiettivo. In vista c’è un altro torneo del Grande Slam, è ormai dietro l’angolo e mi auguro di poter far meglio lì di quanto non abbia fatto a Parigi. Sono felice che la stagione sulla terra battuta sia finita e pronto a gettarmi a capofitto sul prosieguo dell’anno. Adesso concentrazione completamente riversata sull’erba“.
D. Mi chiedevo se hai notato grandi differenze in Casper [Ruud, ndr] affrontandolo qui a Parigi, rispetto alla vostra sfida andata in scena a Roma qualche settimana fa?
Holger Rune: “Non ho riscontrato delle vere e propri differenze in lui, quanto più credo di essere stato io a non esprimermi sullo stesso livello di Roma. Casper è un giocatore estremamente solido, quindi anche in quelle giornate in cui non è al meglio può comunque contare su un tennis di maggiore efficacia rispetto ad altri tennisti che devono convivere con qualche defezione tecnica dovuta ad una giornata negativa. Lui potrà pure non essere al massimo, ma non ti regalerà mai la partita, dovrai sempre essere tu ad andartela a prendere. E’ qualcosa di quasi impercettibile per chi osserva da fuori, ma vi assicuro che chi è in campo se ne accorge eccome. Ogni volta che lo affronto, anche solo per avere una possibilità di batterlo devo necessariamente mettere sul campo il mio miglior tennis. Sono riuscito a farcela a Roma, ma è stata durissima. Nei primi due set, comunque è complesso valutare quanto il fatto di non essermi costruito alcuna chance sia dipeso in gran parte alla sua ottima prestazione oppure ai miei tanti errori. Nel terzo e quarto set, successivamente, io ho iniziato a giocare decisamente meglio, ma lui ha continuato sull’alto livello espresso fino a quel momento per poi nuovamente rialzarlo nel quarto. Nei momenti chiave della partita è stato più coraggioso di me, ricercando ed eseguendo alla perfezione i suoi colpi migliori. Quindi sì, alla fine sono maggiori i suoi meriti piuttosto che i miei demeriti“.
D. Sembra che tu abbia incontrato qualche problema fisico, un fastidio alla schiena. Ho visto che ti sei ripetutamente toccato le spalle durante la partita. È stato un problema che ti ha limitato?
Holger Rune: “Ho costantemente qualche problema di natura fisica, ma in questo caso non è stato per nulla decisivo sull’andamento del match ed è qualcosa del quale anche se non avessi risentito, non avrebbe in alcun modo alterato l’esito finale della sfida. Quindi non è qualcosa che posso usare come alibi, assolutamente. Casper è stato semplicemente migliore di me, perciò devo accettare la sconfitta e andare avanti provando a migliorarmi. Ovviamente, in vista del prossimo torneo cercherò di recuperare pienamente sul piano fisico mettendomi alle spalle i problemi di cui soffro. Ma è tutto nella norma, è fisiologico che accada quando giochi tanto in poco tempo perché inevitabilmente il corpo accumula. Oggi [ieri, ndr] mi sono comunque sentito fresco sul piano delle energie fisiche, onestamente, quindi non è un fattore che ha influenzato“.