Salvate il soldato Matteo

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Salvate il soldato Matteo

Nel senso, preservatelo: la tendenza di Berrettini a dire e fare sempre la cosa giusta può rimanere il valore aggiunto della sua carriera. Un po’ come Roger Federer

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Matteo Berrettini, conferenza - ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)
 

Matteo Berrettini spaventa. E, di conseguenza, preoccupa. Intendiamoci, nulla da dire dal punto di vista tecnico: nel senso che non è lontanissimo dal suo top (ammesso che, per chiunque calchi un campo da tennis, sia mai raggiungibile), trovandosi come è logico che sia a lavorare in particolare sotto alcuni aspetti.

Tipo il rovescio, su cui ha già fatto registrare consistenti miglioramenti: anche se, ogni volta che tira il back, viene spontaneo raccomandare l’ anima a Dio, per quanto si pone rigido rispetto alla pallina (tanto da pensare “ecco, ora muore a metà rete”). E invece la palla misteriosamente va di là quasi sempre, provocando grattacapi non da poco al contendente di turno: misteri della fisica e della meccanica, sulle quali non abbiamo il minimo titolo ad esprimerci – è una considerazione, insomma, solo dal punto di vista strettamente estetico.

Comunque questa, e altre, sono situazioni sulle quali sanno ampiamente il fatto loro Vincenzo Santopadre e Umberto Rianna (con tutto il resto dello staff), tanto da far dormire tra i classici sette guanciali noi appassionati, che vorremmo vedere il romano sempre più su. E allora, dentro il rettangolo di gioco il nostro fa tutto per bene, siamo d’accordo (lo testimonia il ranking prestigioso che ha raggiunto in appena 12 mesi), e ci sono pochi motivi per non stare sereni.

VIENE DAL NUOVO SALARIO, O DA MARTE? – Ma è quando esce dal campo che Matteo si trasforma, tutto d’un botto, in un personaggio inquietante: sì, perché appare incredibile come un ragazzo di appena 23 anni (non ragioniamo col metro dei tennisti, ma con quelli della vita reale) non sbagli nulla, ma proprio nulla, neanche mettendocisi d’impegno! Avete sentito le sue dichiarazioni, tanto una volta conclusa – bene o male che sia finita – la partita, quanto in occasione delle varie interviste e premiazioni alle quali è ormai sottoposto in maniera continua? Sfidiamo a trovare una parola fuori posto o fuori luogo, sa sempre esattamente quel che deve dire, con la giusta dose di ironia, e autoironia, che è un valore aggiunto delle persone intelligenti.

Ultimissimo episodio in ordine di tempo, gli Awards della FIT, qualche giorno fa: un concentrato di modestia, tuttavia non scevra – giustamente – di una piena consapevolezza delle proprie capacità e delle proprie prospettive. E dopo la stesa micidiale subita da Roger Federer a Wimbledon, in un match alla fine addirittura imbarazzante per lui? Beh, lì Matteo ha raggiunto davvero il top quando, durante l’abbraccio a rete con Sua Maestà, dopo poco più di un’ora di patimenti indicibili, gli ha chiesto con il sorriso quanto gli dovesse per la lezione. E attenzione, non si è trattato un atto di sottomissione puro e semplice, ma di un giusto tributo a chi aveva espresso in quella partita un livello per lui inarrivabile, un po’ come dirgli “mi inchino, ma questa esperienza mi servirà tantissimo, spero che la prossima volta ti divertirai molto di meno…”. 

Matteo Berrettini e Roger Federer – Wimbledon 2019 (via Instagram, @matberrettini)

CAMPIONE – Non ci sono dubbi, Berrettini è un campione (e ripetiamo, in tale considerazione non si tiene conto di quanto sa fare con la racchetta in mano). Matteo lo è prima di tutto grazie all’educazione impartitagli da mamma e papà, ma è altrettanto indubitabile che i loro bravi meriti li abbiano anche coloro i quali gli sono stati vicini nel suo percorso di crescita, come tennista e come uomo. Per insegnargli a non piangersi mai addosso, a restare positivo dinanzi alle avversità, a nutrire rispetto assoluto e sincero degli interlocutori (sia che si trovino di là della rete, sia che ti si avvicinino con un microfono in mano, sia che ti assedino con penna e taccuino per un autografo, o con il cellulare per un selfie).

Si diceva di Federer, poco sopra. Ebbene – absiit iniuria verbis – si ravvedono delle analogie. Pure lui è un signore, sebbene sporadicamente emergano in lui delle piccole scorie, di quando era un ragazzino impertinente ed era noto per perdere la testa e distruggere racchette. Analogie, ma anche differenze: nel senso che i mentori di Matteo hanno trovato terreno fertile nel plasmarlo come brava persona, quelli di Roger probabilmente un po’ meno. Lo svizzero (al netto delle doti tecniche, inarrivabili per chiunque e fuori discussione) appare come un personaggio costruito in laboratorio, e si possono quasi percepire gli sforzi necessari a reprimere la natura fumantina che gli era congenita.

Un processo completato anche grazie all’ingresso trionfale in scena, a un certo punto, della psicologa numero uno, la quale pure non vanta titoli accademici in merito: già, fraulein Mirka, che non ci stancheremo mai di ringraziare per aver contribuito (assai) a donare al mondo quello spettacolo del suo magnifico consorte. Fateci caso: Federer è il tennista che piange di più in assoluto, che vinca o che perda. Umanissima debolezza, che anzitutto ci aiuta a considerarlo uno di noi, e non il semidio che al contrario è, ma allo stesso tempo rivela quanto sia – tuttora – alto lo sforzo emotivo che il più amato è costretto a infliggersi quando scende in campo, e che libera alla fine nella maniera più spontanea. Lo adoriamo anche per per questo. Come adoriamo, e speriamo di farlo ancora per tanto tempo, il nostro Matteo. Senza però caricarlo, come comincia a fare qualcuno, di aspettative troppo pesanti da gestire: no, lui è e rimarrà Berrettini, e non è detto che non sia sufficiente per entrare nella storia del tennis.

PORTABANDIERA – La buttiamo lì così, con nonchalance, per concludere: al CONI non farebbero male a cominciare a prendere in esame la candidatura del numero uno del tennis italiano quale portabandiera della nazionale azzurra alle prossime Olimpiadi. Certo, gli toccherà quantomeno confermare gli ottimi risultati del 2019, ma se così fosse quale immagine migliore per la vetrina mondiale dello sport di un italiano bravo, alto, sorridente, e di bell’aspetto, con una faccia da attore? Vabbè, bareremmo clamorosamente, perché dalle nostre parti non siamo proprio tutti così. Però suggeriamo al presidente Malagò di farci un pensierino.

Renato Borrelli

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