Djokovic, che spavento. Salva 3 match point poi va in finale a Dubai (Cocchi). Perché già ci manca Sharapova (Mecca). Fenomenale anche senza la racchetta (Crivelli). La madre di tutte le fuoriclasse (Cocchi)

Rassegna stampa

Djokovic, che spavento. Salva 3 match point poi va in finale a Dubai (Cocchi). Perché già ci manca Sharapova (Mecca). Fenomenale anche senza la racchetta (Crivelli). La madre di tutte le fuoriclasse (Cocchi)

La rassegna stampa del 29 febbraio 2020

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Djokovic che spavento. Salva 3 match point poi va in finale a Dubai (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Si è preso un bello spavento Novak Djokovic, che nella semifinale sul cemento di Dubai ha dovuto salvare tre match point contro Gael Monfils. Dopo aver perso il primo parziale 6-2, con il francese che sembrava in stato di esaltazione e galvanizzato dal tifo della collega fidanzata Svitolina in tribuna, Nole ha cercato di reagire nel secondo. Spinto dal pubblico, che tifava per lo spettacolo, al tie break Djoker si è trovato a un soffio dalla sconfitta. Tre palle per approdare in finale non sono però bastate al funambolico francese, che ha ceduto il secondo set al numero uno al mondo con un doppio fallo. Nel terzo set Monfils non ne aveva più, tra dolori e flato corto, in compenso Djokovic, scampato il pericolo, ha scatenato la sua ferocia chiudendo il match 2-6 7-6 6-1. […] Sconsolato il francese: «Davvero, non ho idea di come si possa fare a battere Novak Djokovic… Stavolta ci sono andato davvero vicino». Il numero 1 al mondo anche in striscia positiva da 20 match, la settima più lunga della carriera. Ma ha rischiato grosso: «In quei momenti, quando íl tuo avversario ha un match point, è come trovarti sul bordo del precipizio ha raccontato Nole dopo la partita -. Non puoi tornare indietro, quindi devi saltare e trovare il modo di sopravvivere. Bisogna crederci fino in fondo, solo così puoi trovare risorse che non pensavi di avere». C’è Tsitsi Oggi, nella corsa al quinto titolo di Dubai, si troverà contro Stefanos Tsitsipas che ha battuto Daniel Evans: «Sono molto impressionato dalla qualità del mio gioco – ha commentato il greco – e spero di salire ancora nella prossima partita». Effettivamente il campione delle Atp Finals 2019, che ha confermato il titolo di Marsiglia vincendo la settimana scorsa la finale contro Aliassime, sembra molto solido: «Ma contro Djokovic non c’è mai niente di semplice – ha detto Stefanos -. È da tempo in serie positiva, sta esprimendo un tennis incredibile. Dovrò servire al meglio delle mie possibilità ed essere più aggressivo che mai»

Perché già ci manca Sharapova (Giorgio Mecca, Il Tempo)

[…] Maria Sharapova però non scendeva in campo per fare la volontà dello spettacolo, voleva vincere, dei baci e degli abbracci non sapeva che farsene. Fidanzatina di Russia? Neanche per sogno. La tennista siberiana, 33 anni il 19 aprile, stava pensando al ritiro da tempo. Le sue spalle e i suoi avambracci erano diventati un massacro: interventi, fisioterapia, antidolorifici, inutili ultrasuoni, c’erano giorni in cui non riusciva nemmeno a reggere il peso della racchetta tra le mani. Ha capito che era il momento di dire addio l’anno scorso a New York quando, al primo turno degli Us Open ha perso 6-1 6-1 da Serena Williams, la sua avversaria di sempre, che ha voluto umiliarla ulteriormente non lasciando scoccare nemmeno l’ora di gioco. […] La russa è stata l’ultima regina del tennis. Wimbledon incoronò lei, le sue grida e il suo broncio nel luglio del 2004, la giocatrice aveva diciassette anni ed era piena di grandi speranze per il futuro. Da allora ha conquistato altri quattro titoli del Grande Slam, Us Open (2006), Australian Open (2008), Roland Garros (2012 e 2014), la Fed Cup con la Russia nel 2008, un argento alle Olimpiadi di Londra del 2012, la prima posizione nella classifica mondiale nel 2005. È stata anche l’ultima giocatrice a conquistare il Career Grande Slam, un elenco di cui fanno parte soltanto dieci giocatrici, tra cui Billie Jean King, Chris Evert, Martina Navratilova, Stetti Graf e Serena Williams. In diciotto anni di carriera, oltre alle vittorie ci sono state anche cadute, accuse e condanne, una sospensione di 15 mesi per doping. Si è rialzata nel 2017 e no, al suo ritorno non era la stessa di prima. Fiato corto, poche gambe, trent’anni che si fanno sentire. […] La rabbia, la fame, la voglia di rendere orgoglioso papà Jurij che l’ha accompagnata per una vita, anche. Era ciò di cui aveva bisogno il tennis. Non bastano missili di rovescio e vittorie a casaccio, serve solidità, impegno, perseveranza, “la mia qualità migliore”, come ha detto lei stessa. Serve rispetto per la terra che stai calpestando. Cento del mondo, trecento, non importava: rimaneva comunque Maria Sharapova, la sua presenza valeva il prezzo del biglietto. Non era soltanto percezione del pubblico, piuttosto marketing: nel 2019 ha giocato 18 partite, quanto bastavano per accaparrarsi 6 milioni di dollari di sponsor (in totale, ne ha guadagnati 325). Lo scorso settembre a New York era in svantaggio di un set, a un game dalla sconfitta continuava a gridare e ad aggredire la palle come se non fosse ancora tutto finito. Ecco perché piaceva cosi tanto agli sponsor, e agli spettatori. “So che da noi volete l’amore per il gioco, se lo amiamo vi divertite di più, ma noi non lo amiamo. E non lo odiamo. È solo una realtà, esiste ed è sempre esistito”. Ha scritto così la ormai ex giocatrice nella sua autobiografia, Inarrestabile (Einaudi). “Ho dato la mia vita a questo sport e questo sport mi ha dato la vita”, ha scritto nella lettera a Vanity Fair in cui annunciava il ritiro. Da adesso in poi il tennis le mancherà e lei mancherà al tennis, uno sport che sta perdendo tutte le sue regine e le sue corone, ed è costretto a farsi bastare principesse occasionali.

Fenomenale anche senza la racchetta (Riccardo Crivelli, SportWeek)

Federer è un’altra cosa. Di più: è unico. E non soltanto perché sta riscrivendo i libri di storia del tennis. La sua unicità è bipolare: da un lato, ha riportato il suo sport all’eleganza dei primordi, alla raffinatezza dei gesti bianchi, alla bellezza dell’equilibrio e del talento purissimo; dall’altro, ha colpito i cuori per la semplicità dei comportamenti quotidiani, dentro e fuori dal campo, un amore sconfinato che trae costantemente linfa dalla discrasia apparentemente inspiegabile tra la popolarità mondiale che ha acquisito e la semplicità di una vita privata che scorre uguale in pratica da sempre e non concede nulla alla curiosità più morbosa. Da quindici anni, Roger è ciclicamente inserito tra i personaggi più influenti del pianeta, dal 2003 ininterrottamente vince il sondaggio indetto dall’Atp sul tennista più ammirato dai tifosi, eppure nonostante un’esposizione mediatica che avvicina e talvolta gli fa oltrepassare la visibilità dei più importanti capi di Stato, nessuno più di lui rifugge il gossip e fornisce meno materiale a chi campa di pettegolezzi.[…] E merito dell’educazione che hanno saputo dargli papà Robert, dirigente di una compagnia farmaceutica, e mamma Lynette, impiegata nella stessa azienda, se uno degli sportivi più amati e straordinari di tutte le epoche, anziché far calare dall’alto la spocchia dell’eroe inavvicinabile, arriva a ripetere tutta l’intervista post partita per salvare la giovane ed emozionata giornalista radiofonica che si era dimenticata di accendere il registratore. E conta molto anche il melting pot culturale e geografico di cui alla fine Roger risulta il prodotto: perché cresce con i genitori e la sorella Diana a Münchenstein, una cittadina di poco più di diecimila abitanti nei dintorni di Basilea, in un ambiente ovattato che lo preserva da tensioni e tentazioni, ma al tempo stesso la provenienza sudafricana della madre (con lontani antenati olandesi e perfino tra gli ugonotti francesi) gli schiude subito gli orizzonti su altri mondi, rendendolo trilingue (tedesco, francese e inglese) e aperto ad altre influenze fin dalla culla. Le radici australi, peraltro, si riverbereranno su un’insolita passione, da lui stesso più volte confessata: «Da piccolo mi piacevano tutti gli sport con la palla, ma avevo un debole molto marcato per il cricket. Anzi, se fossi nato e cresciuto in Sudafrica, probabilmente sarei diventato un giocatore professionista di quello sport». Non mancano, come la natura del personaggio lascia intuire, le mille iniziative benefiche di cui si fa promotore, anche da ambasciatore dell’Unicef. Innanzitutto con la Roger Federer Foundation, che si occupa di progetti per l’infanzia sfortunata, in particolare nel Sudafrica di mamma Lynette. E poi con l’impegno in prima linea per le vittime dello tsunami del 2004 e dell’uragano Katrina, o ancora del terremoto di Haiti e delle alluvioni e gli incendi del Queensland.[…] Eppure, se gli chiedete quando è davvero felice, vi risponderà che le cose più emozionanti della vita sono giocare con i quattro figli, rimanere seduto in riva al mare, giocare a carte oppure ai videogame con Nadal come avversario virtuale. Un fenomeno con il candore di un ragazzo. Unico

La madre di tutte le fuoriclasse (Federica Cocchi, SportWeek)

La maternità le ha scombinato un po’ i piani. Se da un lato le ha regalato la gioia di avere la sua bambina tra le braccia, dall’altro ne ha frenato bruscamente la rincorsa all’immortalità sportiva, al record di Margaret Court, vincitrice di 24 titoli del Grande Slam. Ma poco importa, perché se anche la Court e le sue idee retrograde dovessero rimanere lassù, al posto più alto nella classifica delle vincitrici major, Serena resterà comunque nella storia come la più grande. […] Tra numero di settimane al n. l e vittorie pesanti ha sbaragliato la concorrenza. Una fame insaziabile, una testa costantemente concentrata sul risultato, tanto da essere la prima tennista a vincere in quattro decenni diversi. Dal primo successo della carriera, l’Open di Francia indoor 1999 a Parigi, alla vittoria di Auckland a gennaio sono passati più di 20 anni e lei ha potuto lasciare la sua impronta sugli Anni 90, 2000, 2010 e 2020. Un titolo specialissimo quello di quest’anno in Nuova Zelanda, perché è arrivato dopo tre anni di “delusioni” con la sconfitta in due Wimbledon e due Us Open tra 2018 e 2019. È arrivato dopo tre annidi digiuno e, soprattutto, è stato il primo torneo conquistato da quando è mamma di Olympia Alexis, che ha compiuto 2 anni a settembre e non l’aveva ancora vista sollevare un trofeo. Il tempo trascorso tra quel primo titolo del ’99 e l’ultimo, il 73°, è un arco temporale da record. Basti dire che Serena ha superato anche Martina Navratilova, da sempre il punto di riferimento per la longevità nel tennis femminile. Per Martina trascorsero quasi 20 anni tra il primo e l’ultimo titolo in singolare: da settembre 1974 a febbraio 1994, ma alla fine della sua storia agonistica è arrivata a contare 167 titoli, una enormità impensabile per la Williams, considerando che ha 38 anni compiuti. […] In principio la rivale ce l’aveva in casa, la sorella maggiore Venus, che a quasi 40 non ha ancora appeso la racchetta al chiodo. “Venere” è stata anche l’ultima rivale battuta in una finale Slam. Era lei dall’altra parte della rete nella finale Australian Open 2017, vinta da Serena che portava già in grembo la piccola Alexis Olympia. «Ogni giorno mi ispiro a mia sorella Venus», ha detto recentemente la minore delle Williams. «Credo sia una donna che ha attraversato molte cose nel corso della nostra vita e semplicemente continua a farlo, senza arrendersi mai e combattendo sempre. È una persona incredibile. Ma traggo ispirazione anche da mia mamma. Ogni giorno ho imparato qualcosa di nuovo da lei». La grandezza di Serena va al di là del tennis: è una icona globale, donna, madre, business woman e campionessa che, con la sua fama, ha intrapreso e sta conducendo tante battaglie per la parità di genere e contro il razzismo. Dopo la sconfitta in finale a Wimbledon dello sorso anno, Billie Jean King, icona del tennis del passato e sempre in prima linea per i diritti della comunità gay, le consigliò di dedicarsi di più al tennis e meno all’impegno fuori dal campo. La risposta della Williams è stata emblematica: «Il giorno in cui smetterò di lottare per l’uguaglianza e per tutte le persone come te e me sarà il giorno in cui sarò nella tomba». Ecco a voi Serena, la più grande di questo secolo, aldilà di numeri e record

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