«Noi, in campo senza panico» (Semeraro). Asciugamani dai raccattapalle vietati in Coppa Davis (Chinellato). Lendl, 60 anni senza sosta: «Addestrato a competere, non riuscirò mai a smettere» (Semeraro)

Rassegna stampa

«Noi, in campo senza panico» (Semeraro). Asciugamani dai raccattapalle vietati in Coppa Davis (Chinellato). Lendl, 60 anni senza sosta: «Addestrato a competere, non riuscirò mai a smettere» (Semeraro)

La rassegna stampa di giovedì 5 marzo 2020

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«Noi, in campo senza panico» (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Partiamo dalle buone notizie, che sono due. La prima: i raccattapalle, a causa delle misure igieniche anti-coronavirus, nella due giorni di Coppa Davis fra Italia e Corea a Cagliari non saranno costretti a porgere gli asciugamani ai giocatori (come già alle Next Gen Finals). Speriamo che la civilissima misura diventi permanente anche una volta conclusa – si spera presto – l’emergenza sanitaria. La seconda invece riguarda gli spettatori che hanno acquistato i biglietti per l’evento. Con la disputa del match a porte chiuse (ieri in serata è arrivato l’annuncio ufficiale), tutti i biglietti verranno rimborsati. Non era scontato ed è un segnale positivo. Il resto invece va maluccio. Non tanto la questione sportiva, visto che anche senza Berrettini e Sinner, che non fanno parte della squadra, il primo per infortunio il secondo per una scelta legata alla programmazione, l’Italia di Sonego e Travaglia non dovrebbe patire contro i coreani, anche loro colpiti dalle assenze. Quanto proprio per le vicende legate al rischio pandemia. «Il Coronavirus non è un fattore secondario – dice il capitano azzurro Corrado Barazzutti – Siamo in una situazione seria, di emergenza per tutta Italia, per tutto il mondo in realtà. Noi siamo qui per giocare un match di tennis, e cerchiamo di farlo senza panico. Naturalmente aspettiamo quelle che saranno le direttive del Governo. Non possiamo dire di essere nelle migliori condizioni, ma la salute viene prima di tutto». Anche dell’atmosfera di Coppa, che senza i cori e la partecipazione del pubblico ovviamente è destinata ad evaporare, fra gli echi di uno stadio sottovuoto. Barazzutti oltre a Fognini (n.12 Atp) può contare su Lorenzo Sonego (n.46), su Stefano Travaglia (86) e Gianluca Mager (79), entrambi alla prima convocazione, e sull’esperienza da doppista di Simone Bolelli. Il migliore dei coreani, Ji Sun Nam, staziona invece a quota 238. «Sulla carta siamo decisamente favoriti – ammette Barazzutti – ma non dobbiamo distrarci. Abbiamo una squadra molto forte, competitiva, vogliamo arrivare alle Finali di Madrid dove possiamo fare un risultato importante. Naturalmente ci sono tutte le insidie che si possono trovare in un incontro di Davis. I coreani sono dei buoni giocatori per cui questa sfida va giocata sperando che i valori in campo emergano». Una questione spinosa è l’assenza di Jannik Sinner. Che per ora della Davis non ne vuole sapere. «Sinner non è qui perché Piatti ha scelto una programmazione diversa, ma io avevo chiesto di convocarlo. Non sono contento perché avrei preferito averlo qui, ma rispetto la sua decisione». Il caso di Berrettini è diverso: «Matteo è una grossa mancanza, nel suo caso il problema è di ordine fisico». Entrambi saranno in campo la settimana prossima al Masters 1000 di Indian Wells. Oggi il sorteggio, da domani si comincia alle 12 con i primi due singolari.

Asciugamani dai raccattapalle vietati in Coppa Davis (Davide Chinellato, La Gazzetta dello Sport)

Si gioca. Senza pubblico, con spogliatoi e macchine separate, senza i raccattapalle che passano gli asciugamani al giocatori, che dovranno gestirseli da soli. Ma si gioca. E al tempo del coronavirus, nella sfida tra Italia e Corea del Sud, le due nazioni con più contagiati dopo la Cina, è già un successo. Cagliari doveva essere una grande festa del tennis. L’Italia di Davis si augura che sia comunque l’inizio di qualcosa di importante. Il sorteggio è previsto per le 11:30 al Teatro Doglio: la Corea del Sud non è un avversario irresistibile e batterla, nonostante le assenze di Matteo Berrettini e Jannick Sinner, significa staccare il pass per Madrid: «Siamo favoriti sulla carta – ammette il capitano Corrado Barazzutti -. Per noi è importante andare a Madrid. Abbiamo una squadra molto competitiva, siamo qui per vincere e per cercare di cogliere un buon risultato a novembre», il rischio contagio, oltre agli asciugamani passati dal ball boys ha tolto agli azzurri il supporto del pubblico, coi 3.000 biglietti già venduti che saranno rimborsati. «La situazione che sta vivendo il paese è seria – ha detto Barazzutti -. Noi siamo qui per giocare una competizione sportiva, cerchiamo di andare avanti senza panico». Negli Usa Sinner, il grande assente a Cagliari, intanto ha esordito al Challenger di Indian Wells battendo 6-0 6-1 nei sedicesimi in appena 46′ l’olandese Sam Veerbek, numero 978 del mondo. Negli ottavi affronterà lo statunitense Denis Kudla, 114 al mondo. «Io ho chiesto di convocarlo – ha detto Barazzutti della giovane stellina azzurra, numero 71 Atp -, ma i suoi programmi per il momento non coincidono con quelli della Coppa Davis. Una decisione che io e tutta la Federazione rispettiamo. Ma Jannik non è qui semplicemente perché il suo coach Riccardo Piatti ha preferito come programmazione portarlo a giocare il challenger di Indian Wells in preparazione al Masters 1000. Siamo tutti contenti che sia entrato nel tabellone principale». […]

Lendl, 60 anni senza sosta: «Addestato a competere, non riuscirò mai a smettere» (Stefano Semeraro, La Stampa)


«Il golf», ha ammesso un paio di mesi fa Ivan Lendl, «mi dà quello che il tennis non mi può più dare. Sono stato addestrato a competere per tutta la mia vita: non riuscirò mai a smettere». E pazienza se si tratta dei «torneini over 50, frequentati da vecchietti come me». Se sei nato per sbranare, alla fine ti accontenti anche di un bocconcino. Domani Ivan il Terribile compie 60 anni, e sentirlo ammettere che «quello che non mi fa dormire la notte sono i dolori all’anca», fa un po’ tenerezza. Perché di Lendl, il vero dominatore del tennis negli anni ’80 per tornei vinti, confronti diretti, settimane da numero 1, conserviamo l’immagine feroce dei tempi gloriosi, quando solo a nominarlo nei circoli si spostavano i quadri e si crepavano i cristalli. «Ma a me è sempre piaciuto un sacco scherzare», dice. Magari si tratta di un umorismo sottozero, un po’ «malato», secondo il suo ultimo pupillo Sascha Zverev, ma Ivan è sempre stato un battutista, oltre che un grande battitore. «Qualche anno fa organizzai una esibizione fra Federer e Sampras», racconta. «John commentava in tv e quando l’ho incontrato nei corridoi gli ho detto: “Ho sempre saputo che avresti finito per lavorare per me”». Di Lendl, otto Slam vinti e due buchi dolorosi nella memoria in corrispondenza delle finali perse contro Cash e Becker a Wimbledon – la sua ossessione – curiosamente ci ricordiamo soprattutto le sconfitte. Quella leggendaria contro Chang, al Roland Garros del 1989, quando il diabolico Michelino lo fece uscire di cotenna servendogli da sotto – Nick Kyrgios non ha inventato nulla… – o quella jellatissima del Masters del 1988, cinque set di botte da orbi con Becker, decisi da un nastro beffardo. L’unica vittoria che tutti i fan ricordano è quella che nel 1984 impedì al suo rivale più classico, SuperMac, di prendersi almeno una volta il Roland Garros. Ma di solito se ne parla per recriminare sulle occasioni scialate dall’americano, mica per ricordare la sua tigna da fuoriclasse. E’ stato tante cose, Lendl. Il primo a studiare una dieta rigorosa, in collaborazione con l’allora famoso dottor Haas – pasta, verdure, frutta e acqua – che lo aiutava a mantenere le energie (Djokovic, in fondo, non ha inventato nulla…). Un pioniere del tennis di oggi, impostato sulla potenza del diritto e del servizio, uno dei Cannibali pre-Nadal sulla terra («Rafa fa tutto quello che facevo io, meglio di me, tranne il servizio»). Anche da al lenatore, quando ha deciso di dare una mano a Murray a vincere i suoi tre Slam, lo ha fatto da guru, assiso in tribuna con la maschera da sfinge che sotto sotto ama prendere in giro il mondo. Rimpianti, Ivan? «Ogni singola sconfitta». Ci sono ossessioni da cui davvero non si guarisce mai.

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